Il Rin procedeva rapido e con un percorso abbastanza rettilineo, senza meandri fra due ali di alti pini di un verde scuro e compatto.
Di tanto in tanto si vedevano animali sulle rive che venivano ad abbeverarsi. La fauna nella foresta doveva essere abbondante. Ivan gli confermò, aggiungendo poi che pochi cacciatori avevano il coraggio — o la stupidità — necessari per addentrarsi lontano dalle valli abitate.
La sera si accamparono su un piccolo prato che copriva la riva sassosa circondati dagli alberi.
Quando andarono a raccogliere la legna Jona si stupì di quanto fosse buio nella foresta ad appena pochi passi dal fiume; Ivan rise: “Perché credi che la chiamino “Foresta Oscura”? Non è certo per caso!” Jona dovette convenire che il nome era appropriato.
Un fuoco ruggente tenne a bada le tenebre, ma loro si sistemarono prudentemente fra il fuoco e il fiume, lasciando ampio spazio tra loro e la foresta.
I suoi compagni di viaggio si stesero sui loro mantelli.
“Una splendida notte”, gli disse Ivan mentre si coricava, abbastanza lontano dal fuoco, “fa molto caldo in questa stagione”.
Jona non commentò, ma si strinse addosso il mantello. Tutto quel caldo lui non lo sentiva e l’umido del fiume già cominciava ad ammantare di bruma la riva. Il fuoco teneva lontana anche quella, ma era evidente che i suoi compagni non gradivano. Jona era di gran lunga quello più vicino al focolare.
Di notte la foresta era piena di rumori, ma non erano diversi da quelli a cui era abituato e Jona non faticò ad addormentarsi e a dormire tranquillo fino a che Vlad non lo venne a svegliare per il suo turno di guardia, l’ultimo prima dell’alba.
Controllò il fuoco, ma Vlad doveva averlo appena alimentato. Un’occhiata alla scorta di legna gli confermò che ne avevano più che a sufficienza per arrivare a mattina. Bevve un sorso d’acqua e si dispose ad aspettare l’alba.
L’acqua bevuta lo stimolò e lui si avvicinò alla foresta per vuotare la vescica.
Così, sul limitare del bosco, intese un lontano ronzio che sembrava un canto. Si girò verso il punto da cui sembrava provenire e vide, poco lontano, un lieve chiarore.
“Che cos’è?”
“Fate, probabilmente”
“Pericolose?”
“Moderatamente, non mi sembri tipo da lasciarti affascinare.”
Jona si mosse per andare a investigare.
Dal cavo di un grande albero spezzato uscivano decine di piccoli esseri volanti che emanavano una debole luce colorata.
Quando fu abbastanza vicino le Fate si accorsero di lui e gli sciamarono intorno cantando.
Jona non aveva mai visto nulla di simile. Si trattava di piccole donne in miniatura, alte un palmo e con grandi ali da libellula. Erano tutte bellissime, anche se le proporzioni erano alquanto strane con quelle gambe lunghissime e quegli occhi enormi.
Cantavano una nenia dolcissima.
Jona sentì una forte attrazione fisica, testimoniata da un’improvvisa erezione. Proprio questo segnale lo riscosse: “Amuleto: che cosa sono queste “Fate”?” chiese agitando un braccio per allontanare quelle che gli stavano sfiorando il viso.
“Tecnicamente sono degli insetti.”
“Naturali?”
“Chi?”
“Sono pericolose?”
“Ti ho già detto “moderatamente”. Non hanno armi, ma la loro malia può far scordare il tempo che passa e la direzione presa. Ci vuol poco a perdersi in questa foresta.”
Jona si voltò, ma il chiarore del fuoco era ancora visibile fra i rami. Nessun pericolo da quella parte.
“No, non mi sono ancora perso. Come si spiega l’attrazione, anche fisica, che sento?” Le Fate, intanto, si erano riavvicinate, ma la magia era andata e Jona ora solo onestamente curioso.
“Come ti dicevo non mi sembri tipo da lasciarti affascinare, anche se ci sei andato abbastanza vicino. Sono ferormoni di prima qualità, in quantità assolutamente sproporzionate alle dimensioni dei questi esserini.”
Jona aveva aperto una mano e una Fata ci si era posata sopra.
Ora poteva vedere bene che si trattava, effettivamente di un insetto: aveva sei zampe, anche se due le teneva strettamente avvolte attorno a quella che sembrava la vita tanto da sembrare una cintura. Aveva un esoscheletro, come testimoniavano le giunture e anche gli enormi occhi erano compositi come quelli di tutti gli insetti. Quella che sembrava una gonna aperta sul davanti a mostrare le gambe era in realtà l’addome.
“Uno splendido lavoro!”
“Dana sarà felice della tua approvazione”, gli rispose asciutto l’Amuleto.
Un gallo cedrone lanciò il suo roco grido poco lontano.
Il chiarore dell’alba filtrava vagamente dalla riva del fiume.
Jona si girò per ritornare mentre le Fate, deluse, sciamavano verso il loro tronco.
“Perché fanno così?”
“Così come?”
“Hai capito benissimo: che ci guadagnano ad ammaliare i cacciatori?”
“Prima di tutto non è detto che ci debbano guadagnare qualcosa: le ha create Dana per fare uno scherzo e poi si sono diffuse, anche se, credo, le uova vengano sempre prodotte dalle piante-utero di cui ti parlava Gornor.”
“Comunque hai ragione. Il canto e l’attrazione sono funzionali. Lavorano anche su piccoli animali che finiscono per morire di fame. Le Fate sono carnivore.”