Jona seguì Arianna su per le scale fino a una serie di stanze che avevano l’aria di essere tutte vuote. Lei lo guidò nella più piccola, con un solo grande letto e una cassapanca sotto la finestra. Tolse dalla cassapanca un grosso asciugamano grezzo e glielo porse assieme a un pezzo di sapone profumato dicendo: “La stanza da bagno è proprio qui accanto. Io intanto preparo il letto.”
Il Mago non se lo fece ripetere. Aveva già notato che il tetto della locanda era spiovente verso sud e ricoperto da grandi piastrelle nere che somigliavano parecchio a quelle che erano sul tetto di casa sua; si trattava di tegole solari attraverso le quali passavano dei tubi che portavano l’acqua. Il risultato era un accumulo d’acqua calda. Il progetto era stato uno dei doni di Festo più apprezzati. Dopo una settimana di notti all’addiaccio una doccia calda era un lusso che Jona pregustava da quando era arrivato.
Ripulito e con i vestiti di bucato Jona si sentiva bene. Era pronto per una bella cena. Non era pronto, invece, per quello che lo aspettava nel suo letto: Arianna.
“Benedetta ragazza, ma che pensi di fare?”
“Quello che ha detto la Zia, naturalmente”, rispose lei scoprendosi quanto bastava per essere provocante sotto il velo leggero del lenzuolo.
“Non se ne parla nemmeno! Rivestiti immediatamente!”
Lei ci rimase male: “Che cos’ho che non va? Il naso troppo grosso?”, disse scoprendosi completamente, “o forse è il seno che è troppo piccolo?”
Jona si passò una mano sul viso, poi si avvicinò, raccolse il lenzuolo che lei aveva scagliato per terra e glielo avvolse intorno al corpo. Sentì che tremava leggermente.
“Solo?”
“Solo che assomigli troppo a mia figlia, benedetta ragazza!” Non le disse che la sua figlia più giovane aveva, a occhio e croce, quattro anni più di lei. Sentì comunque che Arianna si rilassava.
“Ho finito il primo corso al tempio di Dionne con il massimo dei voti l’anno scorso”, disse con evidente orgoglio, “ora sto facendo pratica qui con la Zia. Se sarà soddisfatta — e lo sarà! — mi darà l’attestato pratico. Con quello posso entrare al corso per Etera!”, concluse con occhi sognanti.
“Oh!”, disse Jona debitamente impressionato, “E che cosa è, esattamente, un’Etera?” Arianna gli lanciò un’occhiataccia. “Ricorda che io non vengo dalla Valle, ma di là dai monti”, si affrettò ad aggiungere il mago, “da noi non ci sono Etere, almeno non con quel nome.”
Arianna fece un piccolo sospiro e cominciò, recitando a memoria con l’aria di chi sta spiegando cose ovvie che tutti dovrebbero sapere fin dalla culla: “Un’Etera è un’esperta delle dodici arti di Dionne: Canto, Danza, Conversazione, Flauto, Arpa, Preparazione dei Cibi, Preparazione delle bevande, Profumi, Massaggio, Afrodisiaci, Seduzione e Sesso”
“E tu sai fare tutte queste cose?”
“No, naturalmente!”, sbuffò Arianna, sempre più convinta di avere a che fare con una specie di ritardato mentale, “Ti ho detto di aver fatto solo il primo corso! Lì si fanno solo Canto, Danza, Massaggio e Sesso. Io però ho già cominciato Arpa e la Zia mi sta insegnando le Preparazioni di base”.
“Bene”, disse Jona sorridendo, “io ti posso dare una mano con il corso di Conversazione.”
Arianna lo guardò di traverso, cercando di capire se la stava prendendo in giro e non ci riuscì per un ottimo motivo: Jona, come al suo solito, stava mescolando significati e quindi la prendeva garbatamente in giro, pur essendo serissimo.
“Vedi, l’arte della conversazione, a differenza di quel che si pensa, è l’arte di lasciar parlare gli altri, facendo, però sentire la nostra presenza. Proviamo.”
“C’erano molti giovani con te al corso?”
“Oh, la maggior parte erano fidanzatini che volevano fare le cose per bene”
“E ci sono riusciti?”
“Sì, quasi tutti”, ridacchiò,
Continuarono a parlare a lungo, fino a che non si cominciò a sentire un rimbombo ritmato venire dal basso. Il rimbombo prese forma e divenne un nome urlato ritmicamente:
Pochi minuti dopo Jona scese a sua volta nella sala, ora gremita, e la trovò che danzava a piedi nudi su un piccolo tavolino al centro dello stanzone, mentre Paolo suonava un flauto di Pan. Rimase a guardarla a lungo. Aveva veramente del talento. Chissà se era altrettanto brava a letto, pensò oziosamente.
La Zia, nel frattempo navigava fra i tavoli con un enorme vassoio carico di ogni ben di Dio. Quando passò accanto a Jona, mentre gli piazzava sul tavolo, con una precisione che denunciava anni di esercizio, un largo piatto di legno con la polenta ricoperta di formaggio e funghi, un bicchiere e una caraffa di vino rosso, gli chiese: “Tutto bene?”