11: Barcaiolo Rosso

L’addio degli Elfi

Mani forti e dure lo svegliarono di soprassalto.
Prima che potesse aprire gli occhi si ritrovò avvolto nel lenzuolo che lo copriva come una mummia. Solo la testa era libera.
Mise a fuoco i suoi assalitori mentre lo sollevavano e lo portavano, impacchettato come un bimbo in fasce, fuori dalla casa albero. Indiscutibilmente elfi, ma con la pelle scura, quasi rossiccia; erano seminudi e portavano enormi maschere di legno che coprivano interamente la testa e buona parte del petto.

Fuori, vicino al fiume, era acceso un alto falò.
Appena fu portato fuori dall’albero scoppiò un frastuono indescrivibile di urla ritmate al suono di tamburi e un qualche genere di pifferi.
Jona sempre avviluppato nel suo bozzolo di tela fu appeso senza tanti complimenti a un gancio presso il fuoco. Il calore gli fece arricciare i capelli.

Gli elfi, una decina, cominciarono una danza ritmata dai tamburi.

Jona stava cercando di liberarsi dal lenzuolo che lo avvolgeva, ma con scarsi risultati.
Cercò di evocare l’Amuleto, ma quello doveva essere rimasto a fianco del letto e non lo sentì.
Lo sentirono, invece, gli elfi che esplosero in una fragorosa risata senza smettere la loro forsennata danza.

Il ritmo si faceva sempre più serrato fino a un’esplosione cacofonica che bloccò tutti.
I tamburi ripresero con un ritmo lento e maestoso, mentre quattro elfi si dirigevano verso Jona.
Gli altri erano fermi attorno al fuoco e cadenzavano, battendo le mani, l’incedere dei quattro.
Due si piazzarono ai suoi fianchi e lo tennero ben fermo, anche se lui stava cercando di divincolarsi disperatamente.
Il più alto dei due che rimasero di fronte a lui fece un discorso di cui Jona non capì nulla, visto che non c’era l’Amuleto a tradurre, ma che fu accolto con risa, schiamazzi e applausi dagli altri elfi.
Poi fu la volta dell’altro che, con voce chiara, disse: “Ti battezzo Rotbaadsmand: “Il Barcaiolo rosso”.”

Jona rimase folgorato dalla sorpresa, poi un dolore lancinante all’orecchio sinistro gli fece chiudere gli occhi.
Quando li riaprì i due davanti a lui si stavano togliendo le maschere e Jona si trovò di fronte Gornor e Falanor, poi sentì uno scatto e si sentì proiettare verso il cielo mentre il gancio strappava il lenzuolo che lo imprigionava.
“Strano modo di morire”, pensò mentre ancora lottava per liberarsi dagli stracci che lo avvolgevano.
Poi piombò nell’acqua fredda del Rin.
Il colpo lo costrinse a espellere l’aria dai polmoni, ma ebbe abbastanza prontezza di spirito da evitare d’inspirare.
Le braccia erano libere e si dette una spinta per tornare a galla.
La luna, quasi piena, si rispecchiava sulle acque scure del Rin.

Jona era in una pozza di acqua calma a pochi metri dalla riva, dove gli elfi lo aspettavano.
Si liberò dai resti del lenzuolo che ancora gli bloccavano le gambe e si guardò intorno, poi, con poche bracciate, raggiunse la riva.
“Maestà, Maestro, sono felice di vedervi, anche se, debbo dire, non mi aspettavo una Vostra visita”, disse chiamando a raccolta tutta la dignità che gli era rimasta e facendo un inchino degno di un paggio di corte.
Gli elfi, vedendolo bagnato come un pulcino, con addosso solo una camicia strappata e il suo spirito, scoppiarono in un fragoroso applauso.

“Nessun Elfo si aspetta quello che gli capita durante il battesimo”, gli disse Falanor, “con te siamo andati leggeri perché non avevi nemmeno idea che esistesse questa cerimonia. Puoi andare orgoglioso: non sono molti gli umani che si sono guadagnati il nostro rispetto”, poi, notando che Jona si stava massaggiando l’orecchio dolente, gli fece vedere il suo orecchio sinistro: dietro il padiglione erano tatuate una serie di lettere strane e sottili. “Questo è il mio nome di Battesimo: “Amico dei Cervi”. Non sono molti ad averlo visto.”
Jona era ancora frastornato, ma capiva bene che gli era stato fatto un grande onore.

