Il Tempio di Asclep
La luce tenue dell’aurora lo svegliò pochi minuti prima che Smullyanna entrasse a chiamarlo.
Vestì rapidamente i suoi abiti da viaggio e lei gli annodò sulla spalla sinistra un nastro rosso sul quale erano ricamate lettere d’oro che Jona non riuscì a decifrare; avrebbe dovuto chiedere all’Amuleto.
Il Sacerdote lo stava aspettando. Si incamminarono verso una parte del Tempio che sembrava composta da uffici ordinati dove elfi di entrambi i sessi e di tutte le età lavoravano ai loro tavolini parlando di rado e a bassa voce.
“Cosa sai di genetica?” chiese Gornor a bruciapelo.
“Normalmente risponderei “parecchio”, visto che l’argomento mi ha sempre interessato e l’ho studiato con l’aiuto di Asclep stesso, ma ho la sensazione che “qualcosina” sarebbe più adatto, qui”.
“Bene. Vediamo. Alleli? Dominanza? Proteine? Codice Genetico? Struttura molecolare del DNA? Ribosomi? Mappa dei geni sui cromosomi? Gene Operone? Soppressione genetica? Attivazione?” Gornor aspettava un cenno d’assenso da parte di Jona a ogni nome che citava. Jona ascoltava attentamente la traduzione dell’Amuleto e confermava che si trattava di argomenti, almeno in parte, conosciuti. Non poté fare a meno di notare che, mentre Gornor usava un semplice sostantivo, l’Amuleto doveva usare locuzioni sempre più lunghe per tradurre. All’ultima richiesta Jona rispose: “Ne ho letto qualcosa, ma non credo di ricordare molto.”
“Non ti preoccupare. Ne sai a sufficienza da poter capire quello che succede qui. Nessuno pretende che tu prenda il posto di uno dei miei assistenti”, aggiunse con un sorriso.
“Questa parte del Tempio è dove noi conduciamo le ricerche genetiche”, disse con evidente orgoglio, “si comporta come un enorme Amuleto e permette ai miei assistenti di analizzare le caratteristiche genetiche di tutti gli organismi viventi. Qui stiamo catalogando il corredo cromosomico di tutte le piante che riusciamo a trovare. Abbiamo sequenziato migliaia di piante per un numero enorme di geni distinti, ognuno associato con la rispettiva proteina e, ove applicabile, fenotipo associato.”
Erano entrati in una delle stanze dove due elfi chini su un tavolo osservavano dei puntini colorati. Sopra il tavolo troneggiava l’immagine che pareva un serpente follemente arrotolato su sé stesso. Un elfo toccò il tavolo facendo cambiare colore a un singolo dei puntino; il serpente si contorse annodandosi ancora più strettamente.
“Esatto. Il simulatore calcola la struttura tridimensionale della proteina risultante e la visualizza”.
“Ma cosa stanno cercando di ottenere?”
“Deodorante.”
“Deodorante?”
Gornor sorrise:
Jona cominciava a capire cosa intendesse quando diceva che “progettavano” le piante. “Poi inserite i nuovi geni nel corredo cromosomico?”
“In linea di principio sì, anche se le cose vanno in modo un po’ diverso. Vieni.”
Percorsero un lungo corridoio dalle pareti verdi e luminose:
“Di che si tratta?”
“Una nuova varietà di fungo-lampada. Ci mancava il colore blu.”
Arrivati in fondo al corridoio entrarono in una stanza ampia e riccamente decorata. Al centro, accanto a un grande tavolo intarsiato c’era uno scranno verde smeraldo. Jona non ebbe bisogno di spiegazioni per sapere che si trattava del Trono di Asclep.
Due assistenti stavano aspettando. A un cenno del Sacerdote, cominciarono a lavorare ai controlli sulla superficie del tavolo. Apparvero numerose immagini di cui solo poche avevano un senso per Jona. Al centro c’era il prodotto finito: un piccolo fungo a forma di uovo che emanava una forte luminosità blu. Attorno c’erano sequenze stilizzate, alcune proteine e altri diagrammi indecifrabili.
Il Sacerdote adattò il suo Amuleto in una nicchia alla base del Trono e, immediatamente, la sagoma bonaria di Asclep apparve.
“Un’altra innovazione?”
“Sì, Asclep. È la Lampada Blu di cui Ti parlavo pochi giorni fa.”
“Possiamo procedere con le Fattrici dei Semi?”
