6: I Monti Aalp

Sul Lago

La mattina era splendida e le montagne sembravano tanto vicine da poterle toccare soltanto allungando la mano fuori dalla finestra.
Jona assorbiva ogni particolare. Il suo compagno di viaggio, forse troppo abituato a quella vista, forse semplicemente incapace di apprezzare tanta bellezza, la ignorava completamente e si preparava alle trattative con i primi clienti: le segherie di Kum.
Il sole non era ancora arrivato a illuminare il lago che loro erano alla segheria, già in piena attività.
Era situata proprio nel punto dove il lago si restringeva per diventare fiume. Larghe rogge portavano acqua alle pale di mulini che giravano maestosi. Jona non aveva mai visto nulla di simile. Le grandi ruote erano coloratissime e lucide, sembravano di ceramica, ma non potevano esserlo: erano alte più delle case vicine, che avevano anche tre piani! Giravano senza cigolii, mentre dal grande opificio arrivava un frastuono di seghe e tonfi di tronchi trasportati.
Il carro del fabbro arrivò alla segheria costeggiando una roggia su cui galleggiava una flotta di tronchi. Una squadra di operai aveva il compito di fermarli e farli passare uno per volta nello stretto canale che entrava nella segheria.
“Ben trovato, Michele!”, disse una voce soverchiando momentaneamente il fracasso, proprio mentre fermavano il carro davanti alla grande porta che immetteva nel capannone della segheria, “entra, ti stavo aspettando”.
Jona aiutò Michele a scaricare le lame di sega, sia circolare sia a nastro che erano venuti a vendere e a caricare quelle vecchie, oramai consunte, da rigenerare, poi, mentre i due si ritiravano in un angolo meno rumoroso a parlare di prezzi, pagamenti, prossime consegne e chissà che altro, Jona rimase piantato a gambe larghe a imprimersi nella mente i particolari della grande segheria.
La ruota ad acqua forniva il movimento a tutti i macchinari, trasmesso mediante cinghie ai meccanismi più disparati.
Le cose più semplici, in fondo, erano proprio le grandi seghe che affettavamo i tronchi in tavole di spessore costante, Un po’ più complessi erano i meccanismi che prelevavano i tronchi stessi trasportati dalla roggia fino alle seghe e poi fino alle cataste, ma la meraviglia era il grande argano che sollevava degli enormi pacchi di tavole e li depositava in file ordinate all’esterno, dove avrebbero finito la stagionatura. Jona stava ancora cercando di capire come riuscissero a trasmettere il movimento a quell’enorme struttura appesa al soffitto del capannone quando Michele e il capomastro ritornarono.
Michele aveva un’aria soddisfatta che la diceva lunga su come fossero andate le trattative.
Il capomastro disse, indicando Jona con il pollice:
Michele si limitò a sorridere e Jona si ripromise d’indagare su chi o che cosa fossero questi “Nani”, ma poi dimenticò la faccenda.

I Boscaioli

Il viaggio verso la loro seconda meta fu lungo, anche se relativamente agevole.