Tutti gli elfi che aveva conosciuto erano lì attorno al fuoco, Smullyanna, Selinar, i suoi compagni di zattera, altri quattro guerrieri che potevano essere quelli che lo avevano condotto fino all’Innerwald, Jona non riusciva a ricordarli chiaramente
La cerimonia privata del Battesimo si concluse con un banchetto che durò fino al mattino.
Gli elfi lo salutarono e scomparvero silenziosi nei boschi.

Per ultimo rimase il capo-pattuglia che gli aveva insegnato i rudimenti della navigazione fluviale.
“Ti consiglio di riposarti una giornata. Devi essere stanco. Questa borsa contiene un sigillo reale che ti permetterà di ottenere assistenza da qualsiasi Elfo nel regno di Falanor e un po’ di denaro umano con cui potrai affrontare i primi giorni nei territori a nord di Baal. Fai buon viaggio e ricordati che, da oggi, sei anche un elfo. Fai onore alla tua razza e alla nostra.”
Poi sparì anche lui veloce nella foresta.

L’alto Rin

Dormì tutto il giorno.
Preparò una parca cena con le provviste rimaste nell’albero-casa e si riaddormentò.

Prima dell’alba era finalmente in piedi e preparava le sue cose per il viaggio sul fiume, che si preannunciava lungo.
“Dormito bene?” gli chiese l’Amuleto.
“Come un sasso!”

“C’è sempre una prima volta nella vita!” Jona lo canzonò di rimando mentre usava il suo lungo remo per allontanare la zattera dalla riva e portarla verso il centro del fiume, dove la corrente era più veloce e correva liscia, senza vortici.

L’Amuleto non rispose e Jona cominciò a rimuginare su quelle parole che gli erano uscite, per scherzo, dalle labbra.
“Tu non sei vivo, vero?”
“Dipende da cosa intendi per “vivo”.”

“Mi stai prendendo in giro? Sicuramente ti comporti in maniera molto diversa da come agiva il “mio” Amuleto. Forse non sei “vivo”, ma sembri molto cosciente di te stesso”
“Perché, non sono il “tuo” Amuleto, ora?” lo canzonò l’Amuleto.
“Mi stai prendendo in giro. Ora ne sono sicuro. Dovresti essere ben più stupido di quel che sembri per non capire che tu, per me, sei sempre “l’Amuleto di Thano”.”

“E questo non significa nulla, per te?”

“Sai benissimo che ho mentito diverse volte in questo viaggio. Quindi sai perfettamente che posso mentire, se necessario. E comunque quella delle bugie era solo un esempio, e sai anche questo.”
“E allora che cosa volevi dire, di preciso?”
“Che non so se mi posso veramente fidare di te.”
“Beh, questo è un problema tuo. Io non ti posso aiutare.”
Jona sorrise: “Corretto. Qualunque cosa tu possa dire io non posso sapere se lo dici perché è vero o per ingannarmi. Sono io che devo decidere se crederti o no.”

Rimasero per un po’ in silenzio, poi Jona sbottò:

Jona sorrise di nuovo: “Beh, non è il paragone che avrei fatto io, ma calza abbastanza, anche se non ce lo vedo un Amuleto a fare le feste al padrone che rincasa. Sicuramente tu sei diverso. Qualunque cosa tu sia sei una “persona”. Per ora ti considererò un compagno di viaggio. Poi vedremo.”
L’Amuleto colse le implicazioni, perché rispose:
“Thano. Che vuole da me, veramente?”
“Non lo so. E, anche lo sapessi, è una di quelle cose che non potrei proprio dirti.”

La seconda prova di Thano

Thano, contrariamente a quanto aveva detto l’Amuleto, non si fece vedere e la giornata trascorse calma con Jona che meditava silenzioso sulle giornate trascorse dettando, di tanto in tanto, appunti all’Amuleto e questo che commentava liberamente.