“Portatele!” Non aveva finito di parlare che gli assistenti spinsero avanti carrelli su cui erano sistemati grossi vasi. In ognuno c’era una strana pianta, somigliava a un pallone verde coperto di spine e percorso da striature verticali. Nella parte alta aveva una spirale di corti steli, sempre più piccoli, fino a diventare quasi invisibili verso la cima. Ogni stelo terminava con un’infiorescenza a bottone.
Sistemati i carrelli davanti al Trono e si allontanarono in fretta. Asclep allungò una mano e la sua aura verde avvolse le piante. Poi, senza dir altro, scomparve.
Gornor raccolse il suo Amuleto mentre gli assistenti portavano via i carrelli.
“Che cosa ho visto, Gornor?”
“È il progetto del fungo a luce blu, questo l’ho capito, anche se mi sono perso i particolari. È quello che è successo dopo che mi sfugge.”
“Quelle che hai visto sono le Fattrici dei Semi”, proseguì Gornor con pazienza, “sono piante sacre che possono produrre i semi di qualunque cosa Asclep voglia. Ora ha ordinato loro di produrre le spore del nuovo fungo-lampada. Tra pochi giorni sapremo se funzionano come pensiamo”
Esitò un momento, poi chiese: “Che cosa è quella “direttiva primaria” di cui parlava Asclep?”
Gornor diventò rosso come un peperone: “Non ci abbiamo davvero fatto una bella figura”, mormorò con aria contrita.
Jona sgranò gli occhi senza capire assolutamente l’improvviso cambiamento di umore del Sacerdote; sperò di non aver toccato un argomento troppo delicato e tenne dietro a Gornor, che aveva ricominciato a camminare a grandi passi, cercando di fare meno rumore possibile.
Il Sacerdote si fermò di nuovo e lo squadrò con aria grave: “No, tu non puoi saperlo.” Fece una breve pausa, poi raggiunse una decisione e parlò rapido:
Seguì un lungo silenzio nel quale Jona, terribilmente a disagio, cercava di confondersi con le preti verdi.
Quando riprese a parlare Gornor aveva una voce distaccata, lontana, come stesse facendo una lezione ad un’intera classe di Apprendisti: “La Direttiva Primaria, da osservare sempre in qualsiasi manipolazione genetica si intenda fare, è assicurarsi che i prodotti anabolizzati possano essere, e siano, catabolizzati dallo stesso organismo.”
“L’alternativa è un accumulo indefinito del composto, sempre dannoso per l’organismo.”
“Il pigmento fluorescente blu originale era stabile e non c’era modo, in natura, di distruggerlo”, terminò parlando velocemente prima di riprendere il cammino con passo sostenuto.
Continuò a seguire il Sacerdote nel suo giro di ispezione mattutino. Jona era sinceramente impressionato: dovevano esserci parecchie decine di elfi a lavorare nei laboratori di genetica e ciascuno di loro aveva una padronanza della materia molto superiore alla sua. Un duro colpo per lui, convinto di essere un esperto in materia.
La visita stava volgendo al termine e loro si stavano dirigendo verso l’ala del Tempio adibita a ospedale.
Jona camminava in modo automatico, la testa altrove, impegnato a digerire la mole d’informazioni che aveva ricevuto. Qualcosa lo disturbava.
“Gornor, avete mai catalogato genomi animali?”
“No. Mai. Asclep lo proibisce! Solo i vegetali possono essere manipolati in questo modo.”
“Capisco”, disse Jona, anche se la risposta apriva più interrogativi di quanti ne chiudesse.
La storia di Asclep
La porta si era appena chiusa alle sue spalle quando l’Amuleto di Thano prese a pulsare di luce verde e la figura di Asclep si manifestò davanti a lui.
“Cos’è che ti disturba, Jona?” chiese senza preamboli.
Jona esitò solo un istante.
“Sono letteralmente figli tuoi, vero? Perché non gli hai mai detto che sono il prodotto di manipolazioni genetiche?”
“Che importanza ha se una mutazione è casuale o è indotta coscientemente? Sì, sono figli miei. Ora spiegami perché farai del tuo meglio per tenere per te questo segreto.”
Jona era attentissimo, ma non riuscì a percepire nessun tono di minaccia nella voce del Dio. Aveva parlato con il tono di un professore che interroga.
Rimase a lungo in silenzio, mentre Asclep aspettava pazientemente, come se non avesse nient’altro da fare per il resto dell’anno.
