1: Le Cascate del Rin

Sui monti Thun

Mentre a Minz si assisteva alla caduta di Vadym, Jona seguiva la Bussola verso nord, verso i monti Thun. Si trattava di montagne relativamente basse e arrotondate, coperte di boschi. Qui predominavano le querce e, di conseguenza, il sottobosco era rigoglioso e intricato.

Aveva preso tutte le informazioni che era riuscito ad avere. Poca cosa, in verità. Tutti dicevano che i boschi dei Thun erano pericolosi, ma si raccontava di qualcuno riuscito a passare, la strada del fiume, invece, era bloccata dalle cascate del Rin.
Il fiume si infilava in un’ampia gola a metà della quale c’erano le famose cascate. Nessuno sapeva quanto fossero alte e pochi ne avevano visto da vicino la spuma. Nessuno era mai tornato indietro di quanti avevano cercato, in un modo o nell’altro, di superarle. La scelta sembrava obbligata.

Jona, l’Amuleto e Serna avevano passato lunghe ore a studiare l’Occhio dal Cielo e a tracciare quelli che sembravano sentieri percorribili. Ora, dopo aver attraversato il Rin stava seguendo la riva sinistra verso ovest cercando il punto che avevano individuato. Per ora seguiva un sentiero battuto che era quello che portava a Ruudesh, ma presto lo avrebbe dovuto abbandonare per inoltrarsi nella foresta.
Il cavallo procedeva lentamente e l’Amuleto aveva cominciato a insegnare la sua lingua privata al Mago, così come aveva fatto, tanti anni prima, l’amuleto che ora era alla cintura di Serna.
Questa era una lingua complicata, piena di sfumature, tanto che tutta la mattinata passò senza che Jona fosse riuscito a imparare una singola frase. In compenso stava imparando su grammatica e sintassi molto di più di quanto avesse mai creduto esistesse.

La foresta iniziava dove finiva la piana del fiume. Gli alberi erano bassi e il sottobosco impenetrabile. Visto da vicino era anche peggio di come gli era sembrato dall’alto. A metà mattinata arrivò nel punto che avevano scelto. Il bosco sembrava compatto come sempre.
“Dove?”
Ricomparve la solita stradina di mattoni gialli che puntava dritta verso gli alberi. Il cavallo fece uno scarto per la sorpresa, ma Jona lo costrinse a seguirla.

Avvicinandosi Jona vide che i cespugli erano spezzati e, quando l’Amuleto ridusse la stradina ad una semplice linea gialla, si accorse che il terreno era pieno di orme di animali, per la maggior parte cervi. Probabilmente venivano al fiume a bere, pensò.
Si inoltrò nella foresta e cominciò a seguire il sentiero, con il cavallo che si apriva la strada fra le frasche che gli sbattevano sulle gambe.

I Troll

Il cavallo saliva lentamente seguendo il sentiero che alternativamente si allargava o si restringeva fino a quasi scomparire. Era oramai pomeriggio inoltrato e Jona non vedeva l’ora di arrivare all’ampia radura che avevano scelto come punto di tappa. Sembrava un buon posto aperto, proprio sulla cima di un monte, dove accendere un bel fuoco per tenere lontane le bestie.

Sbucò nella radura d’improvviso. Il bosco lasciò posto al prato coperto di fiori. Era sulla cima di un mammellone erboso. Proprio in mezzo c’erano una decina di grossi massi arrotondati coperti di muschio. Strano, non li aveva notati nelle immagini dell’Occhio. Forse c’era un riparo là in mezzo.
Poi il vento portò uno strano odore.
Il cavallo roteò gli occhi e nitrì.
“Troll!” disse l’Amuleto.
Jona non sapeva esattamente che cosa aspettarsi, ma cercò di calmare il cavallo.

I “massi”, intanto, si girarono verso di loro e aprirono gli occhi. Si trattava di strane creature: enormi scimmioni dalle lunghe braccia e gambe corte. Seduti erano alti più di cinque metri, coperti da un ispido pelo arruffato verdastro che lui aveva scambiato per muschio.
Adesso si stavano alzando lentamente emettendo borbottii a metà fra l’assonnato e l’irritato.
mrengo wa Mungu wa kulala (Ala di Ipno)”
“Niente da fare. Quel verde è rame. Sono completamente schermati da tutte le onde elettromagnetiche.”
miguu kulala (gambe che dormono)!”

ghadhabu ya Mungu ya kifo (ira di Thano)!”
L’Amuleto vibrava nelle mani di Jona e una pioggia di ammiccanti luci rosse si riversò verso i Troll. L’effetto fu grandioso.
I Troll bucarono quella cortina di luce caracollando sulle nocche delle mani e sulle corte gambe ruggendo in modo spaventoso. Direttamente verso Jona. Decisamente non era quella l’intenzione.
Stavano rapidamente coprendo la distanza che li separava.
umeme katika anga (lampo di Zeo)!” urlò Jona mentre faceva voltare il cavallo e tornava precipitosamente da dove era venuto.
Il lampo accecò i Troll che ulularono il loro disappunto e poi ripresero l’inseguimento guidati da odori e rumori.
“Fai qualcosa per fermarli!” sibilò Jona mentre era occupato a tenersi in sella nella pericolosa discesa.

“E allora chiedi un fulmine celeste!”
“Già fatto. Zeo mi dice che devi piantarla di cercare scorciatoie ai tuoi problemi.”