A sera Jona chiese la mappa dal cielo per cercare un posto per passare la notte, ma l’Amuleto rispose: “Non credo tu abbia molte scelte. Alla prossima ansa del fiume accosta alla riva destra”.

Dietro la curva, protetto da alti alberi, c’era un piccolo albero casa dalle cui finestre usciva una minacciosa luce rossa. Jona si diresse da quella parte.
Thano li stava aspettando.

L’albero era su un piccolo promontorio erboso che formava una gora di acqua calma dove Jona pilotò la sua zattera, saltò a terra e la trascinò sulle pietre levigate sistemandola ove la corrente non potesse portarsela via, poi afferrò il suo zaino e si preparò ad affrontare Thano.

Thano era seduto all’unico tavolo che occupava il centro della stanzetta.
Ce la siamo presa comoda, Mago.
“Non avresti apprezzato se fossi corso qui senza assicurarmi che tutto fosse in ordine.”
Vero” rispose il Dio annuendo sotto il cappuccio del suo immancabile mantello rosso, “siedi”, disse con voce piana e, allungando una gamba sotto il tavolo, diede una spinta alla sedia che aveva di fronte, allontanandola e indicando chiaramente a Jona dove dovesse sedersi.

Jona sbiancò e si sedette con estrema cautela.
Gli Dei erano stati una presenza costante nella sua vita, ma, pur potenti, erano stati sempre delle immagini, dei fantasmi
Questo aveva spostato una sedia. Una sedia solida a sufficienza da sostenere il suo peso.

Thano gli lasciò il tempo di assorbire la novità, poi: “Sai perché sono qui?
“Per mettermi alla prova un’altra volta, suppongo”
Thano rise.

Jona prese tempo. Non poteva trattarsi di qualcosa di banale come l’aver superato le rapide — cosa della quale Jona si sentiva molto fiero — ma che probabilmente interessava poco a Thano. D’altra parte non gli pareva di aver fatto nulla di particolarmente ingegnoso o pericoloso ultimamente. L’evento più rilevante degli ultimi giorni era stato il Battesimo, ma anche quello non sembrava certo una prova di Thano.

Thano cominciò a tamburellare con le dita della mano sinistra sul tavolo.
“Non la so”, disse Jona ammettendo la sconfitta, “non ho fatto nulla di particolare, negli ultimi giorni; più che altro sono stato sballottato su e giù per queste montagne, trasportato come un bagaglio e sempre un passo indietro rispetto a quel che succedeva.”
Oh, il nostro buon Mago fa il modesto” lo schernì Thano,
Fece una breve pausa, poi: “Vai a darti una lavata, ché puzzi ancora di sudore e di birra. Nel frattempo pensa a questo: Quando e perché ti sei comportato in modo diverso da quello che fa di solito la gente, per esempio Michele o Arianna?
Jona afferrò lo zaino e, senza dire altro, cominciò a salire le scale che portavano, come d’abitudine in quei rifugi isolati, ai servizi e alle camere da letto.

L’Amuleto lanciò un breve lampo che non passò inosservato: “No. Tu rimani qui” disse Thano con il solito ghigno.
Jona scrollò le spalle e continuò a salire, dandosi mentalmente dell’idiota per non aver pensato di prendere l’Amuleto. La presenza di Thano mi ha scombussolato più del dovuto

Il bagno era assolutamente normale, per un bagno elfico. Riempì il tino di acqua calda e mantenne il getto caldo aperto anche dopo essersi immerso fino a quando non riuscì più a resistere al calore. Poi lo chiuse e si abbandonò sul sedile lasciandosi cuocere piacevolmente dall’acqua caldissima.

