Prologo I
La Pianta non era certo imponente, somigliava a una verza troppo cresciuta, alta quasi un metro e mezzo e larga altrettanto, grandi foglie verde pallido sormontavano un tronco corto e tozzo dal quale partiva un robusto peduncolo che portava a una grossa zucca adagiata sulla sabbia pulita.
Era proprio la zucca a occupare per intero l’attenzione dell’Assistente che, immobile, la osservava.
Si trattava di un frutto oblungo con la buccia di un bel colore giallo solcato da striature più chiare. Ora si stava agitando e sulla pelle morbida apparivano dei rigonfiamenti, come se qualcosa stesse premendo per uscire.
Qualche minuto dopo, d’improvviso, la zucca si lacerò esponendo alla luce del sole il suo contenuto.
L’Assistente scattò in avanti, raccolse il corpicino, recise il cordone ombelicale e, dopo una rapida occhiata per accertarsi tutto fosse in ordine, cominciò ad asciugarlo.
Il piccolo Elfo lanciò il suo primo vagito.
L’Assistente raccolse anche i resti del frutto con la placenta ancora attaccata e si diresse a passo spedito verso la bassa costruzione che fungeva da nido, senza prestare la minima attenzione agli altri suoi colleghi che, immobili come statue, attendevano la maturazione dei frutti a loro assegnati.
Prologo II
L’Elfo correva veloce come il vento, il candore dei capelli raccolti in una corta treccia per non intralciargli la vista era l’unico indizio della sua età.
Si guardò alle spalle.
Quella era la sua ultima caccia.
Non aveva speranze di tornare con un carniere pieno, come sempre aveva fatto prima di allora.
Ora la preda era lui.
Le sue orecchie sensibili percepirono il suono, ancora lontano, del suo inseguitore che procedeva veloce sulle sue tracce.
Attraversò un ruscello e percorse un centinaio di metri seguendo la corrente, poi spiccò un balzo prodigioso per andare ad atterrare direttamente su una solida roccia dove i suoi piedi nudi non avrebbero lasciato impronte.
Si concesse un sorriso. Era ancora in buona forma, nonostante le sue duecento primavere.
Thano sarebbe stato soddisfatto.
S’infilò in uno stretto canalone pochi istanti prima che il suo inseguitore raggiungesse il ruscello.
La figura ammantata di rosso cupo esitò solo per una frazione di secondo, poi ripartì all’inseguimento rimbalzando fra le rocce senza curarsi di celare il suo arrivo. Le schermaglie erano finite. Ora la caccia si sarebbe conclusa rapidamente.
Anche il Dio sorrise mentre l’esaltazione della caccia lo sommergeva. Audagor si era guadagnato il diritto di essere ucciso rapidamente, prima che l’inevitabile stanchezza dei Mortali lo sopraffacesse. Si era guadagnato il diritto di guardare la Morte negli occhi.
Il vecchio Elfo, intanto, stava scendendo uno stretto canalone tagliato da un gelido torrentello nel corso dei millenni. Le pareti di granito erano quasi verticali e lisce come un piatto di porcellana.
Era un posto in cui non veniva da quando era giovane e inesperto, ma tutto era rimasto come allora. Il suo cuore ebbe un fremito.
Thano, il Dio della Morte, il Dio Cacciatore che, alla fine, raggiunge tutti, scelse proprio quell’istante per apparire in cima al canalone e precipitarsi, rimbalzando da una parete all’altra, verso la sua preda.
“Sì”, pensò Audagor mentre si slanciava fuori dal budello di roccia, “ero veramente molto giovane e inesperto, tanto da pensare di poter intrappolare un Dio!”
Mentre pensava queste parole atterrò pesantemente su una roccia lunga e stretta: una leva che mise in azione la trappola preparata con cura tanti anni prima.
Prima di diventare un cacciatore famoso in tutto l’Innerwald.
Prima di guadagnarsi la stima di Thano.
Prima di metterla fuori dai suoi pensieri con tanta fermezza che nemmeno un Dio sarebbe riuscito a indovinare nascondesse qualcosa.
Alle sue spalle una scaglia di solido granito di duecento metri quadrati si staccò dalla parete sinistra e in un battito di ciglia percorse il breve spazio che la separava dalla parete destra.
Thano alzò le braccia per fermarla e scomparve alla vista.