“Per lo stesso motivo per cui non si dice a un ragazzo che è un trovatello adottato? O, almeno, è meglio lo faccia il genitore e non un estraneo?” azzardò alla fine.
“Questo è un modo di vedere la questione.”
“È chiaro che non posso essere io a dare una notizia del genere, ma perché non lo dici tu?”
Asclep fece uno dei suoi sorrisi asciutti e senza allegria che talvolta contrastavano con il suo aspetto bonario. “Una volta, in una terra lontana da qui, nel tempo e nello spazio, c’era una civiltà di uomini che avevano sfruttato la terra in ogni modo possibile. Gli animali non andavano più al pascolo, perché erano troppi e non c’erano più prati a sufficienza. Li tenevano chiusi nelle stalle e li nutrivano con fieno e altri mangimi coltivati appositamente.”
“Gli uomini erano tanti e la terra non ce la faceva più a produrre abbastanza per loro e per gli animali nelle stalle. Il costo dei mangimi cresceva. Nel contempo i rifiuti si accumulavano e diventava sempre più difficile smaltirli. In particolare nelle stalle si accumulavano gli scarti della lavorazione delle carni.”
“I loro scienziati cercarono un modo per risolvere questo e altri problemi. Una delle soluzioni trovate fu quello di triturare, sterilizzare, essiccare e quindi trasformare in farina animale gran parte dei cascami organici. Queste farine hanno un elevato contenuto proteico e sono quindi adatte a integrare i mangimi di origine vegetale.”
“La soluzione funzionò a meraviglia: Gli scarti di macellazione venivano riusati e gli animali crescevano bene.”
Asclep fece una lunga pausa. Jona rimase in silenzio. Ovviamente la storia non finiva lì, c’era dell’altro.
“Che cosa può andare male in una situazione del genere?”
“Di che animali si parla?” chiese Jona per prendere tempo.
Asclep assentì con il capo: “I problemi si sono avuti con ovini e bovini”
Jona si illuminò, ma solo per un istante. Era troppo ovvio: “Immagino abbiano controllato che il metabolismo degli erbivori tollerasse le proteine di origine animale, vero?”
“Infatti. Fecero lunghi studi, per un arco di tempo superiore alla vita normale di un animale; non trovarono alcuna controindicazione.”
Jona rimase a pensare a lungo; Asclep continuava a non mostrare alcuna fretta.
“Contagio?” azzardò esitando; non aveva altre idee.
“La sterilizzazione era fatta ad alta temperatura, così come la successiva essiccazione. Né virus né batteri possono sopravvivere a quelle condizioni.”
Jona si fece ancora più attento: Asclep non aveva detto che non c’era stato contagio! Era sicuro della sua intuizione:
Asclep Annuì ancora una volta: “Esiste una proteina, completamente termostabile, che ha due possibili configurazioni tridimensionali. Una, quella normale, è un componente della membrana cellulare, in particolare delle cellule nervose. L’altra forma, estremamente rara, non è utile e non solo si accumula nel cervello, ma induce le proteine in forma normale a cambiare la struttura nella forma alterata. L’effetto è inizialmente molto lento, ma poi progredisce rapidamente. L’animale muore entro pochi mesi dalla diagnosi della malattia.”
“Detto per inciso: ora puoi capire meglio le ragioni e la portata della “Direttiva Primaria”.”
“È successo veramente? Un animale malato può averne infettati centinaia!”
“È successo veramente. È stato anche peggio di quello che immagini: hanno usato le carcasse di animali morti della malattia come scarti per produrre altre farine.”
“Idioti!”
“A quel tempo nessuno aveva mai sentito parlare di agenti patogeni che potessero resistere in quelle condizioni!” lo rimproverò Asclep secco, poi: “Cosa ti insegna questa storia?”
Jona, che aveva sentito sulla pelle la sferza della voce del Dio, rispose lentamente:
“Più di venti anni”, confermò Asclep.
“In alcuni casi l’incubazione può durare più di cinque anni.”
“Non avevano speranza! Non c’era nessuna possibilità di trovare una simile patologia in prove di laboratorio e nemmeno con eventuali piccoli allevamenti pilota!” Asclep annuì ancora una volta.
“Adesso capisco la Direttiva primaria e perché Gornor è così cauto: Solo gli Dei possono prevedere davvero i risultati di manipolazioni genetiche.”
“Non è del tutto corretto, ma per ora può bastare.”
Jona rimase interdetto: chi altri poteva? Asclep non sembrava intenzionato a dare ulteriori spiegazioni.
