A metà pomeriggio si fermarono sul basso passo delle Ceneri.
Sotto di loro, a sud, i boscaioli stavano lavorando e si vedevano le coppie di buoi che trascinavano i tronchi, sfrondati e ripuliti, verso il fiumicello che li avrebbe portati fin giù al lago di Luga.
Verso nord, invece c’era una verde valle oltre la quale cominciava una foresta di alberi immensi di un verde scuro tanto da sembrare nero.
“Da questo punto in poi non si può tagliare nemmeno un filo d’erba”, disse Stephan con evidente acrimonia, “se vuoi restare vivo”.
Jona si guardò attorno preoccupato. Stephan rise: “non vedrai nessuno, se non vogliono farsi vedere.”
Jona guardò verso la valle. Si vedevano poche malghe sparse con del bestiame attorno. Stephan seguì il suo sguardo: “No, nella valle ci sono ancora gli uomini, ma, come vedi, si tengono tutti da questa parte. Dal limitare della foresta a nord comincia il territorio degli Elfi. Gli uomini non sono i benvenuti.”
“Scendiamo, abbiamo ancora un po’ da camminare prima di arrivare dai pastori di cui ti parlavo. Più di questo non posso fare.”
La sera divisero la cena con una coppia di pastori e i loro tre figli: fette di pane con formaggio e miele.
“Gli Elfi sono gente dura”, diceva il pastore, “ma non sono i diavoli che dipinge il nostro buon Stephan. Se hai un vero interesse per le piante, ti staranno a sentire, ma non sarà facile convincerli. Sono molto diffidenti. Secondo le loro leggende tutti gli uomini sono dei traditori senza onore. Ogni tanto ho sentito accenni a vecchie ruggini che non sono mai state completamente né chiarite… né dimenticate”.
“Palle!”, sbottò Stephan, “sono solo degli animali che si credono chissà chi!” Il pastore e la moglie sorrisero e cambiarono argomento.