Thano gli aveva dato quelli che dovevano essere indizi essenziali.
Aveva nominato Michele e Arianna.
Che aveva fatto con loro?
Con Arianna era stato duro.
L’aveva rifiutata.
Poi aveva capito l’errore e aveva cercato di rimediare.
Sperava di esserci riuscito.
Michele era stato un piacevole compagno di viaggio.
Un po’ chiuso, almeno all’inizio.
Quando era venuto a conoscenza del problema con Linda, Jona aveva provato a dare una mano.
Si sorprese a chiedersi come fossero andate a finire le cose fra quei due. Avrebbe dovuto chiedere all’Amuleto. Forse ne sapeva qualcosa.
Anche Arianna
Sorrise.
Sicuramente la vocazione l’aveva.
Che aveva fatto lui, di tanto strano?
No. Questa è la domanda sbagliata.
Thano è stato chiaro.
Che cosa avevano fatto loro?
Sì questa è una domanda più sensata.
Arianna aveva cercato di fare il suo dovere, o, almeno, quello che pensava fosse il suo dovere.
Anche Michele lo aveva aiutato; a pagamento, almeno all’inizio, ma era stato fedele alla parola data.
Che c’era di diverso?
Sicuramente Jona non aveva sentito nessun dovere nei loro confronti.
Aveva agito a quel modo perché gli pareva giusto.
Questa era una differenza.
Improbabile che Thano si interessasse del suo senso del dovere, almeno fino a che questo dovere non era nei Suoi riguardi.
Si rituffò nei ricordi.
Doveva esserci qualcos’altro.
L’acqua stava cominciando a diventare fredda.
Quanto tempo era passato?
Thano non avrebbe aspettato in eterno.
Lascia perdere Thano; idiota.
Pensa ad Arianna!
Quella stupida aveva cercato di fare “il suo dovere”, senza curarsi di capire di che cosa avesse bisogno lui
Il cuore di Jona perse un battito.

Allungò la mano e azionò il getto che, mentre il tino si svuotava, lo risciacquò dalle essenze detergenti e profumate.
Fortuna che l’uomo non è solubile in acqua calda!” lo salutò il Dio appena Jona cominciò a scendere le scale.
“Volevo essere ben sicuro di non offendere l’olfatto”
Bene, vedo che sei convinto di aver trovato la soluzione dell’indovinello. Me la dirai dopo cena
Jona rimase di sasso.
Il Dio era ai fornelli e stava armeggiando con un paio di piccole padelle e un tegamino.
La tavola era apparecchiata di tutto punto con un elegante servizio di piatti e bicchieri. Ovviamente tutto era rosso, ma non aveva una tonalità minacciosa.
Spero ti piaccia il pesce”, disse con un tono conviviale che non gli si addiceva per nulla, “penso che gradirai qualche piccola novità
Scoperchiò una delle padelle ed estrasse due palle un po’ schiacciate di una pasta dorata che sembrava molto morbida. Pesce? Non sembrava! Thano versò nell’incavo superiore di quella specie di spessa focaccia tonda una generosa cucchiaiata di palline grigie di pochi millimetri di diametro e ne presentò una a Jona, mentre faceva sparire l’altra con evidente soddisfazione.

Jona tagliò un pezzo della sua, facendo versare i pallini in giro per il piatto.
Ricompose alla meglio il boccone e lo mise in bocca.
Le palline avevano un forte gusto di pesce ed erano gelate, la focaccia era una nuvola d’uovo calda. Jona, come Thano sapeva perfettamente, non aveva mai assaggiato nulla di simile.
“Buono. Cos’è?”
Cos’era, vorrai dire!” Thano aveva ripreso la sua voce beffarda, “in più di un senso: oltre che per l’ovvio fatto che non esistono più” disse indicando i piatti, “anche perché il ricordo di come farli è rimasto solo in cielo. Nessuno sulla terra sa più come preparare i Blinis con il Caviale.
Ma questo era l’antipasto. Adesso veniamo al piatto forte.

Afferrò un lungo coltello che aveva l’aria solida ed estremamente affilata.
Mise sul tavolo di legno una serie di blocchi compatti di carne di pesce di tutti i colori e di tutte le consistenze, dall’immancabile rosso al bianco al giallo tenue. Sembravano tutti assolutamente crudi.

Thano cominciò a tagliare strisce di carne dai vari blocchi, a sistemarla su due spessi vassoi di legno, a volte su masse di roba che sembrava mollica di pane bagnata, a volte da sola, inframmezzando con foglie aromatiche.
Le due composizioni sui taglieri erano diverse, ma evidentemente fatte per essere piacevoli alla vista, oltre che al palato.