Un’esplosione spaventosa fece tremare la montagna scaraventando massi di tutte le dimensioni verso il cielo. Audagor fu sbattuto violentemente contro un alto larice, dove rimase intontito, nonostante i rami avessero attutito alquanto l’impatto.
Quando il polverone si diradò, il vecchio cacciatore vide che il canalone era diventato ben più largo, ma da liscio e pulito che era, ora si presentava ingombro di spezzoni di granito dagli spigoli vivi.
Da sotto di un masso particolarmente grosso spuntava una mano e una lacera manica rossa.
Audagor crollò in ginocchio.
Aveva veramente ucciso il suo Dio?
Gli occhi gli si velarono di lacrime.
Com’era possibile?
“Perché sei così triste? Erano secoli che non mi divertivo tanto. Vieni ad abbracciarmi, figlio mio!”
Audagor si girò e in un lampo volò fra le braccia del suo Dio.
“Da oggi sarai conosciuto anche come “guds morder”: uccisore di Dei”, furono le ultime parole che sentì.
I suoi amici rovesciarono ogni masso, in quel canalone devastato, ma non trovarono nulla.
Prologo III
Jona stava guardando la Pianta, la prima di un piccolo boschetto che circondava la casa di sua figlia. Somigliava a una verza troppo cresciuta, alta un metro e mezzo e larga quasi altrettanto, con grandi foglie di un verde pallido. Attraverso la scorza traslucida di quel grosso frutto giallo, ancora lontano dalla maturazione, si poteva già intravedere l’undicesimo figlio di sua figlia. Sembrava guardarlo con quei due occhioni enormi, sproporzionati anche in quella testa troppo grande per il corpicino raggomitolato cui era attaccata.
Scrollò le spalle, poi rimase immobile mentre i suoi pensieri vagavano lontano.
Prologo IV
Sedeva pensoso sulla sua poltrona preferita.
Dall’ampia finestra entravano la luce del sole e il profumo del mare, ma tepore e salmastro rimanevano fuori della sua coscienza.
Aveva davanti agli occhi il suo Amuleto, un largo disco che sembrava di legno. Ora era inattivo: un grosso medaglione dai bordi arrotondati. Non mostrava la sua potenza.
Quell’Amuleto era stato la sua vita, fin da quel primo incontro con il vecchio Gerba
Era stato la sua vita, l’aveva plasmata, resa ricca, piena.
Ora parlava di morte, della sua morte.
Sapeva bene, dopo tutti gli anni trascorsi, che a sceglierlo era stato l’Amuleto stesso, reagendo alla curiosità, alla voglia di conoscere e a chissà quale altra misteriosa combinazione di caratteristiche di quel ragazzino che si divertiva più alle meraviglie del Tempio di Isto che a giocare con i suoi coetanei.
I suoi pensieri volarono al giorno in cui quello straordinario oggetto aveva fatto irruzione nella sua esistenza.
Non sentì Gerba arrivare alle sue spalle mentre lui era concentrato sul grande libro che aveva di fronte: il “Libro dei Nodi”.
Pur vivendo in un paese di mare, popolato prevalentemente da pescatori, che di cime, drizze, bracci, scotte e dei metodi per giuntarle, intugliarle, intrecciarle qualcosa ne sapevano, non aveva mai immaginato ci potessero essere tanti modi diversi per annodare fra loro due pezzi di corda.
Senza preavviso il vecchio Gerba — allora gli era sembrato davvero vecchio, ma non era molto più anziano di quanto non lo fosse ora lui — ruppe il silenzio facendolo sussultare: “Sapresti rifare quell’intugliatura?”
Gli stava porgendo un lungo pezzo di cordino.
Il giovane Jona aveva fatto il nodo senza degnare di un’occhiata il libro e allo stesso modo aveva fatto senza errori gli altri che Gerba gli chiedeva.
Avevano continuato a discutere a lungo di nodi, corde, intrecci e dei loro usi, poi Gerba aveva tirato fuori da una tasca appesa alla cintura l’Amuleto che splendeva di una luce gialla pulsante: “Sai che cos’è questo, Jona?”
Jona aveva annuito senza parlare mentre Gerba lo posava sul libro con una strana carezza che lo aveva lasciato inerte e opaco.
“Vogliamo vedere se ti riconosce?” Gli aveva chiesto.
Jona aveva allungato la mano esitante poi, vedendo che il suo dito lasciava una scia gialla sulla superficie liscia, si era divertito a fare disegni che svanivano lentamente.
