Verso Mila

Jona rimase alla locanda per tre giorni, aspettando che i mercanti di vino preparassero il carico da portare fino a Mila. Caute domande lo avevano convinto che quella era la direzione che la Bussola indicava.

Al momento della partenza la Zia lo sorprese salutandolo con un caloroso abbraccio: “Abbi cura di te, Jona”, gli disse, poi gli allungò tre fogli arrotolati e fermati con una grossa goccia di cera; “sulla strada troverai parecchie locande, ma queste sono le migliori. Ti faranno un buon prezzo e ti aiuteranno”, poi si girò e rientrò nella sua locanda.
Jona salì sul secondo carro, trainato da una coppia di buoi assieme al guidatore: un uomo che doveva avere pressappoco la sua età e che aveva l’aria di conoscere bene il suo mestiere. Il mercante aveva storto il naso all’idea di avere un passeggero, sia pure pagante, ed era stato proprio Alberto, così si chiamava il conducente, a convincerlo. Aveva parlato un po’ con Jona alla locanda e sapeva che chiacchierava volentieri. Il viaggio era lungo, lento e noioso; un po’ di compagnia sarebbe stata ben gradita. Alla fine il mercante, di malavoglia, aveva acconsentito.

Durante il viaggio Jona ne chiese la ragione ad Alberto: “Perché non mi voleva?”, disse indicando il mercante con un cenno del capo.
Alberto lo squadrò, indeciso se dare una risposta sincera, poi disse quasi brutalmente: “Ha paura tu sia una spia dei briganti”.
Jona rimase un attimo in silenzio, poi:
“No, non servirebbe a niente, per due buoni motivi: primo, se anche lo fossi, non me lo verresti certo a dire; secondo, lo so già”, fece un cenno verso il mercante, “Quello lì ha paura perché non ha mai visto un vero brigante in azione in vita sua. Se ne fa un gran parlare, ma la strada da qui a Mila è oramai sicura; sono anni che non succede niente. Comunque tu non hai la faccia del brigante”, lo squadrò di nuovo, “di sicuro ti porti appresso parecchi segreti, ma giurerei che sei fondamentalmente onesto.”
Jona si affrettò a cambiare discorso:
“Dove?”
“Al passo. Ero sulla cresta a cercar verbena e ho visto tutto. Una piccola carovana che portava olio è stata aggredita in un baleno. Non ho potuto far nulla.” Jona rabbrividì al ricordo dell’episodio e di quello che ne era seguito.
“Già. La Zia mi ha detto che il carico d’olio è arrivato con gente diversa e che i “mercanti” hanno voluto essere pagati in denaro, invece di barattare con stoffe e grano come al solito.”

“E che doveva fare, secondo te? Mandare Arianna a Torta a chiamar gli sbirri? Il prodotto era buono, il prezzo pure: certo che ha comprato!”
“Non se ne occupano i Maghi?”, chiese Jona cauto.
“I Maghi? E che c’entrano?”, rispose Alberto sinceramente stupito.
“Da noi in Ligu è compito dei Maghi trovare gli autori di ruberie, qui non lo fanno?” Chiese, ricordando perfettamente come spesso la gente si rivolgesse a lui non appena mancava uno spillo e come, nella maggior parte dei casi, lo “spillo” in questione risultasse poi spesso solo smarrito dal proprietario. In questi casi Jona applicava tariffe salatissime per il tempo perso. Niente da fare: la gente continuava a venire. Una volta una donna era venuta piangendo per un anello “rubato”, che poi era stato trovato nella tasca del suo grembiule! Alberto lo strappò dal flusso dei ricordi: “E quanti Maghi avete in Ligu? Ce ne vorrebbe un esercito per controllare tutti i furti.”
“Perché, al villaggio non c’è un Mago?”
“Noddavvero! Non ce n’è uno nemmeno a Torta. Il più vicino credo che sia proprio a Mila.”
Jona ci rimuginò su un po’. Certo che se, lì nella Valle, i Maghi erano così rari le cose cambiavano. Pensò al suo Amuleto, che ora portava al collo, appena sotto la camicia, per evitare che la gente si accorgesse che non era veramente lui a parlare.
“Così pochi?”, si sorprese Jona, “e che cosa fanno, qui?”
“Mah, chi lo sa? Se ne stanno a Corte. Penso che diano consigli ai Signori, ma non lo vengono certo a raccontare a me.”
“Senti, Alberto, mi rendo conto di sapere ben poco della Valle, perché non mi racconti qualcosa?” Alberto cominciò a narrare. Aveva viaggiato parecchio con il suo carro e il passo lento e regolare dei buoi gli dava tutto il tempo per guardarsi attorno e pensare. Anche troppo.
Alberto parlò per quasi tutto il giorno, mentre la valle che stavano discendendo si allargava e i monti che la chiudevano si facevano sempre più bassi. Jona venne, a un certo punto, preso quasi da un senso di vertigine alla vista di quella distesa piatta più del mare. Davanti a lui si ergevano le basse mura di Torta, la loro destinazione per la serata.
Jona sapeva esattamente cosa aspettarsi, visto che Alberto ne aveva parlato parecchio. Arrivarono alla porta al tramonto e si misero in fila con gli altri per il controllo. Le guardie fecero poche domande al mercante, ben conosciuto, e fecero passare il convoglio senza altre formalità che il pagamento di una gabella.
Dietro le porte c’era una grande piazza e proprio lì, da un lato, si vedeva l’insegna della taverna dove erano diretti, la stessa consigliata dalla Zia.
La sera, chiuso nel suo stanzino, Jona chiamò la figlia. Fece un rapido resoconto della giornata e terminò dicendo:
“Ma perché pagare la gabella solo per passare? Non conveniva fermarsi fuori dalle mura?”, chiese Serna.