Mila

Il viaggio verso Mila durò più di una settimana. Alla fine Jona sapeva della Valle e dei suoi abitanti più di quanto avrebbe mai immaginato si potesse sapere e anche Alberto aveva fatto scorta di tanti nuovi aneddoti da scambiare con gli altri guidatori.
Jona più di una volta si era sentito sperso in quella vasta pianura dalla quale non si vedevano montagne nemmeno in lontananza.
La foschia che sembrava eterna aveva inghiottito i monti prima che lui arrivasse a Torta e, da allora, la campagna continuava piatta fra praterie, piccoli boschi e campi coltivati.
Il sesto giorno arrivarono a un enorme fiume, più grande di qualsiasi altro Jona avesse mai visto: l’Erido. Passarlo fu un affare lungo. Ci misero quasi tutta la giornata. Il fiume era lento e placido, ma ben più largo di un tiro di freccia e sembrava parecchio profondo.
Il traghetto, una larga zattera assicurata a un cavo teso fra le due sponde, poteva portare un solo carro per volta, senza gli animali; poi doveva tornare indietro, a volte con un altro carico che viaggiava in senso opposto, per prenderli, poi doveva portare il carro successivo. Ben prima che l’operazione fosse completata l’interesse di Jona per le manovre, a lui nuove, si era ampiamente esaurito e lui era annoiato quasi quanto gli interminabili giorni precedenti.
Finalmente, in un caldo pomeriggio d’estate vide apparire da lontano le alte mura di Mila.
Avvicinandosi si rese conto che si trattava di mura costruite per resistere a un lungo assedio, anche se non sembrava fossero state usate di recente.
Il sole era ancora alto quando si misero in fila per passare la porta. Una volta dentro Jona salutò i suoi compagni di viaggio e si addentrò nella città. Dalla grande piazza dietro la porta s’irradiava un ventaglio di vicoli sui quali si aprivano le botteghe d’innumerevoli artigiani. Sembrava che ogni vicolo fosse dedicato ad un’arte, così Jona, seguendo le indicazioni dell’Amuleto, si trovò a passare davanti a una teoria di botteghe di fabbro, poi, girato l’angolo, fu la volta dei vasai e quindi quella dei ciabattini. Jona rallentò un attimo indeciso se investire una parte delle sue monete in un paio di scarpe più leggere dei suoi scarponi da montagna. Vista la sua esitazione, i cinque ciabattini più vicini si lanciarono su di lui decantando i pregi delle proprie creazioni. Jona riuscì a sgusciare via mentre quelli venivano quasi alle mani per litigarsi il presunto cliente.
Poco dopo si trovava davanti al tempio di Palla. La bussola puntava direttamente verso l’ingresso, purtroppo chiuso.
Jona valutò l’ora. Il sole illuminava ormai soltanto i tetti, i vicoli stavano diventando rapidamente bui e gli artigiani cominciavano ad accendere le lanterne. A malincuore Jona tirò fuori l’ultimo dei rotoli che la Zia gli aveva dato e chiese all’Amuleto: “Sai come arrivarci?”
“Certo!”, rispose quello, “prendi la via a sinistra, quella dei vetrai.” Jona si diresse da quella parte.

Camminava da qualche minuto quando l’Amuleto sibilò: “Attento al ragazzino!”
Jona non ebbe bisogno di chiedere di quale ragazzino parlasse. Un monello di non più di sei anni girò l’angolo correndo e venne a schiantarsi contro di lui. Jona lo aiutò a rialzarsi e quello farfugliò una mezza scusa e fece per andarsene. Jona lo afferrò saldamente per un orecchio. Vistosi scoperto tentò un colpo basso, ma Jona se lo aspettava e rispose con un sonoro ceffone che spedì il furfantello per terra. Prima che potesse rialzarsi aveva già recuperato la sua borsa dei denari caduta dalla manica del ragazzino.
“Grazie”, disse semplicemente, in parte seriamente all’Amuleto e in parte, come sfottò, al ladruncolo. Poi riprese la sua strada.

Jona si sentì punto sul vivo, ma sapeva che l’Amuleto aveva ragione e rimase zitto.