Gerba lo aveva lasciato fare per un po’ poi, quasi parlando con se stesso: “Proprio come pensavo; è ora di fare una visita ai tuoi genitori”, aveva detto, “prendilo e vieni con me, ti riaccompagno a casa.”
Quando erano arrivati a casa l’Amuleto nelle sue mani brillava di una lieve luce giallissima.
La sera stessa Jona, oramai un emozionatissimo Apprendista, aveva salutato i suoi genitori e si era trasferito nella piccola torre sul mare, dove abitava il vecchio mago.
Jona tornò al presente e allungò la mano verso l’Amuleto che reagì immediatamente splendendo di una calda luce dorata.
Troppo calda.
Troppo dorata.
Al giallo della Magia si stava sovrapponendo il rosso della Morte.
Per ora si trattava solo di una lieve sfumatura e nessun altro l’aveva ancora notata, ma Jona la vedeva crescere di giorno in giorno e ancora non era riuscito a capire la natura della minaccia che si stava avvicinando.
Thano era in caccia e non bisognava lasciarsi cogliere impreparati.
Thano, il Dio Cacciatore, infaticabile e perseverante.
Thano, che, alla fine, raggiunge tutti.
Thano, che non ama le cacce facili e ora lo stava avvertendo del suo imminente arrivo.
Il Mago era ragionevolmente sicuro che l’attacco non sarebbe avvenuto tramite una malattia; aveva consultato sua moglie, anche lei una portatrice di Amuleto, proprio di quello di Asclep: il Dio della flora e della medicina.
Il suo parere professionale sul suo stato di salute era stato più che positivo: per un uomo della sua età sembrava aver sopportato le ingiurie degli anni meglio di tanti altri.
Se Dania aveva avuto dei sospetti alla sua richiesta se li era tenuti per sé, in attesa che lui si decidesse a parlarne.
Lo sguardo del Mago corse al grande specchio che spandeva la luce della finestra per tutta la stanza e quello gli rimandò l’immagine di un viso serio, quasi accigliato, di una persona ancora forte, pur se oramai avviata verso il declino, della quale s’intuiva l’energia latente anche ora che era rilassata sull’ampia poltrona di pelle consumata dall’uso.
Nonostante i sessanta anni suonati aveva ancora la maggior parte dei capelli neri a far da contrasto con la barbetta ben curata ormai quasi completamente candida; solo qua e là qualche pelo conservava ostinatamente il colore della gioventù.
“Questa non è la faccia adatta a cominciare la giornata”, borbottò.
Si riempì i polmoni e, mentre espirava lentamente, passò la mano davanti al viso.
Quello che emerse aveva un’espressione sicuramente seria, ma non corrucciata, e con lampi di allegra energia nello sguardo.
Il Cerchio della Morte
Un leggero colpetto sull’uscio lo avvertì che Serna era arrivata: “Avanti”, disse con voce ferma.
L’Apprendista scivolò rapidamente nello studio.
Aveva vent’anni, portava i lunghi capelli corvini raccolti in una coda di cavallo che le arrivava fino alla vita, indossava la tunica marrone che costituiva il suo abito da lavoro; un semplice saio di morbida stoffa che non riusciva a nascondere completamente il fatto che si trattava di una ragazza giovane e carina.
Il Mago s’interessò ai progressi nelle pratiche mattutine, sia fisiche — principalmente esercizi di respirazione ed equilibrio — che mentali — matematica e memorizzazione — come ogni giorno, poi, cambiando tono, chiese a bruciapelo: “Hai notato niente di diverso in me, ultimamente?”
Serna rispose immediatamente: “È da venerdì scorso che ho notato un cambiamento di umore, un’inquietudine, forse un senso di minaccia, maestro.”, disse nel linguaggio formale che usavano sempre quando rivestivano il ruolo di Maestro e Apprendista, “Ho controllato tutto quello che mi è venuto in mente, ma non sono riuscita a trovare la causa della sua preoccupazione, quindi ho atteso che me ne parlasse lei”, concluse.
Jona annuì: era stato proprio il venerdì passato che aveva notato per la prima volta il mutamento nell’aura dell’Amuleto, Serna aveva percepito subito il cambiamento di umore. Molto bene.
Lo prese dal tavolo su cui riposava e lo porse a Serna dicendo: “Questo dovrebbe darti un indizio.”
L’Apprendista aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse senza emettere alcun suono e allungò la mano per prenderlo.