“Capisci ora perché può non essere il caso d’interferire su un ecosistema complesso?”
Jona ebbe un momento di vertigine: che stava dicendo? Che c’entrava? Poi ricordò da dove erano partiti, abbassò il capo e disse sincero: “Non ho nessuna intenzione d’interferire in situazioni che non capisco completamente.”
La storia di Thano
Jona si lasciò cadere sulla sedia e versò un bicchier d’acqua dalla brocca. Essere interrogati da un Dio non è mai un’esperienza rilassante, pensò fra sé e sé.
“Asclep si diverte a fare il professore, eh?”
Jona sobbalzò al suono della voce di Thano mentre la stanza si tingeva di rosso.
“Ti è piaciuta la sua storiella?”
“Lo sarà molto di più quando capirai perché non hai capito niente!” Ghignò Thano, “Adesso te ne racconto un’altra, sei contento?”
Jona non era contento per niente e Thano, come al solito, gli metteva i brividi con la sua sola presenza, ma si guardò bene dal dirlo. Il Dio, comunque, avrebbe fatto come meglio gli pareva, ovviamente.
Thano infatti proseguì, con la sua voce beffarda: “La malattia di cui ti parlava Asclep la possono prendere anche gli uomini. Durante quell’epidemia, assieme ad alcuni milioni di vacche, sono morte anche un bel po’ di persone, ma non è di loro che ti voglio parlare.”
Il cervello di Jona era in piena attività. Stava seguendo quello che diceva Thano con la massima attenzione, come se fosse una questione di vita o di morte
Milioni di vacche? Ma che razza di stalle dovevano avere?
Asclep aveva detto che avevano sfruttato completamente la terra e che questa non ce la faceva più. Lo credo bene!
Se avevano mangiato la carne infetta allora certo che si erano contagiati.
Aspetta un momento
“Veicolo perfetto per la malattia”
“Esatto. Morivano a grappoli”, la voce di Thano era quasi estatica, “nei periodi migliori sono arrivato ad avere qualche percento della popolazione morta per questa malattia, di solito rarissima. La cosa migliore era che, data l’incubazione di quasi dieci anni, nessuno pensò mai ad associare le morti con il cannibalismo.”
La voce si fece più seria, quasi seccata: “Poi venne una mutazione che impediva lo sviluppo della malattia. Tu dici di conoscere le leggi della genetica e della selezione naturale: secondo te quanto ci ha messo il gene mutato per diffondersi nella maggioranza della popolazione?”
“Parecchio tempo, immagino. Queste cose sono sempre molto lente”
“Duecento anni! In duecento miserabili anni il gene resistente alla malattia si era diffuso in tre quarti della popolazione!” Thano era decisamente seccato e Jona si guardò bene dall’emettere il benché minimo suono.
“Poi, per motivi diversi, hanno smesso di mangiare i propri simili e il gene della resistenza ha cominciato a scomparire. Cent’anni dopo era in meno della metà della popolazione.”
La voce di Thano riprese il consueto tono beffardo: “Come direbbe il mio esimio collega: “cosa ti insegna questa storia”?”
Jona sapeva di dover rispondere in fretta. Thano non aveva la pazienza di Asclep.
“Che è meglio mangiare cibi sani?” disse cercando di prendere tempo.
“Idiota!” ruggì il Dio.
Jona barcollò sotto l’impatto della voce del Dio. Cercò disperatamente di collegare quanto gli era stato detto. Sapeva che Thano gli aveva dato tutti i dati
Il senso di urgenza cresceva. Già
Certo che dovevano essere morti a grappoli
“Esatto. Sono IO che mando avanti la selezione naturale. Se IO non collaboro la selezione si ferma, per un po’ languisce e poi torna indietro!”
“Anche il mio caro collega, con tutto il suo amore per le cure, lo sa e collabora.”
“Esatto. Pensaci!”
La pianta-zattera
Fu accontentato, ma questo non gli impedì di avere un’altra sorpresa prima che la giornata volgesse, finalmente, al termine.
Un’occhiata all’Amuleto, infatti, gli rivelò che era già ora di ripartire: la Bussola, nuovamente in bella vista, puntava decisa verso nord.
Jona aveva sperato di rimanere ancora un po’ lì nell’Innerwald, ma gli Dei, e Thano in particolare, la pensavano in modo differente.
Jona sospirò e andò a cercare Smullyanna per avvertirla.