Prima costeggiarono il lago di Kum per un lungo tratto, poi s’infilarono in una valle laterale, seguendo un largo canale che aveva tutta l’aria di essere artificiale e che li portò a un altro lago incastrato fra i monti: il lago di Luga. Lo costeggiarono sulla sua riva settentrionale fino ad arrivare a Luga. Una cittadina di pescatori e boscaioli.
Jona e Michele si fermarono nell’immancabile locanda, dove furono accolti da una donna energica e cordiale che avrebbe benissimo potuto essere una sorella della Zia.
“Sei un po’ in ritardo quest’anno, Michele!”
“Puoi dirlo forte Linda”, rispose lui, “oramai si staranno chiedendo tutti che fine ho fatto. Gli arrotini devono aver consumato le mole per cercare di rifare il filo alle accette dell’anno scorso.”
“Ma che è successo?”
“Grandi lavori a Castello. Il Visconte ha deciso di render dura la vita ai ladri. Ha fatto mettere inferriate e cancelli da tutte le parti. Ha requisito tutti i fabbri di Mila. Per fare il lavoro per i nostri affezionati clienti”, disse strizzandole l’occhio, “abbiamo dovuto lavorare di notte!”
“Sì, ti ci immagino proprio a lavorar di notte”, sbuffò lei, “ma con un altro genere di martello!”
“Via, Linda, non farmi torto, lo sai che aspetto di venire a trovarti tutto l’anno.”
“Dove sono a tagliare, quest’anno?”
“Alle Ceneri”, rispose lei e Michele imprecò fra i denti.
“Fin lassù? Ci vorranno altri giorni per arrivare. Avevo sperato di rimanere qui per un po’”, disse lui evidentemente deluso.
“Non può andare lui?”, chiese Linda speranzosa accennando a Jona “Sembra un tipo capace”.
“Probabilmente lo è, e anche un po’ matto, ma non ci può aiutare: è un erborista che sta andando a cercare erbe strane a nord, mi ha pagato per portarlo fin qui”.
“A nord? Allora è ben più che “un po’” matto”, disse lei guardando Jona con uno strano sguardo misto di rispetto e di sospetto. Meglio non indagare in quel momento, decise Jona, ma c’era qualcosa che lui non sapeva e che, con ogni probabilità, sarebbe stato importante di lì a breve.
Quella sera, per la prima volta da quando avevano lasciato Mila, Jona ebbe una camera da solo. Non aveva alcun dubbio di dove fosse Michele. Stasera avrebbe potuto chiamare Serna in tutta tranquillità.
Fece un lungo resoconto dei giorni precedenti, ma l’unica cosa veramente degna di nota era stata la visita alla segheria.
L’amuleto stupì tutti producendo una perfetta riproduzione dei meccanismi, così come li aveva visti Jona.
Passarono ore a discutere dei meccanismi, mentre Darda si annoiava visibilmente. A un certo punto, più per interrompere quei due che per un vero interesse Darda chiese: “Ma chi sono questi “Nani”?”
Padre e figlia si guardarono interdetti, e fu l’Amuleto di Thano a rispondere: “Sono una tribù di abili artigiani devoti a Festo”, disse, “Anzi, per la precisione, sono diverse tribù, la più vicina si trova sui monti a est. Come hai potuto vedere sono veramente bravi; si dice che Festo li consideri come dei figli. Hanno un solo difetto: pretendono di essere pagati in oro, parecchio oro. Stupisce che una segheria abbia potuto permettersi i loro servigi. Gli affari devono andare molto bene.”
“Il che non stupisce”, disse Jona, “In tutta la Valle non ho visto un bosco degno di questo nome; da quando ho lasciato i nostri monti, non ho più visto un albero da cui poter ricavare una trave decente. Qui, invece, ci sono pini splendidi, anche migliori dei nostri”.

Partenza all’alba

Sbagliava.
Michele lo chiamò prima dell’alba.
Jona si alzò rapidamente, stupito di quella fretta.
Michele stava già scaricando dal carro tutta la ferramenta usata che avevano ritirato dalla segheria.

Carbone di Legna

Il carro procedeva spedito su per l’ampia valle e già il lago di Luga era scomparso alle loro spalle quando Jona finalmente si arrischiò a fare la domanda che gli girava in testa fin dalla sera prima:
“Oh, se è per quello è un ottimo posto, ma come pensi di convincere gli Elfi a farti entrare nella loro amata foresta?”
“Elfi?”, chiese Jona perplesso.