Spalancò gli occhi per la sorpresa quando la mano di Jona lasciò il disco, ma la voce non tradì emozioni mentre analizzava quanto aveva visto: “Nelle sue mani l’Aura dell’Amuleto era più forte, ma con una tinta che virava verso l’arancione, mentre adesso, nelle mie, è molto più fioca, un giallo cromo squillante”, disse continuando a fissare l’Amuleto ed evitando di guardare il padre che, dal canto suo, assentì con un vago sorriso. “Questo significa due cose”, proseguì Serna, “Primo: il legame con me non è ancora completo e l’Amuleto non è ancora disposto ad accettarmi come sua padrona, cosa normale.”
“Secondo: L’Amuleto sta troncando il rapporto con l’attuale Mago — e questo non è normale se non in caso di malattia grave o comportamenti indegni.”
Erano due occhi molto preoccupati quelli che si appuntarono sul Mago mentre Serna lottava per mantenere il distacco intellettuale necessario.
Jona assentì sorridendo: “Penso si possa escludere la malattia grave: l’indagine chiesta a tua madre ha dato esito completamente negativo.”
Serna, mentre il padre parlava, aveva cominciato a rigirarsi nervosamente l’Amuleto in mano e ora, sulla sua faccia inferiore, era visibile un sottile cerchio rosso. Una linea circolare che correva vicino al bordo e che brillava di una tenue luce color sangue.
I due si chinarono a esaminare quella novità che poteva rivelarsi molto pericolosa.
I colori avevano un loro significato e una loro potenza. Quel rosso sangue era la firma di Thano il Dio Cacciatore, il Dio della Morte.
La linea sembrava essere una fessura: non si sentiva nulla al tatto, ma l’unghia, passandoci sopra, s’impuntava leggermente.
“Mai visto nulla di simile”, disse il Mago rispondendo a una muta domanda.
“Amuleto, che cosa ti succede?” L’Amuleto fece comparire l’Avatar, ma non rispose. Era lo stesso atteggiamento di tutti gli Dei con cui aveva parlato in quella settimana: tutti lo avevano rassicurato sul suo operato, ma quando chiedeva qualcosa di specifico su quanto accadeva facevano semplicemente finta di non aver sentito affatto.
Il Mago sapeva bene che cosa significava: doveva trovare la risposta da solo; niente scorciatoie.
Senza bisogno di parlare si diressero verso la grande libreria che copriva un’intera parete e cominciarono la loro ricerca d’indizi e precedenti.
La Cena
Dopo essere rimasti rintanati nello studio per l’intera giornata, i due riemersero e si presentarono nella grande cucina, dove ferveva l’attività per la preparazione della cena.
Erano presenti cinque generazioni, cosa non inconsueta nelle famiglie benestanti
La decana, unica rappresentante della generazione precedente a quella del Mago, era la madre di Dania: una piccola donna, completamente bianca, più vecchia della nonna di Matusalemme, ma che rimaneva dritta come un fuso e aveva occhi di un azzurro pallido che sembravano vederti l’anima. In quel momento stava ispezionando la pulizia delle mani dei marmocchi che rappresentavano la penultima generazione. La seconda generazione era costituita da Jona, il Mago e da sua moglie Dania; i fratelli vivevano per conto loro oramai da parecchio tempo. Jona e Dania erano stati benedetti da Opia quattro volte, a intervalli pressoché regolari, quindi i loro figli avevano età molto differenti.
Il primogenito, un uomo maturo di quarant’anni che era stato appena reso nonno dalla sua primogenita, Vala, ora stava costruendo la casa, dove presto contava di trasferirsi con moglie, figli e nipotino.
La secondogenita non era presente, trasferita a casa del marito quando si era sposata; la vedevano di rado perché, come voleva la tradizione, aveva sposato un uomo di Lava, un borgo a parecchi chilometri di distanza.
Il terzogenito era già sposato e con prole, ma sarebbe rimasto nella casa paterna giacché già da tempo lavorava con la madre Dania. Era lui a cercare le erbe e preparare tutte le medicine, sotto la supervisione di Asclep. Di solito il Dio gli parlava attraverso l’amuleto che, però, non ne voleva sapere di lasciarsi controllare da lui; per un certo periodo la cosa l’aveva infastidito, poi si era rassegnato al ruolo dello speziale e aveva accettato che non sarebbe stato lui il prossimo sacerdote di Asclep
La più giovane era Serna, in età da marito, ma ancora non aveva trovato una persona che fosse abbastanza intelligente e forte da interessarla e, al contempo, disponibile a lasciarle la libertà d’azione indispensabile per una — futura — Maga.
