Jona fece il giro dell’albero-casa. Si trovava in una specie di cortile interno recintato da siepi. Siepi simili a quelle esterne: un muro compatto di spine aguzze lunghe anche quindici centimetri.
“Amuleto, la siepe non è troppo vulnerabile al fuoco?”
“Molto meno di quanto possa sembrare: i rami vecchi e le spine sono essenzialmente silicee. Bruciano malissimo e, anche completamente carbonizzate, rimangono molto solide. Devo?”
“No. Era solo curiosità. Non voglio certo farmi nemici gli Elfi, se posso evitarlo.”
Il cortile era molto ampio e allungato, circa trenta metri per cinquanta, con l’enorme albero che torreggiava, con i suoi quasi dieci metri di diametro, a un’estremità. Non c’era altro. Il cortile era coperto da un verde tappeto erboso, assolutamente piatto. Anche le pareti dell’albero erano completamente lisce., coperte da una corteccia chiara simile a quella della betulla. Alzò gli occhi e vide, come si era, d’altra parte aspettato, diversi Elfi che brandivano i loro archi e pareva non vedessero l’ora di usarli. Meglio non dar loro scuse. Jona si ritirò nell’albero che ora gli parve assai meno allegro e interessante.
Raccolse il suo zaino e cominciò a salire i gradini. Il buco scuro nel soffitto era un piccolo pianerottolo su cui si aprivamo tre porte, chiuse da pesanti tende imbottite in funzione di usci. Non ci mise molto a esplorare i suoi possedimenti; disponeva di due ampie stanze da letto gemelle e un bagno con servizi igienici separati.
Decise di occupare utilmente il suo tempo: tolse i vestiti e si diresse deciso verso la stanza da bagno.
Era strana. Parecchio strana.
Tutto era di legno, e questo poteva anche essere, ma non si vedeva la minima giuntura. Sembrava che l’intera stanza, compresa vasca, lavandino e tutto il resto fosse stata ricavata da un unico blocco scavato e lucidato.
Non era difficile indovinare la funzione delle varie suppellettili, anche se erano ben diverse da quelle che Jona conosceva.
Quell’affare che troneggiava in un angolo era certamente una vasca da bagno, anche se assomigliava a un tino. Salì i tre piccoli gradini più adatti alle zampe degli elfi che ai suoi piedi e si calò dentro, usando come appoggio il sedile che si trovava all’interno. Poco sopra la sua testa c’era una protuberanza legnosa che assomigliava più a un capezzolo che alla cipolla di una doccia. Non si vedevano rubinetti. Era cedevole al tatto e, come Jona spinse, cominciò a uscire un fiotto di acqua tiepida che si fermò quasi subito. Il mago spinse con più decisione e il flusso rimase costante per alcuni minuti prima di tornare a fermarsi. Non somigliava alla doccia di casa sua, ma era funzionale.
Jona passò molto più tempo del solito nel bagno, esplorando tutte le meraviglie che vi erano contenute. Poche cose non erano di legno: lo specchio, gli asciugamani, il sapone e poco altro.
Quando uscì, oltre che pulito, sbarbato e profumato era anche assai meravigliato. Sembrava la casa fosse “cresciuta” in quel modo, più che essere stata costruita o scavata.
Si rivestì e rimase a guardare l’attaccapanni al quale aveva, senza farci troppo caso, appeso il suo mantello: anche quello sembrava “cresciuto” dalla parete, come fosse una foglia o una spina e non applicato a posteriori.
Poi scese di nuovo al piano inferiore.
Sul tavolo c’erano due piatti fumanti, un bicchiere e due brocche.
Guardò verso la porta.
Una lieve oscillazione tradiva un’uscita precipitosa.
Si slanciò fuori con tutta la velocità di cui era capace, ma lo accolse solo la notte, illuminata da bolle lucenti che costellavano gli alberi. Nessuno era in vista, nemmeno i suoi guardiani.
Rimase qualche minuto a fissare le luci, ma non poté vedere molto perché l’alta siepe copriva tutto tranne le cime degli alberi più vicini.
Faceva fresco. Rientrò al tepore dell’albero-casa, o, meglio, dell’albero-prigione, pensò mestamente.
“Amuleto, fammi compagnia. Odio mangiare da solo e essere in galera non migliora il mio umore”, disse di malagrazia.
L’Avatar rosso dell’Amuleto apparve. Era la solita figura incappucciata, ma a Jona parve più tenebrosa del solito.
“Temo che dovrai farci il callo. Non credo che decideranno tanto in fretta. Non quando si tratta di autorizzare l’accesso all’Innerwald.”
“Cambiamo argomento. Questo non è adatto ai pasti. Non ho mai visto una casa più strana. Tutto sembra naturale, ma l’insieme è ovviamente molto artificiale e sofisticato. Non ci sono finestre, ma l’aria è fresca e profumata. Fuori fa abbastanza freddo e il legno è un buon isolante, ma non mi pare sufficiente a giustificare il calore interno.”