Jona aveva seguito la preparazione affascinato.
Più che di cucina si poteva parlare di arte dell’intarsio.
Thano ammirò un attimo le sue creazioni, fece qualche impercettibile aggiustamento, aggiunse a ciascun tagliere una coppetta che riempì di un liquido scuro e una pallina di una pasta verde, la stessa che aveva utilizzato, a volte, per aromatizzare le striscioline di pesce.

Ne mise una davanti a Jona e gli porse una lunga pinzetta formata da due bastoncini appuntiti uniti da una molla.
Guarda, si fa così.
Prese i suoi bastoncini che, come Jona vide chiaramente, non erano uniti fra loro, e li usò per prendere un pezzetto di pesce crudo, lo tuffò nel liquido della tazzina e lo portò alla bocca.
Jona cercò d’imitarlo, ma il boccone tendeva a scivolare e Jona era costretto a inseguirlo. Quando arrivò sulla tazzina il pezzetto di pesce gli sfuggì e si tuffò di sua spontanea volontà nel mare scuro, provocando alti schizzi.
Thano non faceva commenti, ma Jona si sentiva addosso gli occhi divertiti del Dio. Dovette ripescare dalla tazzina il boccone, reso ancora più viscido.
Jona era concentratissimo sul movimento di quella strana pinzetta (come faceva Thano a usare i bastoncini staccati? Sembrava che obbedissero a comandi mentali
Si era spettato qualcosa di viscido e dominato dal sapore della salsa che aveva un odore piuttosto forte; niente di tutto ciò. Il sapore di mare era ben evidente e la consistenza piacevole. Anche in questo caso Jona era sicuro di non aver mai mangiato niente di simile, ma questo non gli impedì di apprezzare.

Thano gli stava versando un bicchiere di vino di un rosso trasparente.

Ben prima della fine Jona aveva imparato a maneggiare la strana pinzetta abbastanza da rilassarsi e godersi la cena.

Poteva essere la sua ultima cena. Jona lo sapeva benissimo e non lo dimenticò neppure per un istante, ma questo non gli impedì d’interessarsi alle diverse varietà di pesce che aveva davanti.
Dopotutto essere serviti a tavola da un Dio non è cosa di tutti i giorni.
Thano si dimostrò un commensale piacevole, prodigo di spiegazioni sulle sue creazioni. La mente di Jona era divisa in due, apparentemente non comunicanti: una si stava godendo la cena e cercava d’imparare più possibile dall’esperienza, l’altra si arrovellava preoccupata sulle ragioni del comportamento così anomalo del Dio.

Jona si rilassò appoggiandosi allo schienale della sua sedia. Inutile preparare il corpo al combattimento contro un Dio; meglio mettere la mente nelle condizioni migliori per lavorare. Si concentrò sulla respirazione. La ricreazione era finita.
“La differenza principale fra il mio comportamento con Arianna, Michele e anche altri è che io ho sempre cercato di capire quello che volevano loro, in quel momento, mentre loro, pur con le migliori intenzioni, avevano un’idea preconcetta di cosa serviva a me. Non si sono mai curati di capire le mie ragioni, al massimo le hanno subite di buon grado.”

Jona esitava, conosceva perfettamente un altro aspetto del suo carattere che era pertinente, ma non capiva perché potesse interessare a Thano.
Il Dio ricominciò a tamburellare con le dita sul tavolo. Sembravano piccole martellate ritmiche, come se le dita fossero state d’osso. Jona si decise:
Thano assentì lievemente col capo: “Empatia”, disse e attese che Jona continuasse.

