La pianta-zattera

Fu accontentato, ma questo non gli impedì di avere un’altra sorpresa prima che la giornata volgesse, finalmente, al termine.
Un’occhiata all’Amuleto, infatti, gli rivelò che era già ora di ripartire: la Bussola, nuovamente in bella vista, puntava decisa verso nord.
Jona aveva sperato di rimanere ancora un po’ lì nell’Innerwald, ma gli Dei, e Thano in particolare, la pensavano in modo differente.
Jona sospirò e andò a cercare Smullyanna per avvertirla.
In meno di mezz’ora un messo del Re gli aveva comunicato che la scorta per condurlo verso nord era già stata assegnata. Sarebbero partiti l’indomani all’alba.
Jona sorrise fra sé quando la pesante tenda si richiuse alle spalle del messo: il Re non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quell’ospite ingombrante.

Stava radunando le sue cose quando un pensiero lo colpì facendolo barcollare: avevano intenzione di farlo ripartire al galoppo come era arrivato?
Meglio riposare il più possibile.

La mattina dopo Smullyanna lo svegliò che era ancora buio.
La colazione era a base di quelle focaccette dolcissime che ben conosceva.

Poco dopo, mentre il primo sole si specchiava nella rugiada della notte, arrivarono i suoi quattro accompagnatori.

Smullyanna lo salutò appoggiandogli il naso in mezzo alla fronte, dopo di che partirono al piccolo trotto.
La formazione era la stessa del viaggio di andata: un elfo davanti, due ai lati a sorreggerlo e uno dietro con i bagagli, ma Jona si accorse subito che le cose sarebbero andate molto meglio.
Innanzi tutto gli avevano permesso di tenere il suo lungo bastone su cui stava appollaiato l’Amuleto, ora ornato dal drappo rosso che lo qualificava come ospite del Re, poi l’andatura era molto meno forsennata e i due elfi che lo sostenevano facevano in modo da trasportarlo con leggerezza; lui doveva soltanto assecondare il loro movimento.

Si fermarono anche molto più spesso, ogni due ore circa, per bere e riposarsi.
Questo non gli impedì di arrivare a sera stravolto dalla stanchezza, anche se ancora in grado di ragionare.
Avevano risalito la valle e ora si trovavano al limitare della grande foresta, dove gli alberi cominciavano a diradarsi per lasciar spazio a prati e nude rocce.

L’albero-casa in cui si fermarono era piccolo e relativamente spartano, composto da una singola camera rettangolare e due sgabuzzini che fungevano da bagno e doccia. Jona fu lieto di usarli entrambi.

Le sue guide erano elfi taciturni, ma non evidentemente ostili come quelli di Blanzoon, Jona sperò d’essersi guadagnato un minimo di rispetto da queste creature altezzose che si consideravano così superiori agli “umani”. Resistette alla stanchezza fin quando anche gli elfi non decisero che era ora di dormire, poi si stese sulla sua branda, chiuse gli occhi e si addormentò immediatamente.

Si svegliò che gli elfi erano già vestiti di tutto punto e stavano preparando la colazione. Il sole era già sorto e loro non sembravano aver fretta. Anche la colazione era meno abbondante di quella del giorno prima.
“Oggi abbiamo poca strada da fare?” azzardò.
“Solo fino al lago, dall’altra parte del crinale, ma dobbiamo arrivarci abbastanza presto per dar tempo alla zucca di crescere.”
Jona non fece commenti.

Quando furono pronti a ripartire e i suoi due “portatori” si avvicinarono Jona decise di provare a guadagnarsi un altro po’ di rispetto: “Lo so che non posso correre veloce come voi, specie su queste montagne, ma, visto che non abbiamo molta strada da fare, non potrei seguirvi camminando normalmente?”

Gli elfi si guardarono senza parlare per in istante, poi uno fece un cenno con il capo e due di loro scattarono sul ripido sentiero senza dire nulla mentre gli altri lo affiancarono senza toccarlo: “Vai avanti con il tuo passo, noi ti seguiremo.”

Jona prese un passo veloce che sapeva di poter tenere a lungo, anche su quelle salite. Cercare di correr dietro ai due battistrada che stavano già sparendo fra le rocce, là, in alto, non sarebbe una buona idea.
Si sentiva bene e l’esercizio fatto nei giorni precedenti lo aveva rimesso in buone condizioni. Anche a casa cercava di tenersi in esercizio e sicuramente conduceva una vita attiva, ma c’era una bella differenza fra quello che faceva normalmente e quel che l’avevano costretto a fare qui. L’Amuleto aveva ragione a dire che il moto gli faceva bene.