La preparazione della cena procedeva spedita.
Ognuno sapeva quello che doveva fare. L’intera famiglia sembrava una macchina ben oliata che procedeva in modo apparentemente caotico, ma senza scosse o strappi.
La cena stessa fu consumata allegramente chiacchierando degli avvenimenti della giornata, qualche pettegolezzo, scherzi e anche alcune occhiatacce verso il tavolo dei bambini. Jona e Serna non fecero alcun accenno alle ricerche che li avevano tenuti impegnati per tutta la giornata. Gli altri parvero non notare la cosa.
Il Dopocena
Quando i ragazzi, dopo aver rassettato, si ritirarono e rimasero solo gli adulti, Jona prese il suo Amuleto e lo pose in bella vista sul tavolo.
Tutti si fecero attenti, ma non chiesero nulla.
“Ho bisogno del vostro aiuto”, disse semplicemente.
Allungò la mano per toccare l’Amuleto che si accese di una luce chiaramente arancione. Le cose stavano precipitando rapidamente.
Le reazioni preoccupate attorno al tavolo costrinsero Jona ad accelerare i tempi.
“No. Non credo che quello sia il problema, ma, sinceramente, non ho la minima idea di che cosa sia questo”, aggiunse girando l’Amuleto in modo da far vedere la parte inferiore.
Tutti sapevano che il colore rosso indicava la presenza di Thano, il Dio della Morte ed erano quindi comprensibilmente preoccupati della tonalità che aveva assunto l’Aura dell’Amuleto.
Nessuno era preparato a quello che mostrava la faccia inferiore: il sottile cerchio rosso era ora nettissimo e ora la parte interna del cerchio splendeva di luce rosso sangue.
“Ho provato a chiedere direttamente all’Amuleto, ma si è rifiutato di rispondere. Abbiamo allora cercato riferimenti in tutti i testi che ci sono nello studio. Nulla.”
Continuarono a parlare per un po’, ma si continuava a girare in tondo, senza trovare idee che non fossero già state esplorate in precedenza, poi la vecchia Darda, che era rimasta a sentire senza dire nulla, prese la parola e, come sempre accadeva, si fece un immediato silenzio:
“Forse faresti meglio ad andare al tempio di Isto.”
“Mi pare di ricordare”, proseguì dopo una lieve pausa,
“E questo che c’entra con me?” Sbottò Jona.
“Brava!”Disse una voce possente, mentre un’aura rossa si formava sopra l’Amuleto del Mago e, lentamente, prendeva le sembianze di Thano.
Il Mago si affrettò a inginocchiarsi e a chinare il capo, ma poi si rialzò, guardò dritto negli occhi il Dio e disse: “Che cosa vuoi da me, Thano?”
Il Dio rise.
Era un riso sincero, non il ghigno beffardo che ci si aspettava da Lui.
Il Mago aspettava. Attorno a lui la scena era strana: Darda e Serna erano inginocchiate con la fronte sul pavimento, ma tutti gli altri erano rimasti bloccati nella posizione che avevano quando Darda aveva cominciato a parlare.
“Alzatevi.”
Darda e Serna si affrettarono a obbedire.
“Guardate!”
L’Amuleto, sul tavolo, era completamente inerte e non emanava alcuna luce. L’immagine del Dio, che ne era uscita, sembrava ora essere completamente indipendente. Una luce rosso sangue cominciò a brillare sotto di esso, come se venisse dal tavolo e non dall’Amuleto, che continuava a rimanere un simulacro senza vita.
“Prendilo, Mago.”
Jona allungò la mano senza esitazioni e prese l’Amuleto.
Quello continuò a rimanere completamente inerte, come un grosso medaglione di legno opaco, senza reagire al suo tocco. L’attenzione di tutti era rivolta a ciò che era rimasto sul tavolo: un altro Amuleto, un po’ più piccolo, brillava della luce rossa di Thano con potenza spaventosa, tanto che gli occhi faticavano a metterlo a fuoco. Distinguere qualcosa della sua superficie era assolutamente impossibile.
Il Mago girò il suo Amuleto e, come si era aspettato, la sua faccia inferiore presentava un avvallamento circolare, lì dove si era distaccato l’Amuleto di Thano, lungo la linea rossa che avevano notato in precedenza.
L’incavatura si stava lentamente riempiendo e in pochi istanti tornò ad apparire di nuovo intatto, ma continuò ad ignorare il tocco del Mago.