“Probabile. Perché non mi racconti l’altra mezza?”
“In realtà non ne so molto. Ti conviene parlare con i boscaioli, stasera. Quello che so per certo è che tutte le montagne a nord sono occupate dagli Elfi che non lasciano entrare nessuno e sono gelosissimi delle loro piante.”
“Ma chi sono questi “Elfi”? Sono davvero così cattivi?” Chiese Jona sentendo arrivare un’altra delle Prove di Thano.
“Mah, che vuoi che ne sappia? Non li ho mai visti personalmente. I boscaioli li descrivono come diavoli scatenati che trattano gli alberi come se fossero figli loro. Ho sempre pensato che esagerassero, ma non ho nessuna intenzione di andare a controllare. Non ho nessuna voglia di cacciarmi nei guai, io”, soggiunse con un’occhiata eloquente.
Jona decise che era il momento di cambiare argomento: “Sai che non ti credevo un Dongiovanni?”, disse sorridendo, “hai una fidanzata su ogni lago?”
Michele lo guardò di traverso. “Non mi prendere in giro! Io e Linda vorremmo veramente sposarci, ma lei non può lasciare la locanda ed io non posso lavorare a Luga, nemmeno adesso che ho finito il mio apprendistato”.
“Perché no? Capisco che la locanda sia difficile da spostare, ma tu non potresti metter su bottega a Luga?”
“Il problema è il carbone”, disse Michele con aria sconsolata,
Jona lo guardò per un attimo, poi disse lentamente: “Ma non lo sapete fare il carbone?”
“Che dici? Il carbone lo cavano da sotto terra, lo sanno anche i passeri!” Poi vide lo sguardo serio di Jona:

“Non è un procedimento facilissimo, se si vuole ottenere del buon carbone. Io non l’ho mai fatto, ma l’ho visto fare parecchie volte, sui nostri monti.” Michele si fece attentissimo.
“In Ligu non ci sono giacimenti di carbone naturale, quindi siamo costretti a farcelo da soli”, spiegò Jona. “I nostri boscaioli trasformano in carbone tutta la legna di risulta, tutti i rami troppo piccoli per essere utilizzati, tutti i tronchi infestati dai tarli e tutto quel che non si riesce a usare in altro modo. Lo trasformano direttamente sul posto, così devono portare giù dai monti roba più leggera.”
“Ma come fanno?”
“Il principio è semplice: basta far bruciare la legna fino ad un certo punto e poi spegnerla prima che vada in cenere. La pratica è un po’ più complicata”. Passò quindi a spiegare il funzionamento di una carbonaia, di come si dovesse accumulare la legna senza lasciare aria in mezzo, come si dovesse ricoprire tutto di foglie e terra, come si dovesse dar fuoco e regolare la “cottura” della legna. Michele stava bevendo le sue parole.
“Se questa faccenda funziona”, disse serissimo alla fine, “Non ho nessun bisogno di fare il fabbro. Posso mandare carbone in Valle a un prezzo tale da togliere tutti i clienti ai carbonai dell’ovest.”
“Questa faccenda funziona”, disse Jona, “funziona tanto bene che noi lo usiamo anche nelle stufe e non solo per le forge, anche se”, soggiunse, “so che non è un procedimento facile ed io non posso aiutarti molto più di così, visto che non sono un carbonaio.”
“Se non mi stai prendendo in giro”, lo guardò dritto negli occhi, “no, non mi stai prendendo in giro. C’è speranza. Ho una certa esperienza con i fuochi, sai? Dovessi passarci tutta l’estate, troverò il modo di farlo questo “carbone di legna” di cui parli.”

