Serata di riposo Elfico

Jona seguì l’infermiera fino alla sua stanzetta dove lei gli mostrò l’uso corretto della vasca da bagno e delle varie suppellettili, poi lo lasciò solo.
L’acqua era profumata e calda. Impregnata di essenze vegetali. Ora Jona sapeva che si trattava del contenuto della pianta-cisterna, probabilmente modificata per usi ospedalieri, pensò oziosamente, chissà se era anche disinfettante? Avrebbe dovuto chiedere a Gornor. Per un momento lo disturbò il pensiero che il suo sudore, che si stava sciogliendo nell’acqua odorosa assieme alla stanchezza, andava a concimare la pianta-pompa che avrebbe riportato l’acqua alla pianta serbatoio, poi si rese conto che quello era il mestiere che facevano tutte le piante, in un modo o nell’altro: assorbire rifiuti per produrre frutti.

Stava per addormentarsi quando getti d’acqua lo investirono e la vasca prese a vuotarsi rapidamente. La doccia violenta lo svegliò completamente. Poco dopo usciva dal bagno fresco e rilassato avvolto in un pigiama verde che non gli si attagliava completamente bene.
L’infermiera lo stava aspettando e gli fece cenno di stendersi sul letto. All’occhiata interrogativa di Jona rispose con un laconico: “Massaggio”.
La ragazza aveva delle dita d’acciaio e il “massaggio” fu, tutto sommato, piacevole, anche se parecchio energico e inframmezzato da torsioni e piegamenti forzati, tanto che Jona, più di una volta, si chiese se le sue ossa avrebbero retto alle sollecitazioni. Quando poi lei gli salì in piedi sulla schiena e cominciò a camminargli in punta di piedi sulla spina dorsale facendogli scrocchiare tutte le vertebre una per una si preoccupò parecchio. Lei dovette accorgersene perché lo apostrofò con un perentorio: “Rilassati, altrimenti non serve a niente!” Jona fece del suo meglio per accontentarla, dato che era evidente che conosceva bene il suo mestiere. La parte finale del massaggio, a base di oli caldi, fu decisamente più rilassante. Alla fine lei lo coprì con una morbida coperta e gli disse di rimanere immobile per una decina di minuti, prima di rivestirsi. La cena sarebbe stata pronta presto. Nelle due ore abbondanti che era durato il massaggio lei aveva parlato solo tre volte e Jona mai.
Si rimise la casacca del pigiama e indossò una vestaglia lunga fino al polpaccio, poi tolse l’Amuleto dal bastone, lo piazzò sul tavolo e chiese il collegamento con casa.
Serna apparve dopo poco con indosso un abito leggero. Era oramai estate piena e a casa doveva far parecchio caldo. Lì sui monti l’aria era ancora fresca. D’inverno doveva essere gelida, pensò Jona e lo disse ad alta voce.
“Qui fa caldo, ma si sta benissimo”, disse Serna raggiante, “oggi sono stata in barca tutto il giorno.”
“In barca?”
“Lavoro! Che ti credi?” replicò lei fingendosi offesa.
“Un lavoro certo piacevole”, ribatte Jona guardando fisso la pelle di Serna arrossata dal sole.
“Questo è vero”, concesse lei sorridendo, “ma è stato lo stesso lungo e difficile”.
Serna era evidentemente orgogliosa del suo “lavoro” e moriva dalla voglia di raccontare ed avere l’approvazione del padre, questi se ne accorse e chiese particolari con l’aria più professionale che riuscì a trovare.
Lei non si fece pregare: “Abbiamo ancora problemi con Posse”.
“Un altro capitano da buttare ai pesci?”

“Puoi dirlo forte! Ha incenerito le barche dal cielo. Abbiamo trovato solo qualche pezzo di legno carbonizzato.”
“Brutta storia, ma è chiaro che la hai risolta. Come?”

“Già, prima spiana chi lo offende e poi, forse, spiega perché.”
Serna annuì: “Non voleva nemmeno parlarmi. Ho dovuto chiedere a Ipno di spiegarmi i veri motivi e di calmarlo, per quanto possibile.”
In quel momento rientrò l’infermiera con il vassoio della cena.
“Altro pasto ipercalorico proteico tipo “B”?”
Lei sfoderò un sorriso che mise in mostra dei denti decisamente più appuntiti del normale: “No, stavolta viene direttamente dalle cucine del Re. Il Sacerdote ha deciso che ti sei ripreso completamente.”
In effetti Jona aveva una fame da lupo. Poi si rese conto di una certa tensione, anche perché il sorriso si era trasformato in una specie di ruggito silenzioso.
“Serna, lo sai che non è educato guardare troppo le persone!” disse con il tono più casuale che riuscì a trovare,

“Probabilmente perché non ti è mai stato detto. Di solito cerchiamo di evitare familiarità fra personale e pazienti.” Poi si rivolse direttamente a Serna che si era ripresa abbastanza da chiudere la bocca e abbassare lo sguardo: “Io sono Smullyanna, assistente personale del Sacerdote. Piacere di conoscerti.”
Poi, rivolta a Jona:
“Il mio e il suo. I due Amuleti sono in comunicazione e possono farci vedere anche quello che sta attorno”
“Capisco. Così è più normale. Non avevo mai sentito di Amuleti che potessero trasmettere a distanza con questa nitidezza.”
“Sentite, ora che abbiamo fatto le presentazioni, perché non andate a prendere qualcosa da mangiare anche voi e mi tenete compagnia? Non mi è mai piaciuto mangiare da solo.” L’Elfa rimase un attimo interdetta e Serna ne approfittò per schizzare via cinguettando: “Certo! Vado a prendere qualcosa e torno! Magari chiamo anche Darda.”
Smullyanna non era molto convinta. Jona diede un’occhiata al vassoio.
L’elfa si rilassò un po’: “Non è certo la norma, ma non hai offeso nessuno, per ora, anche se tua figlia c’è andata vicino. Da noi non si guarda a quel modo qualcuno di cui non si conosce il nome senza presentarsi. Senza saperlo hai fatto la cosa giusta. Vado a prendere un altro piatto e delle posate.” Vedendo che Jona stava per parlare aggiunse: “Per noi mangiare nello stesso piatto è una cosa piuttosto intima, se mi capisci”, annusando ostentatamente.
Jona capiva. Probabilmente con l’olfatto acuto che avevano erano in grado di percepire ben più degli umani gli odori lasciati dagli altri commensali.