“Non è più tuo, Mago, rassegnati”, disse Thano con un tono misto di canzonatura e di commiserazione.
Senza una parola Jona passò l’Amuleto a Serna; quello reagì immediatamente illuminandosi di una vivace luce gialla.
Il Mago prese quindi l’Amuleto di Thano. L’aura luminosa che lo circondava divenne per un istante ancora più luminosa accecando tutti i presenti, poi fluì intorno al Mago e quindi sparì in lui, lasciando l’Amuleto a brillare di una luce rossa meno minacciosa, ma sicuramente potente.
Thano riprese a parlare: “Tutti sanno che io sono il Dio Cacciatore. Tutti sanno che io, alla fine, li raggiungerò e li ucciderò, perché questo è il mio Compito. Pochissimi sanno che, a volte, i ruoli s’invertono.” Fece una lunga pausa per permettere alle sue parole di penetrare nelle loro menti.
“Sì, Mago. Hai capito bene. TU devi dare la caccia a ME.”
“Il tuo nuovo Amuleto ti aiuterà, abbine cura”, con queste parole, senza alcun preavviso, Thano scomparve.
Decisioni
Come marionette cui siano stati recisi i fili, gli altri membri della famiglia crollarono al suolo, svegli ma doloranti.
I tre che non avevano subito la paralisi si affrettarono ad aiutarli a rialzarsi.
Dania, dopo una singola occhiata al marito, vedendo lo strano Amuleto rosso che reggeva, chiuse la bocca che aveva aperto per fare domande, si tirò faticosamente in piedi e cominciò le invocazioni per alleviare i dolori provocati dalla contrazione della paralisi mentre Jona cercava di aiutarla.
Gli altri scatenarono una babele di domande alla quale l’Amuleto di Thano reagì con pulsazioni minacciose.
“Basta!”, ruggì il Mago preoccupato.
“Abbiamo avuto una Visita”, proseguì con tono assolutamente piatto, come se stesse chiedendo l’ora, “e, se siete stati bloccati, è evidente che Qualcuno vuole mantenere il riserbo. Non credo sia prudente contrariarLo”, a queste parole l’Amuleto rosso cessò di manifestare la propria irritazione e passò a una tonalità più lieve. Jona incassò l’indiretta approvazione del Dio.
Il vociare cessò immediatamente e una calma apparente ritornò nella grande cucina. Si affaccendavano solo Dania, impegnata a lenire i dolori e Darda, che preparava una tisana per tutti.
Padre e figlia si guardarono impotenti con i loro amuleti in mano che, in quel momento, non si fidavano ancora a usare.
Quando la tazza fumante venne a posarsi davanti a lui prosegui, guardandola come se cercasse di trovare ispirazione nelle leggere volute di vapore: “Non so quanto posso dirvi”, l’Amuleto lanciò un singolo lampo — che non sfuggì al Mago — “poco, suppongo.”
“Mi è stata affidata una Missione e presto dovrò partire.”
“Ancora non mi è chiaro quanto tempo ho per prepararmi e quanto starò via, ma temo che la risposta sia “poco” alla prima domanda e “tanto” alla seconda.” “
La tazza della tisana era oramai vuota e il silenzio si trascinava.
La riunione familiare si sciolse lentamente senza che nessuno aggiungesse nulla. Le uniche parole furono i rituali formalismi della buona educazione: saluti e auguri pronunciati più con la bocca che con il cuore. Tutti erano immersi nei loro pensieri.
Jona si avviò assieme a sua moglie su per le scale che conducevano alla loro camera.
I pensieri erano cupi: aveva condiviso una vita con Dania, non le aveva nascosto mai nulla
Erano nel corridoio al piano superiore, oramai soli, quando Dania gli prese la mano e lo costrinse a voltarsi verso di lei:
“Non stai dimenticando qualcosa?”, disse facendogli dondolare il suo Amuleto davanti agli occhi.
Vedendo la sua espressione confusa, lei scoppiò in una risata autenticamente divertita: “Sono anni che non riesco più a prenderti di sprovvista!”, esclamò, poi, fattasi seria, “Povero caro, deve essere stato un brutto colpo per farti dimenticare che anche tua moglie è una sacerdotessa e conosce bene la durezza della volontà degli Dei e di quella di Thano in particolare.”
Jona abbracciò la moglie senza parlare e sentì la tensione che si scioglieva in lui.