In meno di mezz’ora un messo del Re gli aveva comunicato che la scorta per condurlo verso nord era già stata assegnata. Sarebbero partiti l’indomani all’alba.
Jona sorrise fra sé quando la pesante tenda si richiuse alle spalle del messo: il Re non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quell’ospite ingombrante.
Stava radunando le sue cose quando un pensiero lo colpì facendolo barcollare: avevano intenzione di farlo ripartire al galoppo come era arrivato?
Meglio riposare il più possibile.
La mattina dopo Smullyanna lo svegliò che era ancora buio.
La colazione era a base di quelle focaccette dolcissime che ben conosceva.
Poco dopo, mentre il primo sole si specchiava nella rugiada della notte, arrivarono i suoi quattro accompagnatori.
Smullyanna lo salutò appoggiandogli il naso in mezzo alla fronte, dopo di che partirono al piccolo trotto.
La formazione era la stessa del viaggio di andata: un elfo davanti, due ai lati a sorreggerlo e uno dietro con i bagagli, ma Jona si accorse subito che le cose sarebbero andate molto meglio.
Innanzi tutto gli avevano permesso di tenere il suo lungo bastone su cui stava appollaiato l’Amuleto, ora ornato dal drappo rosso che lo qualificava come ospite del Re, poi l’andatura era molto meno forsennata e i due elfi che lo sostenevano facevano in modo da trasportarlo con leggerezza; lui doveva soltanto assecondare il loro movimento.
Si fermarono anche molto più spesso, ogni due ore circa, per bere e riposarsi.
Questo non gli impedì di arrivare a sera stravolto dalla stanchezza, anche se ancora in grado di ragionare.
Avevano risalito la valle e ora si trovavano al limitare della grande foresta, dove gli alberi cominciavano a diradarsi per lasciar spazio a prati e nude rocce.
L’albero-casa in cui si fermarono era piccolo e relativamente spartano, composto da una singola camera rettangolare e due sgabuzzini che fungevano da bagno e doccia. Jona fu lieto di usarli entrambi.
Le sue guide erano elfi taciturni, ma non evidentemente ostili come quelli di Blanzoon, Jona sperò d’essersi guadagnato un minimo di rispetto da queste creature altezzose che si consideravano così superiori agli “umani”. Resistette alla stanchezza fin quando anche gli elfi non decisero che era ora di dormire, poi si stese sulla sua branda, chiuse gli occhi e si addormentò immediatamente.
Si svegliò che gli elfi erano già vestiti di tutto punto e stavano preparando la colazione. Il sole era già sorto e loro non sembravano aver fretta. Anche la colazione era meno abbondante di quella del giorno prima.
“Oggi abbiamo poca strada da fare?” azzardò.
“Solo fino al lago, dall’altra parte del crinale, ma dobbiamo arrivarci abbastanza presto per dar tempo alla zucca di crescere.”
Jona non fece commenti.
Quando furono pronti a ripartire e i suoi due “portatori” si avvicinarono Jona decise di provare a guadagnarsi un altro po’ di rispetto: “Lo so che non posso correre veloce come voi, specie su queste montagne, ma, visto che non abbiamo molta strada da fare, non potrei seguirvi camminando normalmente?”
Gli elfi si guardarono senza parlare per in istante, poi uno fece un cenno con il capo e due di loro scattarono sul ripido sentiero senza dire nulla mentre gli altri lo affiancarono senza toccarlo: “Vai avanti con il tuo passo, noi ti seguiremo.”
Jona prese un passo veloce che sapeva di poter tenere a lungo, anche su quelle salite. Cercare di correr dietro ai due battistrada che stavano già sparendo fra le rocce, là, in alto, non sarebbe una buona idea.
Si sentiva bene e l’esercizio fatto nei giorni precedenti lo aveva rimesso in buone condizioni. Anche a casa cercava di tenersi in esercizio e sicuramente conduceva una vita attiva, ma c’era una bella differenza fra quello che faceva normalmente e quel che l’avevano costretto a fare qui. L’Amuleto aveva ragione a dire che il moto gli faceva bene.
In pochi minuti dimenticò la presenza dei due elfi che camminavano silenziosamente qualche passo dietro di lui e cominciò a godersi la passeggiata. L’aria era fresca e il sole caldo, il sentiero ben tenuto e sicuro. Accelerò lievemente l’andatura e il valico gli corse incontro sorridendo.