Carbonaia

Arrivarono al campo dei taglialegna il giorno dopo, ben dopo il tramonto, quando oramai cominciava a essere troppo buio per proseguire. Michele aveva visto i chiarori dei fuochi più in alto nella valle e non aveva voluto sentir ragioni. Avevano proseguito, a rischio di far azzoppare i poveri asinelli che arrivarono mezzi morti per la fatica.
L’accoglienza da parte dei boscaioli fu calorosa. Conoscevano bene Michele che veniva a vender lame da parecchi anni.
I due cenarono allegramente con i resti, oramai quasi freddi, del pasto. Michele continuava a guardarsi in giro cercando qualcuno. Jona stava ancora tenendo in mano il grosso boccale di vino che gli avevano dato, troppo aspro per i suoi gusti, quando Michele lo strattonò per un braccio dicendogli: “vieni!”
Aveva trovato chi cercava perché si diresse lontano dai fuochi verso un riparo dove qualcuno si stava preparando per la notte.
“Chi è?”, chiese una voce assonnata.
“Sono io, Stephan, Michele.”
“E che vuoi da me, adesso? Non ti basta far piangere mia sorella per undici mesi l’anno?”
“Stephan, che tu ci creda o no, io non sto meglio di lei, quando sono lontano. E, se mi aiuti, forse posso trasferirmi a Luga per il resto della mia vita.”
“Vuoi metterti a fare il boscaiolo?” chiese Stephan con aria dubbiosa.
“Non fare lo scemo! Lo so che non lo sei! Stammi a sentire!” Gli spiegò, per sommi capi, la faccenda del carbone di legna. Ora Stephan era completamente sveglio. Si girò verso Jona e lo guardò con due occhi chiari e penetranti: “Sei sicuro che si possa fare?”
Jona, e non per la prima volta, si chiese se non avesse fatto una solenne fesseria a parlare di quella faccenda. Trovava Michele simpatico e aveva una certa voglia di aiutarlo, ma ora le cose si stavano complicando forse era il momento di sparire.
“Come ho già detto a Michele: Sì, sono sicurissimo che si possa fare. L’ho visto fare parecchie volte, ma non l’ho mai fatto io.”

“Stephan, tu ti fideresti di farti spiegare come si butta giù un albero da Michele? Deve averlo visto fare tante volte.”
“Io voglio aiutarvi, ma dovete capire che la cosa potrebbe non funzionare al primo colpo. Dovrete trovare il modo di farla andare voi.”
“”Dovremo”? Tu non sei della partita?”
“No, lui deve continuare il suo viaggio”, intervenne Michele, “questa è un’altra storia di cui parleremo, ma ora mi devi garantire che mi darai una mano. In segreto.”
Stephan ci pensò su un momento. “Non ci vedo molto chiaro e c’è qualcosa che mi sfugge, ma, se è per la mia sorellona, puoi di certo contare sul mio aiuto”, disse allungando la mano. Michele si affrettò a stringergliela con aria solenne.
Jona dovette ripetere anche per Stephan tutta la descrizione della carbonaia.
Era molto tardi quando finalmente poté avvolgersi nel suo mantello in un angolo appartato.
“Amuleto, puoi chiamarmi Serna senza che si senta?”
La voce di Serna gli squillò nell’orecchio, facendolo sobbalzare: “Tutto bene, papà? L’Amuleto mi dice che sei in mezzo alla gente”.
“Vero”, mormorò lui, “ho bisogno di un consiglio”, poi le narrò le vicende della giornata.
Serna rimase silenziosa a lungo e Jona se ne accorse.
“Che c’è, bambina mia? Ho fatto qualche grossa scemenza?”, chiese gentilmente. Gli sembrava di vederla mordicchiarsi il labbro inferiore, poi: “Papà, non hai pensato che se Festo non glielo ha insegnato forse aveva i suoi buoni motivi?”
Jona imprecò tra i denti: no, non ci aveva pensato.