Vieni al punto

Jona stava, come faceva spesso quando era in difficoltà, girando attorno all’argomento dicendo cose sensate, ma che avevano poco contenuto, mentre il suo cervello vagava alla ricerca di quell’elemento che gli avrebbe permesso di arrivare alla soluzione; ovviamente Thano non era tipo da lasciarsi portare a spasso per lungo tempo.
“Non so, ancora, cosa vuoi da me, ma è chiaro che devo fare un lungo viaggio e vedere strane genti. Ho il sospetto di essere solo agli inizi. Non c’è speranza di portarlo a termine senza la capacità di entrare rapidamente in sintonia con gente diversa.”
Fece una breve pausa: “In realtà credo che più che Michele e Arianna la vera prova siano stati gli Elfi. Il fatto di avermi accettato al punto da farmi questo”, disse piegando l’orecchio sinistro per mettere bene in evidenza il nuovo tatuaggio, ancora un po’ gonfio, “significa che sono riuscito a comportarmi “come loro”, molto di più di quanto si aspettassero. Questo è quello che Ti interessava!”.
Bravo, “Barcaiolo Rosso”. Ci hai girato un po’ attorno, ma alla fine sei riuscito ad arrivare al cuore del problema.

Scoppiò in una fragorosa risata:

Si alzò con un movimento fluido: “Adesso devo andare: ho un appuntamento fra poco. Ti lascio i piatti da lavare.

Il punto della situazione

Jona rimase a lungo immobile a fissare il punto in cui Thano era scomparso.
Gli pareva di avere la testa leggera, vuota.
Sapeva, in un qualche angolo del suo cervello, che quello era un modo che lui usava spesso per assorbire le novità.
Poi si riscosse e rientrò, massaggiandosi le spalle irrigidite dall’umido notturno.

“Amuleto, chiamami Serna per favore.” Intanto lui cominciò a rimettere in ordine la piccola stanza. Stava cominciando a lavare i piatti, come gli aveva chiesto Thano, quando il volto di sua figlia apparve sopra l’Amuleto.
La voce di Serna era leggermente impastata quando lo salutò con l’usuale: “Ciao, papà; come vanno le cose?”
“Già a letto? Scusa, non mi ero reso conto fosse così tardi.”
Serna si fece attenta. Conosceva quell’aria distratta del padre. Il sonno era svanito.
“Non c’è problema, come ben sai. Cosa è successo?”

Intanto le sue mani continuavano a seguire i gesti abituali del rassettare la cucina, portando una nota di normalità domestica e di tranquillità di cui aveva estremo bisogno.

Quando le raccontò del Battesimo Serna rimase dapprima allibita, poi scoppiò in una risata liberatoria quando Jona le comunicò il suo nuovo nome Elfico.
“”Barcaiolo Rosso” eh? Diventeremo una famiglia di naviganti!”
“Per quanto mi riguarda Thano non ha lasciato molti dubbi a proposito: l’alternativa sembra essere navigare o perire.”
“Hai rivisto Thano?”

“Che intendi dire?”
“Dopo. Ora finisci il tuo resoconto. Non voglio influenzarti. Poi vi spiego.”
Jona non insistette. Oramai aveva finito di lavare le stoviglie, per cui si sedette di fronte alla figlia con un bicchiere di vino in mano e continuò la narrazione, senza tralasciare nessun particolare.

Concluso il racconto entrambi si girarono a guardare l’Avatar dell’Amuleto che brillava di un rosso cupo in mezzo al tavolo.
“Quello che hai incontrato, Jona, era una vera incarnazione di Thano. Thano le usa spesso per le sue cacce. Non vorrei essere nei panni di chiunque fosse quello con cui aveva il suo “appuntamento””

“Non ne avevo mai sentito parlare, e non ricordo neanche leggende al riguardo.”

“Capito”, dissero all’unisono padre e figlia.

Il canto dell’allodola li avvertì che presto sarebbe sorto il sole. Un’altra nottata era volata via.

“Fossi in te non lo farei.”
“Perché?”
“Perché tra un paio d’ore di navigazione cominciano le rapide di Baal. Farai bene a studiarti il percorso e ad arrivarci riposato. Lì finisce il territorio degli Elfi.”
Jona sapeva che aveva ragione, ma non gli andava di perdere un altro giorno. Stava per dire qualcosa, ma quando aprì la bocca ne uscì uno sbadiglio.
“Va bene. Hai ragione tu. Vado a farmi una bella dormita, poi mi farai vedere la mappa delle rapide”
“Mi metto giù anch’io”, disse Serna,
“Buona notte, cara”