Sul crinale, dove il sentiero cominciava a scendere ripido, si fermò un minuto ad ammirare il panorama. Era splendido. Sotto di lui, a poche centinaia di metri, c’era un piccolo laghetto rotondo da cui partiva un torrentello.
I due battistrada erano presso il lago e stavano facendo qualcosa in una macchia di vegetazione proprio sotto di lui.
Esaminò il terreno accuratamente, poi cominciò a correre direttamente verso di loro abbandonando il sentiero. Più che correre, data la pendenza e le rocce, saltava da un sasso all’altro scegliendo con cura dove appoggiare i piedi, rimbalzando da una roccia a una chiazza erbosa, dritto verso il lago.
Erano anni, tanti, che non faceva quel gioco che gli era sempre piaciuto fin da ragazzo. Ginocchia e caviglie non protestarono troppo per il maltrattamento e gli alti scarponcini di cuoio lo aiutarono a non prendere storte.
Quando si fermò a fianco della macchia di vegetazione aveva il fiato grosso, ma si sentiva bene. Le cure di Smullyanna lo avevano veramente riportato anni indietro, in pochi giorni.
Si girò verso i suoi angeli custodi e non li vide. Sorpreso di non trovarseli alle spalle li cercò con lo sguardo. Erano appena sotto il valico e stavano cercando faticosamente di riguadagnare il sentiero. Si rese conto di aver scelto il percorso meno adatto a un elfo. Saltellare da uno spuntone rocciosa all’altro sulla punta dei piedi non è un esercizio consigliabile; lui sapeva bene che le discese di quel tipo, su rocce e ghiaioni, si fanno piantando i calcagni, tecnica poco adatta ai piedi degli elfi.
I due, intanto, avevano riguadagnato il sentiero ed erano partiti con il loro passo elastico che divorava i chilometri.
“Non farlo mai più!” I due battistrada erano alle sue spalle e lo guardavano con occhi ridotti a due fessure verticali, le orecchie appiattite sulla nuca e i loro lunghi archi tesi con le punte delle frecce rivolte verso il suo cuore, pronte a trapassarlo.
Jona sollevò lentamente le mani in un segno che sperava essere di pace.
Una vocina nel suo cervello gli disse che lo stavano proprio guardando in gattesco.
Dall’Amuleto partirono due raggi rossi che recisero le corde degli archi che scattarono inutilmente nelle loro mani.
“Fermi!” urlò il capo del drappello mentre arrivava con un passo da far invidia a un ghepardo, “Se avesse voluto scappare non sarebbe venuto dritto verso di voi.” I due si rilassarono visibilmente, ma le orecchie indicavano chiaramente che non si fidavano del tutto.
“Scusate, non pensavo di mettervi in difficoltà. Queste discese sono un gioco che facevo spesso da giovane, oggi mi sentivo particolarmente bene e ho voluto provare a rifarlo”, disse terminando con un ampio sorriso di soddisfazione.
Gli elfi lasciarono cadere l’argomento e tornarono al lavoro, dopo aver sostituito le corde dei loro archi. Jona li seguì per curiosare.
Stavano finendo di pulire una grossa zucca grinzosa che avevano colto dalla macchia vicino al lago e faticosamente trasportata su alcune rocce scure dove avrebbe potuto prendere il sole per quasi tutta la giornata. Staccarono anche quattro larghe foglie dai lunghi piccioli legnosi e le misero al sole, spianandole bene sotto dei sassi piatti, poi, soddisfatti del loro lavoro, si allontanarono per andare a caccia. Il capo pattuglia e Jona rimasero per raccogliere la poca legna secca che si poteva trovare fra gli arbusti attorno al lago.
Erano molto in alto, ben sopra la il limite per gli alberi d’alto fusto e quindi non c’erano alberi-casa disponibili, in compenso una piccola spelonca presso la riva era stata adattata a comodo rifugio. I funghi luminosi che crescevano sulla bassa volta si accesero al loro ingresso. Jona chiese spiegazioni.
“Non so di preciso come facciano, ma sentono il movimento e reagiscono illuminandosi,” gli spiegò l’elfo, “se tutto è fermo si spengono lentamente in due o tre minuti. Controlla che il focolare sia pulito e accendiamo il fuoco. Al calar del sole qui fa freschetto.” Jona non aveva alcun dubbio a proposito: vedeva perfettamente il grande ghiacciaio che alimentava il laghetto e che incombeva su di loro a sud.
