3: La Partenza

La mattina

La colazione fu abbondante e rumorosa come il solito, forse un po’ più del solito.
La consapevolezza del distacco era presente in tutti; anche i bambini, ai quali erano state date solo vaghe indicazioni su un “viaggio di ricerca”, per evitare che si domandassero troppo presto che fine avesse fatto Jona, sentivano la tensione nell’aria e facevano di tutto per attirare l’attenzione degli adulti. Jona, dal canto suo, faceva del suo meglio per rispondere a quelle sollecitazioni che gli facevano molto piacere, anche se rendevano ancor più pesante il distacco.
Raccolse lo zaino, si fermò sulla soglia per abbracciare la sua famiglia in un ultimo sguardo, e uscì, seguito da Serna.

Scesero nella stalla, dove il calesse era già pronto.
Serna salì in cassetta e fece girare il cavallino nel cortile, mentre Jona apriva il portone.
Tolse la spranga, tirò le pesanti ante che si aprirono lentamente cigolando sui cardini.

Sui Monti

Si diressero verso nord, seguendo le indicazioni della bussola che continuava a puntare ostinata in quella direzione.
A nord c’erano le montagne, così vicine da sembrare un’immensa onda che volesse infrangersi sulla spiaggia dal lato sbagliato.
Appena uscita dal paese la strada prese ad arrampicarsi sui primi contrafforti coltivati a terrazze. Jona si guardava intorno per imprimersi nella memoria quel panorama familiare che stava per lasciare per chissà quanto tempo. Forse per sempre.

Un brivido gli corse lungo la schiena. Conosceva Ligu come le sue tasche, aveva viaggiato spesso e volentieri, ma non aveva quasi mai lasciato i suoi confini. Solo una volta era arrivato a sud, oltre il fiume che segnava il confine e dove le montagne si allontanavano dal mare, lasciando in mezzo chilometri di una strana terra piatta che chiamavano pianura. Chissà se avrebbe rivisto un simile spettacolo?

La strada li condusse a Lava, dove c’erano le cave di ardesia usata per i tetti. Era oramai tarda mattinata e la carrareccia finiva lì.
Verso nord proseguiva un sentiero usato dai pastori, largo e comodo, ma inadatto per il calesse.
Serna tirò le redini proprio nello spiazzo, alla fine di Lava dove cominciava il sentiero, vicino al lungo fontanile. Non c’era nessuno lì intorno.
Jona condusse il cavallo ad abbeverarsi senza staccarlo dal calesse. La sosta sarebbe stata breve.
Stava pensando intensamente, voleva dire qualcosa alla figlia prima di andarsene, ma non riusciva a trovar nulla che non fosse o banale o terribilmente retorico.
Serna interruppe i suoi pensieri:
Jona si voltò e aprì le braccia. Serna volò ad abbracciarlo. “Grazie.”
Fecero uno spuntino leggero, mentre una parte di Jona, rasserenato, notava come Serna avesse imparato bene le tecniche per rompere la tensione che lui stesso le aveva insegnato. Il fardello del Mago-Mediatore era pesante e lui lo sapeva, ma quelle spalle erano solide. Non doveva preoccuparsi troppo per lei.

Serna

Il cuore di Serna stava cantando.

Suo padre conosceva bene la strada su cui stava camminando
Sarebbe tornato, non ne aveva il minimo dubbio.

Sentiva che questo momento era l’inizio di una nuova vita e non vedeva l’ora di cominciare.
Tutto era perfetto.
Era pronta ad affrontare l’impegno della sua nuova professione di Maga.
L’Amuleto rispondeva al tocco come mai prima d’ora, anzi, forse con più prontezza di quanto avesse fatto con suo padre.

Una nuvola passò nei suoi pensieri: sarebbe riuscita a farcela?
Suo padre avrebbe sicuramente saputo cosa fare.
Ovunque sia, in questo o un altro mondo, Jona il Mago sarà sempre al mio fianco. Io sono la reggente. La sua ombra mi guiderà.
La decisione era stata presa. Si rendeva conto anche lei che si trattava di un trucco, ma era di trucchi che vivevano i Maghi.

Solo

Jona camminava con i lunghi passi lenti di chi sa di avere molta strada davanti a sé. Ora che il viaggio era ufficialmente iniziato — il vero momento della partenza, nella sua mente, era stato quando aveva salutato la figlia — il suo umore era cambiato, come sempre gli succedeva all’inizio di un nuovo compito.
Prima era il tempo delle preoccupazioni, delle paure, delle incertezze.
Ora era il momento del fare; Jona si muoveva in scioltezza, raramente voleva vedere un lavoro finire in fretta. Di solito voleva vederlo finito bene. Nella sua mente aver “fretta” era quasi sinonimo di abborracciare, tirar via, fare male. Oh, certo, a volte le cose dovevano essere fatte velocemente, ma mai “in fretta”.