In pochi minuti dimenticò la presenza dei due elfi che camminavano silenziosamente qualche passo dietro di lui e cominciò a godersi la passeggiata. L’aria era fresca e il sole caldo, il sentiero ben tenuto e sicuro. Accelerò lievemente l’andatura e il valico gli corse incontro sorridendo.
Sul crinale, dove il sentiero cominciava a scendere ripido, si fermò un minuto ad ammirare il panorama. Era splendido. Sotto di lui, a poche centinaia di metri, c’era un piccolo laghetto rotondo da cui partiva un torrentello.
I due battistrada erano presso il lago e stavano facendo qualcosa in una macchia di vegetazione proprio sotto di lui.

Esaminò il terreno accuratamente, poi cominciò a correre direttamente verso di loro abbandonando il sentiero. Più che correre, data la pendenza e le rocce, saltava da un sasso all’altro scegliendo con cura dove appoggiare i piedi, rimbalzando da una roccia a una chiazza erbosa, dritto verso il lago.
Erano anni, tanti, che non faceva quel gioco che gli era sempre piaciuto fin da ragazzo. Ginocchia e caviglie non protestarono troppo per il maltrattamento e gli alti scarponcini di cuoio lo aiutarono a non prendere storte.

Quando si fermò a fianco della macchia di vegetazione aveva il fiato grosso, ma si sentiva bene. Le cure di Smullyanna lo avevano veramente riportato anni indietro, in pochi giorni.
Si girò verso i suoi angeli custodi e non li vide. Sorpreso di non trovarseli alle spalle li cercò con lo sguardo. Erano appena sotto il valico e stavano cercando faticosamente di riguadagnare il sentiero. Si rese conto di aver scelto il percorso meno adatto a un elfo. Saltellare da uno spuntone rocciosa all’altro sulla punta dei piedi non è un esercizio consigliabile; lui sapeva bene che le discese di quel tipo, su rocce e ghiaioni, si fanno piantando i calcagni, tecnica poco adatta ai piedi degli elfi.
I due, intanto, avevano riguadagnato il sentiero ed erano partiti con il loro passo elastico che divorava i chilometri.

“Non farlo mai più!” I due battistrada erano alle sue spalle e lo guardavano con occhi ridotti a due fessure verticali, le orecchie appiattite sulla nuca e i loro lunghi archi tesi con le punte delle frecce rivolte verso il suo cuore, pronte a trapassarlo.
Jona sollevò lentamente le mani in un segno che sperava essere di pace.
Una vocina nel suo cervello gli disse che lo stavano proprio guardando in gattesco.
Dall’Amuleto partirono due raggi rossi che recisero le corde degli archi che scattarono inutilmente nelle loro mani.

“Fermi!” urlò il capo del drappello mentre arrivava con un passo da far invidia a un ghepardo, “Se avesse voluto scappare non sarebbe venuto dritto verso di voi.” I due si rilassarono visibilmente, ma le orecchie indicavano chiaramente che non si fidavano del tutto.
“Scusate, non pensavo di mettervi in difficoltà. Queste discese sono un gioco che facevo spesso da giovane, oggi mi sentivo particolarmente bene e ho voluto provare a rifarlo”, disse terminando con un ampio sorriso di soddisfazione.

Gli elfi lasciarono cadere l’argomento e tornarono al lavoro, dopo aver sostituito le corde dei loro archi. Jona li seguì per curiosare.
Stavano finendo di pulire una grossa zucca grinzosa che avevano colto dalla macchia vicino al lago e faticosamente trasportata su alcune rocce scure dove avrebbe potuto prendere il sole per quasi tutta la giornata. Staccarono anche quattro larghe foglie dai lunghi piccioli legnosi e le misero al sole, spianandole bene sotto dei sassi piatti, poi, soddisfatti del loro lavoro, si allontanarono per andare a caccia. Il capo pattuglia e Jona rimasero per raccogliere la poca legna secca che si poteva trovare fra gli arbusti attorno al lago.