Quando tornarono i cacciatori con le loro prede un fuoco ardeva allegro e la spelonca era stata ripulita. Non venivano molto spesso da queste parti, gli dissero, nonostante fosse uno dei passaggi più diretti verso nord perché era agibile solo d’estate, quindi approfittavano dell’occasione per manutenere il piccolo avamposto.
Controllarono lo stato di salute delle varie piante-simbionte, a cominciare dalla fungaia di funghi commestibili sul fondo, diradarono e riposizionarono i funghi-lampada, tagliarono le parti debordanti dei muschi che fungevano da giacigli e, in generale, rimisero a nuovo l’abituro.
Prima che il sole sparisse dietro le cime andarono a controllare lo stato della zucca. Aveva già cominciato a gonfiarsi ed era molto più grande di prima, le foglie, invece, si erano seccate e diventate rigide e dure.
“Quando la si stacca dalla pianta e la si mette al sole la polpa interna marcisce rapidamente producendo gas che gonfiano la zattera”, gli disse il capo pattuglia che, dopo l’esibizione della mattina, sembrava un po’ più loquace, “domattina sarà pronta all’uso.”
L’indomani mattina, infatti, trovarono ad aspettarli un’imbarcazione lunga più di quattro metri e larga quasi due, formata da lunghe vesciche gonfie di gas al punto da risuonare come un tamburo se percosse, come fecero gli elfi “per controllare che sia ben gonfia”, come rispose il capo ad un’occhiata interrogativa di Jona.
Soddisfatti la sollevarono e la deposero nelle gelide acque del laghetto, piazzarono al centro, lievemente concavo, Jona e i bagagli che fissarono a piccoli viticci che sporgevano dalla ruvida superficie a intervalli più o meno regolari e cominciarono a pagaiare allegramente con le foglie secche. Jona non ebbe bisogno di chiedere per avere la certezza che anche quella pianta era stata “progettata” al tempio di Asclep.
Il torrentello che avevano imboccato era largo, profondo e gelido, alimentato com’era dalle acque di fusione del ghiacciaio. Si snodava placido per qualche centinaio di metri, poi girava entrando in una gola fra due pareti rocciose. Probabilmente un tempo il ghiacciaio arrivava fin lì, pensò oziosamente Jona, poi sentì il rumore delle acque proprio mentre la zattera veniva afferrata dalla corrente e balzava in avanti. Gli elfi non pagaiavano più; si limitavano a mantenere l’imbarcazione sul filo della corrente e a stabilizzarla, per quanto possibile.
“Reggiti” disse il capo pattuglia con voce piana e un largo sorriso. Imboccarono un canalone poco più largo della zattera e Jona si aggrappò ai viticci per non essere sbalzato mentre le acque sotto di loro diventavano bianche per la spuma.
Il canalone era lungo poche centinaia di metri, li percorsero in un minuto che a Jona parve un’eternità, poi il fiumicello si allargò in un altro tratto quasi in piano.
Proseguirono così fra rapide e pianori per buona parte della giornata. La prima rapida l’aveva colto di sorpresa, ma poi Jona cominciò a guardarsi intorno con crescente interesse. Anche i suoi compagni si stavano divertendo in quella discesa a rotta di collo.
Presto cominciò a divertirsi anche lui, la paura del primo impatto dimenticata e sovrastata dall’esilarante sensazione di cavalcare le acque ruggenti.
A metà pomeriggio, mentre stavano sfrecciando in uno stretto canalone, il capo disse con un ampio sorriso: “Adesso reggiti forte!” stava urlando per sovrastare il rumore. Jona non ebbe il tempo di chiedere nulla perché erano arrivati al termine del canalone e il fiume scomparve davanti alla zattera. Jona fece appena a tempo a pensare “cascata” e si trovò in aria mentre gli elfi agitavano le pagaie per mantenere l’imbarcazione orizzontale.
Piombarono in un laghetto dopo un volo di solo tre o quattro metri, ma che era sembrato molto più lungo. Jona per poco non perse la presa rimbalzando sul fondo gonfio e teso. Un grido di vittoria gli sfuggì dalle labbra. Gli elfi lo guardarono e gli sorrisero complici, poi pagaiarono lentamente verso le rive boscose del grande lago.
Un’ora dopo erano in un vecchio albero casa molto usato e in perfette condizioni.
Addio agli Elfi
Il giorno dopo fu più tranquillo.
Il fiumicello che usciva dal lago era ben più ampio del torrentello che avevano percorso, anche lui aveva rapide e acque bianche, ma meno strette ed eccitanti del precedente. La corrente era vigorosa e li trascinò verso nord tra valli che si andavano sempre più allargando.