Lasciò la mente vagare mentre le gambe facevano il loro mestiere.
Aveva una ragionevole speranza di arrivare alla fine del viaggio. Thano non avrebbe inscenato una commedia così complicata solo per farlo precipitare in un burrone, ma, comunque, meglio guardare bene dove si mettono i piedi, tanto per stare sul sicuro.
Continuò a camminare per un paio d’ore prima di arrivare al Fontanile Alto.
Il Fontanile Alto era al centro di un vasto pascolo verde che sorgeva a mezza costa, sulla cima di una collina, proprio ai piedi delle montagne. Anche lì non c’era nessuno. Le greggi, nella bella stagione, erano tutte nei pascoli d’alta quota. Lì si era ancora relativamente in basso, a poche centinaia di metri sopra il mare.
La vista era splendida. Jona indugiò a lungo. Sotto di lui il golfo di Tigu si apriva verso il mare aperto. Da qui era facile capire la vocazione marinara delle genti di Ligu. Le montagne schiacciavano i paesi verso il mare e, nonostante gli eroici tentativi di colonizzarle con terrazzamenti, era verso il mare che si andava per cercare cibo e commerci. Un mare generoso, ma che esigeva anche un alto prezzo. Tante, troppe navi non erano tornate in porto. Jona si vide, per un momento, come una nave appena fuori dal porto.
“Beh, se stiamo lasciando il porto, è bene pensare alla rotta”, disse rivolgendosi all’Amuleto che era rimasto al suo posto, incastonato nel bastone. L’Amuleto si accese, ma rimase silenzioso. Jona lo tolse dalla sua sede e lo tenne in mano soppesandolo per qualche momento, mentre osservava la bussola che continuava a puntare dritta a nord.
“In mare potrei cercare di seguire la rotta più breve, ma qui non siamo in mare. Non potresti essere un po’ più preciso nell’indicarmi la strada? Qui finisce anche il sentiero principale e ne cominciano parecchi altri che, per la maggior parte, non conosco.”
“Ogni Vostro desiderio è un ordine!”, Jona rimase allibito. L’Amuleto lo stava prendendo in giro? Il suo — l’Amuleto di Serna, ora, si corresse mentalmente — non gli aveva mai parlato così. Un istante dopo il pensiero fu dimenticato.
Sopra l’Amuleto si era formata un’immagine di cui Jona non aveva mai visto nulla di simile. Era indubitabilmente una mappa delle montagne, ma non era una mappa. Sembrava che le montagne stesse fossero state rimpicciolite e Jona le guardasse dall’alto.
“Noi siamo qui”, disse l’Amuleto facendo apparire un cerchietto rosso in mezzo ad un minuscolo prato verde, “e il passo sta lì”, un cerchietto verde apparve fra due cime verso nord-nord-est. Una sottile linea gialla serpeggiava fra i due cerchietti.
Jona si guardò attorno cercando di orientarsi. Ai suoi piedi apparve una striscia gialla, o meglio, una stretta stradina formata da piccoli mattoni gialli. La stradina proseguiva per pochi passi verso nord e poi diventava diafana e spariva.
Jona fece qualche passo sulla stradina e non si stupì certo di sentire l’erba sotto i piedi. Sapeva che si trattava di un’immagine senza corpo prodotta dall’Amuleto. La stradina spariva alle sue spalle e, davanti a lui, si allungava man mano che procedeva.
Dopo pochi passi Jona deviò verso il fontanile. Depose lo zaino e bevve un po’ d’acqua. Guardò il sole. Aveva ancora almeno quattro ore di luce buona.
“Mi fai rivedere la mappa, per favore?”
La mappa ricomparve mentre la stradina spariva.

La sera

La radura era esattamente come l’aveva vista sulla mappa: uno spiazzo erboso ai piedi di una parete rocciosa che la chiudeva su due lati. C’era anche una piccola rientranza nella parete, non proprio una caverna, ma comunque un riparo. Il sole stava tramontando. Meglio sbrigarsi.

Jona depose il suo zaino in fondo alla rientranza e, per prima cosa, cominciò a raccogliere legna per accendere il fuoco. Qualche pastore doveva aver già bivaccato da quelle parti: un focolare di pietre lo attendeva bell’e pronto proprio davanti alla rientranza della roccia. In pochi minuti aveva raccolto rami secchi a sufficienza per tutta la notte. Tirò fuori la pietra focaia e il suo coltello d’acciaio e fece cadere una pioggia di scintille sull’esca, che non sembrò accorgersene. Jona la esaminò un attimo e imprecò fra i denti: era lievemente umida; accendere il fuoco sarebbe stato un affare nient’affatto divertente.
“Posso?”, interloquì l’Amuleto.
Jona lo tirò fuori, “”Posso” cosa?”
“Darti una mano, ovviamente”, disse l’Amuleto.
Jona stava per rispondere, poi notò la sottile spira di fumo che saliva dagli aghi secchi che aveva messo sotto la legna. In pochi secondi il rosso fiore del fuoco sbocciò e lui si affrettò ad alimentarlo. La legna non era molto secca ma resinosa; dopo poco tempo il fuoco scoppiettava allegramente e Jona poté smettere di soffiare per dargli forza.
Si sistemò davanti al fuoco e cominciò a sbocconcellare un pezzo di torta salata fatta da Dania.
“Tutti gli Amuleti sanno accendere il fuoco?”
“Certo! Non siamo uguali, ma parecchie cose le sappiamo fare tutti.”
“Uhm, e allora perché ho sempre dovuto farlo io?” Il vecchio Amuleto non si era mai offerto di “dargli una mano”; è vero che Jona non aveva mai chiesto esplicitamente aiuto, ma non l’aveva fatto neppure questa volta!