“Le finestre non ci sono proprio perché questo è un alloggio temporaneo, di sicurezza, per quelli, come te, considerati pericolosi intrusi. Gli Elfi prediligono i piani alti, di solito alla base degli alberi-casa ci sono stalle, magazzini e, a volte, botteghe. Le abitazioni sono molto più in alto. Hanno delle bellissime finestre con vetri decorati.”
Jona evitò accuratamente di soffermarsi sulla sua condizione: “E per areazione e riscaldamento?”
“Pensavo avessi notato le luci rosse al bagno e le fessure di aerazione.”
Jona si guardò di nuovo intorno, seguendo lo sguardo dell’Avatar. Vicino al soffitto, sulle pareti, si vedevano delle fessure che lui aveva considerato un semplice ornamento. Ce n’erano altre vicino al pavimento. Jona mise la mano davanti alla più vicina e sentì una lieve corrente d’aria entrare. Senza dubbio quelle al soffitto servivano da sfiato. Oramai si era alzato e si diresse verso la scala, in modo da poter esaminare più da vicino i bulbi luminosi. Alcuni erano decisamente più rossi. Da un metro di distanza sentiva il calore sul viso.
“Esatto, hai una buona memoria. Quelli in bagno sono molto più grossi. Gli Elfi non amano essere bagnati e stare al freddo.”
“Strana scelta le montagne, allora. Qui non deve mancare né l’acqua né il freddo.”
“Oh, se è per quello sono perfettamente in grado di sopportare entrambi, ma se possono stare al caldo lo fanno volentieri.”
Jona, e non per la prima volta, pensò al suo grosso gatto nero. Fin da quando era un micio amava acciambellarsi in un angolo del grande camino fino a sembrare una palletta. Il nome era rimasto. Gli elfi glielo ricordavano parecchio. Gli erano sembrati goffi, esattamente come sembra goffo un gatto accoccolato sulle zampe posteriori.
“Si sono evoluti dai felini?”
“Non esattamente, ma hanno parecchi geni dei grandi felini.”
“Linci?”, azzardò Jona.
“Non lo so. Può essere, a giudicare dalle orecchie, ma è meglio non saltare alle conclusioni.”
Anche lo stufato era buono, specie se annaffiato con quel vino ambrato che gli avevano portato. Jona si stava godendo la cena.
Quando ebbe finito mise i piatti in disparte e chiese il collegamento con Serna.
“Ciao papà! Dove sei?”
Fece un rapido resoconto degli ultimi giorni. Quando arrivò alla conversazione con il Mago elfico l’Amuleto si produsse in una perfetta registrazione dell’evento e quindi Jona poté riesaminare il suo comportamento. Forse l’entrata era stata un po’ troppo teatrale, ma era comunque servita allo scopo.
“Che vuol dire che: “non sei stato completamente sincero”, papà?”
“Questo è tutto, più o meno. E tu, che mi racconti?” Serna era eccitata e Jona se ne era accorto.
“Mi hanno invitata a Geva per le premiazioni.”
“Premiazioni?”
“Servigi resi al Granducato.” Serna lo stava deliberatamente tenendo sulle spine.
“Va bene: che diavolo hai combinato? E, soprattutto, come sei riuscita a convincere il Granduca a non sbatterti nelle segrete e buttar via la chiave?”
Serna non abboccò all’amo. L’indignazione era tutta fasulla: “Come ti permetti? Ho salvato la vita al Granduca in persona e a buona parte della famiglia!”
“Perché non cominci dall’inizio, così, forse, riesco a capire qualcosa?”
Serna era andata da Marlo e stavano discutendo di certe questioni riguardanti terreni lasciati incolti che erano stati ceduti, non era ben chiaro a che titolo, quando avevano visto il veliero personale del Granduca inclinarsi pericolosamente in mezzo ad alte onde che contrastavano con il resto del mare relativamente calmo.
Serna si era precipitata sulla spiaggia cercando di parlare con Posse, evidentemente incollerito.
“Cosa provoca la Tua collera, o possente?”
“Il capitano di quella nave!”
“Come Ti ha offeso?”
“Ha detto a tutti di poter portare la sua nave dove vuole, con o senza il mio permesso!”
“Idiota”, mormorò Jona fra i denti. Posse era ben noto per i suoi accessi d’ira e i marinai che lo dimenticavano non avevano una vita lunga. “Che hai fatto?”
“Cercare di calmare Posse non aveva nessun senso. Anche ammesso che ce ne fosse la possibilità, ne mancava sicuramente il tempo. La barca del Granduca non poteva reggere ancora molto. Ho usato l’Amuleto per far apparire un messaggio al Granduca. Per fortuna erano abbastanza vicini”.
“Che gli hai detto?”
“La prima cosa che mi è venuta in mante: “Buttate a mare il capitano”!”
“Mi dicono che è rimasto fermo al suo posto a recitare invocazioni per cercare di calmare Posse, ma quando sono sbarcati era ancora bianco come un lenzuolo di bucato e si reggeva a malapena in piedi. Gli altri non stavano certo meglio. Quando gli ho spiegato le ragioni dell’attacco di Posse è diventato rosso come un tizzone e voleva ripescare il capitano per strozzarlo con le sue mani.”
“Quello che la nostra Maga non ti sta dicendo”, intervenne Darda,