Jona colse un cambiamento nell’atteggiamento degli elfi: erano tutti più rilassati e il capo si permise perfino di parlare un po’ con lui.
“Stasera saremo alla confluenza con il Rin. Lì ti lasceremo. Devi proseguire con la zattera. Sarai in territorio elfico fino a Baal. Potrai fermarti negli alberi casa presso il fiume, forse ci saranno altri elfi, non avrai problemi, se tieni quello bene in vista”, con il pollice accennò al drappo rosso che ornava il bastone di Jona, subito sotto l’Amuleto.
“Come trovo gli alberi casa?”
“Non c’è problema, ti farò vedere. Lungo il Rin ci sono molti alberi lungo la riva, sorgono isolati e sono ben visibili dal fiume. Fai attenzione a rimanere lungo la sponda quando ti vuoi fermare, altrimenti rischi di non riuscire ad arrivare a riva per tempo e la corrente ti trascinerà via.”
“A proposito: come faccio a manovrare questa zattera da solo? Voi state due a destra e due a sinistra e ho visto che pagaiate sempre insieme, ma io come faccio?”
L’elfo rise: “Hai buoni occhi, umano. Non si possono usare le pagaie. Ora ti faccio vedere.” Tirò fuori dal fondo della zattera un lungo remo piatto e flessibile e una canna anche più lunga che incastrò sul remo ottenendo un palo flessibile con una lunga pala ad un estremo. Gli altri avevano smesso di remare e stavano a guardare.
“Tieni, usa questo.”
Jona prese in mano lo strano remo. Era abbastanza pesante e, lungo com’era, circa sette/otto metri, non si poteva maneggiare bene. Provò ad appoggiarlo su un bordo della zattera e a muoverlo; la zattera ruotò ondeggiando pericolosamente mentre il remo si fletteva.
Lanciò un’occhiata interrogativa all’elfo che indicò, con il solito gesto del pollice, verso poppa, dove c’era una profonda scanalatura legnosa, proprio lì dove avevano staccato il picciolo.
Usarlo come scalmo?
Jona appoggiò il lungo remo, incastrandolo in quella fessura e provò a vogare. La zattera ruotò di nuovo su sé stessa, ma con meno ondeggiamenti Lo riportò indietro, notando che si fletteva come la coda di un pesce. Cominciò a portarlo avanti e indietro e la zattera prese ad avanzare a scatti nella direzione voluta
“Bravo. Hai quasi capito come si fa. Adesso ti faccio vedere i dettagli prima che ti stiri qualche muscolo. Così fai troppo sforzo. Guarda.” Jona gli cedette il remo molto volentieri, l’elfo lo prese e lo tirò per circa la metà a bordo, poi si mise al centro alla zattera e cominciò ad ondeggiarlo lentamente. Il remo si fletteva molto di più e imprimeva una spinta maggiore.
Jona si avvicinò all’elfo e gli tolse il remo dalle mani. Quello lo lasciò fare e andò a sedersi in modo da bilanciare la zattera. In quel modo il remo era molto più leggero, imperniato com’era nel suo punto centrale. Anche il movimento lento aiutava a far meno fatica, ma era ugualmente efficace. La zattera proseguiva su una linea serpeggiante.
Jona continuò a vogare ancora per parecchio tempo, facendo esperimenti per avvicinarsi alla sponda o allontanarsi, poi si avvicinarono ad una piccola rapida e gli elfi afferrarono le pagaie, ma non le misero in acqua. Jona capì di essere stato ammesso a sostenere la prova d’esame.
Era in piedi quasi al centro della zattera e poteva valutare benissimo le condizioni dell’acqua.
Manovrò per trovarsi proprio al centro, dove la corrente è più veloce, ma anche meno turbolenta.
La zattera rispondeva prontamente alle rotazioni e Jona capì subito che doveva cercare di andare più veloce della corrente, non lasciarsi solo trasportare da lei. Gli elfi rimasero immobili per tutto il tempo, con le pagaie in mano puntate verso il cielo. Solo quando furono di nuovo in acque più calme il capo pattuglia ruppe il silenzio:
A metà pomeriggio arrivarono al Rin un largo fiume dalla corrente veloce. Si fermarono in un albero casa proprio alla confluenza.
Jona era stanco, ma sapeva di essere in grado di manovrare la zattera da solo.
Gli elfi erano d’accordo con lui.