Erano molto in alto, ben sopra la il limite per gli alberi d’alto fusto e quindi non c’erano alberi-casa disponibili, in compenso una piccola spelonca presso la riva era stata adattata a comodo rifugio. I funghi luminosi che crescevano sulla bassa volta si accesero al loro ingresso. Jona chiese spiegazioni.
“Non so di preciso come facciano, ma sentono il movimento e reagiscono illuminandosi,” gli spiegò l’elfo, “se tutto è fermo si spengono lentamente in due o tre minuti. Controlla che il focolare sia pulito e accendiamo il fuoco. Al calar del sole qui fa freschetto.” Jona non aveva alcun dubbio a proposito: vedeva perfettamente il grande ghiacciaio che alimentava il laghetto e che incombeva su di loro a sud.
Quando tornarono i cacciatori con le loro prede un fuoco ardeva allegro e la spelonca era stata ripulita. Non venivano molto spesso da queste parti, gli dissero, nonostante fosse uno dei passaggi più diretti verso nord perché era agibile solo d’estate, quindi approfittavano dell’occasione per manutenere il piccolo avamposto.
Controllarono lo stato di salute delle varie piante-simbionte, a cominciare dalla fungaia di funghi commestibili sul fondo, diradarono e riposizionarono i funghi-lampada, tagliarono le parti debordanti dei muschi che fungevano da giacigli e, in generale, rimisero a nuovo l’abituro.

Prima che il sole sparisse dietro le cime andarono a controllare lo stato della zucca. Aveva già cominciato a gonfiarsi ed era molto più grande di prima, le foglie, invece, si erano seccate e diventate rigide e dure.
“Quando la si stacca dalla pianta e la si mette al sole la polpa interna marcisce rapidamente producendo gas che gonfiano la zattera”, gli disse il capo pattuglia che, dopo l’esibizione della mattina, sembrava un po’ più loquace, “domattina sarà pronta all’uso.”

L’indomani mattina, infatti, trovarono ad aspettarli un’imbarcazione lunga più di quattro metri e larga quasi due, formata da lunghe vesciche gonfie di gas al punto da risuonare come un tamburo se percosse, come fecero gli elfi “per controllare che sia ben gonfia”, come rispose il capo ad un’occhiata interrogativa di Jona.
Soddisfatti la sollevarono e la deposero nelle gelide acque del laghetto, piazzarono al centro, lievemente concavo, Jona e i bagagli che fissarono a piccoli viticci che sporgevano dalla ruvida superficie a intervalli più o meno regolari e cominciarono a pagaiare allegramente con le foglie secche. Jona non ebbe bisogno di chiedere per avere la certezza che anche quella pianta era stata “progettata” al tempio di Asclep.

Il torrentello che avevano imboccato era largo, profondo e gelido, alimentato com’era dalle acque di fusione del ghiacciaio. Si snodava placido per qualche centinaio di metri, poi girava entrando in una gola fra due pareti rocciose. Probabilmente un tempo il ghiacciaio arrivava fin lì, pensò oziosamente Jona, poi sentì il rumore delle acque proprio mentre la zattera veniva afferrata dalla corrente e balzava in avanti. Gli elfi non pagaiavano più; si limitavano a mantenere l’imbarcazione sul filo della corrente e a stabilizzarla, per quanto possibile.

“Reggiti” disse il capo pattuglia con voce piana e un largo sorriso. Imboccarono un canalone poco più largo della zattera e Jona si aggrappò ai viticci per non essere sbalzato mentre le acque sotto di loro diventavano bianche per la spuma.
Il canalone era lungo poche centinaia di metri, li percorsero in un minuto che a Jona parve un’eternità, poi il fiumicello si allargò in un altro tratto quasi in piano.
Proseguirono così fra rapide e pianori per buona parte della giornata. La prima rapida l’aveva colto di sorpresa, ma poi Jona cominciò a guardarsi intorno con crescente interesse. Anche i suoi compagni si stavano divertendo in quella discesa a rotta di collo.
Presto cominciò a divertirsi anche lui, la paura del primo impatto dimenticata e sovrastata dall’esilarante sensazione di cavalcare le acque ruggenti.
A metà pomeriggio, mentre stavano sfrecciando in uno stretto canalone, il capo disse con un ampio sorriso: “Adesso reggiti forte!” stava urlando per sovrastare il rumore. Jona non ebbe il tempo di chiedere nulla perché erano arrivati al termine del canalone e il fiume scomparve davanti alla zattera. Jona fece appena a tempo a pensare “cascata” e si trovò in aria mentre gli elfi agitavano le pagaie per mantenere l’imbarcazione orizzontale.
Piombarono in un laghetto dopo un volo di solo tre o quattro metri, ma che era sembrato molto più lungo. Jona per poco non perse la presa rimbalzando sul fondo gonfio e teso. Un grido di vittoria gli sfuggì dalle labbra. Gli elfi lo guardarono e gli sorrisero complici, poi pagaiarono lentamente verso le rive boscose del grande lago.
Un’ora dopo erano in un vecchio albero casa molto usato e in perfette condizioni.