“Certo che ne sono capace, ma temo che sia già troppo tardi. Per Stephan non ci sarebbero problemi, ma per togliere questo ricordo a Michele lo faresti diventare un mezzo idiota! Sono due giorni che non pensa ad altro”.
“Calma, papà! Va tutto bene. Festo dice che ha ritardato questa tecnica per spingere all’uso delle piastrelle solari. Ora le hanno quasi tutti, quindi non c’è più ragione per rendere le cose difficili ai fabbri.” Jona tirò un sospiro di sollievo; non aveva davvero bisogno di inimicarsi un qualche Dio, men che meno un Dio potente come Festo.
Jona tirò un sospiro di sollievo: “Volevo aiutare Michele, che è un bravo ragazzo e mi sembra sinceramente innamorato di quella Linda, ma stavolta ho veramente parlato prima di pensare. Poteva essere un disastro”.
“Pensi veramente di riuscire a far funzionare una carbonaia?”

“Certo.”
“Bene. Ecco quello che faremo: Serna, cerca di trovare un buon carbonaio, possibilmente abbastanza intelligente da non spaventarsi a morte e da essere utile e spiegagli che mi deve guidare. Domani, quando Michele e Stephan vorranno cominciare a metter su una carbonaia l’Amuleto vi mostrerà dove sono e cosa faccio. Il carbonaio mi dirà che fare e mi correggerà se sbaglio”.

“Abbiamo un carbonaio in casa?” Jona, per la sorpresa, aveva parlato con voce quasi normale. Si guardò attorno, ma non vide nessuno agitarsi. Meglio così.
“No, evidentemente non lo sapevi”, rise Serna. “Il vecchio Geppo si è ustionato per benino per salvare quel senza-cervello di suo nipote che stava scoperchiando una carbonaia ancora calda. Si salveranno entrambi, ma ne porteranno i segni a vita.”

Carbone!

La mattina dopo Jona e Stephan se ne andarono a cercare un posto adatto, mentre Michele smerciava le sue belle accette affilate e le grandi seghe a quattro mani.
Trovarono uno spiazzo piano nel bel mezzo di una zona che era già stata diradata dal taglio dei grandi tronchi.
“Lo spiazzo va benone. Ora dovete pulirlo per bene e lasciare solo la terra. Niente foglie. Niente aghi di pino”, diceva Geppo nell’orecchio del Mago, “La legna, invece, lascia parecchio a desiderare. Il pino ha troppa resina, ci vorrebbe faggio o quercia, ma lì intorno non ne vedo. Eh, dovrete accontentarvi.” Jona riferiva come fosse farina del suo sacco.
Preparare il terreno fu una faccenda lunga, anche con l’aiuto di Michele che li raggiunse in tarda mattinata.
A sera, quando tornarono al campo, avevano piazzato il palo per il camino e cominciato a tagliare la legna.
Stephan era una macchina: usava la roncola con una precisione micidiale e aveva sfornato una quantità di rami dritti e tagliati tutti della stessa lunghezza che Jona e Michele stavano ammonticchiando in file ordinate intono al palo, seguendo le istruzioni di Geppo.
Questi aveva preso gusto al suo ruolo di consigliere e parlava in continuazione, dando consigli sulla disposizione di ogni singolo pezzo di legna. Jona faceva del suo meglio per filtrare quella cascata di parole e capire cosa ci fosse di effettivamente importante.
La sera del secondo giorno avevano finito di ricoprire di foglie e terriccio fresco l’intera struttura.
“Più piccolo di così non si può fare, altrimenti, come apri il camino, va tutto in fumo”, diceva Geppo, “è molto meglio farne di più grandi: si controllano meglio e, alla fine, rendono di più, ma poi devi lasciarli cuocere più di una settimana. Questo, invece, in un paio di giorni dovrebbe essere a posto”.
La mattina dopo accesero il fuoco, tolsero il palo dal camino e cominciarono ad alimentare la carbonaia con braci ardenti.
Il lavoro, ora, era essenzialmente controllare e aspettare. Anche Geppo rallentò il ritmo martellante dei suoi commenti.
“Amuleto, togli la voce”, mormorò Jona.
“Non vuoi sentire più Geppo?”, chiese l’Amuleto. Se l’immaginava o l’Amuleto aveva un tono canzonatorio?
“No. Voglio che Geppo non senta noi.”
“Va bene. Fatto.”
“Stephan, Che mi sai dire degli Elfi?”, chiese Jona con tono discorsivo.
Stephan si rabbuiò. “Quei demoni! Credono di avere il diritto di dirci quello che possiamo o non possiamo fare! Si considerano i figli di Asclep e, pertanto, padroni e signori di tutte le piante del mondo.”
“Beh, un erborista come me dovrebbe avere parecchio da imparare, no?”

Il fumo che usciva dagli sfiatatoi a metà altezza della carbonaia stava diventando azzurrino. Jona si alzò per andarli a coprire e aprire, con un bastone appuntito, un’altra fila di sfiati, un palmo più in basso, lieto per la diversione. Lo sfogo di Stephan, di solito calmo e misurato, lo aveva scosso. Che aveva in serbo per lui, Thano?
“Bravo”, gli disse Geppo nell’orecchio, “stavo aspettando per vedere se te ne saresti accorto da solo. Puoi diventare un buon carbonaio, Mago”.
La sera del secondo giorno di “cottura” gli sfiatatoi erano arrivati alla base della carbonaia ed emettevano fumo azzurrino. Seguendo le indicazioni di Geppo coprirono accuratamente tutte le prese d’aria in modo da soffocare il fuoco residuo e lasciarono a raffreddare.
La mattina successiva scoprirono con cautela la carbonaia, pronti a spegnere le fiamme se il fuoco fosse divampato.
“La fortuna del principiante”, sentenziò Geppo, “meglio di così non vi poteva andare. Vi scongiuro state attenti le prossime volte: non sempre le cose vanno così lisce.”
Michele raccolse una manciata di carbone e andò ad accendere un piccolo fornello che si era portato appresso. Tornò mezz’ora dopo con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Non ebbe bisogno di dire nulla.
Prima di mezzogiorno stava riscendendo la valle verso Linda con il carro carico di carbone.

Verso il confine

A metà pomeriggio si fermarono sul basso passo delle Ceneri.
Sotto di loro, a sud, i boscaioli stavano lavorando e si vedevano le coppie di buoi che trascinavano i tronchi, sfrondati e ripuliti, verso il fiumicello che li avrebbe portati fin giù al lago di Luga.
Verso nord, invece c’era una verde valle oltre la quale cominciava una foresta di alberi immensi di un verde scuro tanto da sembrare nero.
“Da questo punto in poi non si può tagliare nemmeno un filo d’erba”, disse Stephan con evidente acrimonia, “se vuoi restare vivo”.
Jona si guardò attorno preoccupato. Stephan rise: “non vedrai nessuno, se non vogliono farsi vedere.”
Jona guardò verso la valle. Si vedevano poche malghe sparse con del bestiame attorno. Stephan seguì il suo sguardo: “No, nella valle ci sono ancora gli uomini, ma, come vedi, si tengono tutti da questa parte. Dal limitare della foresta a nord comincia il territorio degli Elfi. Gli uomini non sono i benvenuti.”
“Scendiamo, abbiamo ancora un po’ da camminare prima di arrivare dai pastori di cui ti parlavo. Più di questo non posso fare.”
La sera divisero la cena con una coppia di pastori e i loro tre figli: fette di pane con formaggio e miele.
“Gli Elfi sono gente dura”, diceva il pastore, “ma non sono i diavoli che dipinge il nostro buon Stephan. Se hai un vero interesse per le piante, ti staranno a sentire, ma non sarà facile convincerli. Sono molto diffidenti. Secondo le loro leggende tutti gli uomini sono dei traditori senza onore. Ogni tanto ho sentito accenni a vecchie ruggini che non sono mai state completamente né chiarite… né dimenticate”.
“Palle!”, sbottò Stephan, “sono solo degli animali che si credono chissà chi!” Il pastore e la moglie sorrisero e cambiarono argomento.