Jona imprecò fra i denti e si concentrò sul sentiero che l’Amuleto continuava a marcare, per fortuna, altrimenti si sarebbe già perso là in mezzo ai rovi e alle mortelle.

I Troll non stavano guadagnando terreno, ma non ne stavano nemmeno perdendo troppo.
La luce stava cominciando a calare. Era una fortuna che il crepuscolo durasse così a lungo da quelle parti.
Poi il cavallo inciampò, Jona cercò di sostenerlo, ma un istante dopo rotolava a terra. Un secco “pop” proveniente dalle zampe anteriori non lasciava presagire nulla di buono.
Jona si rialzò in un lampo e vide il disastro: la zampa anteriore sinistra era piegata con un angolo innaturale.
wengine wa Mungu wa kifo (riposo di Thano)”, sospirò Jona mentre si chinava a raccogliere le bisacce. Gli occhi del cavallo smisero di roteare e il suo corpo si rilassò nell’abbraccio della morte.

I troll si stavano avvicinando rapidamente. Mise le bisacce in spalla e cominciò a correre più silenziosamente possibile.
Sentì un coro di ruggiti alle sue spalle e si girò a guardare, cercando di non perdere il passo.
“Pensa a correre”, gli disse l’Amuleto, “hanno trovato il cavallo e lo stanno facendo a pezzi. Per ora non sembra si siano accorti di noi”.

Notte nella grotta.

Il rumore dei Troll e del loro ferale pasto era oramai lontano alle sue spalle quando Jona rallentò il passo. “Dove sono?”
“Qui”, rispose l’Amuleto mostrando la solita mappa celeste.
“Minz è fuori discussione, ma anche Ruudesh è troppo lontana. Non ci arriverò mai prima di notte!” disse Jona sconsolato. Si trovava ancora a mezza costa, più vicino alla cima dei monti che alla valle ed era anche spostato rispetto al paese.
“Con un po’ di sforzo forse potresti arrivare qui.” Sulla mappa apparve un cerchio rosso. Jona si chinò a guardare meglio e vide un grosso roccione con un’apertura in cima: “Una grotta?”
“Sì, sembra in una posizione sicura.”
“Come ci arrivo?”
La solita pista gialla apparve fra gli alberi e Jona si rimise in moto.

Arrivò allo sperone roccioso che era già buio pesto. La luce dell’Amuleto illuminò una parete verticale di roccia ruvida e screpolata.
La bocca della caverna si apriva quasi in cima. Jona non sarebbe riuscito a raggiungerla se non fosse stato per una fessura che tagliava tutta la parete in diagonale, ma, seguendo quella e con molto sforzo, riuscì a rotolare dentro.

La grotta era un vano squadrato, chiuso sul fondo da un ammasso di massi e pietre.
Era strana, sembrava artificiale, anche la parete era troppo verticale e troppo piana per essere naturale. A domanda l’Amuleto rispose con un neutro: “non saprei” e Jona capì che lo sapeva benissimo e che non voleva, o non poteva, parlare.

Si diede ancora un’occhiata in giro ripromettendosi di esaminare meglio quel posto alla luce del giorno.
“Siamo al sicuro?”
“Penso di sì. Non sento animali pericolosi nelle vicinanze. I lupi, anche se ce ne fossero, non potrebbero entrare e i Troll nemmeno: troppo grossi per passare da lì”.

Lontano da casa

Jona era stanco, il tasso di adrenalina nel sangue stava lentamente scemando, ma il sonno non si decideva a venire.
“Che ore sono?”
“Dieci minuti dopo l’ultima volta che me lo hai chiesto. Sono le dieci e mezzo.”

“Lo vedo!”

“Sì. Sta leggendo nello studio. La chiamo?”
“Sì, Chiamala, per favore.”
“Ciao, papà, tutto bene?” Le bastò un’occhiata per capire che non andava tutto bene: “che è successo?”

Jona raccontò con precisione professionale, aiutato dall’Amuleto che aveva conservato un bel po’ d’immagini dei Troll e del loro inseguimento.
“Non credo che ci siano molte speranze di passare inosservati. Ci sono famiglie un po’ dappertutto e l’Amuleto mi dice che di notte sono molto attivi. Sentono odori da chilometri di distanza.”

“Incoraggiante. Puoi farci vedere queste famose cascate?”

Le cascate apparvero nella stanza. Era giorno e la cosa stupì sia Jona che Serna, visto che ora era buio pesto là fuori.
“Pensavo che me lo avresti chiesto, quindi ho registrato queste immagini oggi pomeriggio mentre tu eri occupato a mettere un piede davanti all’altro.”

Mentre guardavano videro un grosso tronco che arrivava sul filo della corrente. Ne seguirono la caduta e lo videro riapparire poco oltre fra la spuma.
“Due secondi”, disse Serna, “circa trenta metri.”
“Probabilmente la zattera degli Elfi sarebbe in grado di sopravvivere, ma non certo chi ci stia sopra!”
“Dovresti stare “dentro” la zattera, non sopra.”

“Un bottiglia no, magari una damigiana.”
“Beh, facciamo una botte, allora, anche se non si può vedere fuori.”
Serna alzò gli occhi al cielo: “Un momento, mi chiamano.”

Jona continuò a guardare le immagini cercando una scappatoia, ma non ne vedeva. Il Rin correva veloce fra due pareti di roccia che aveva levigato per secoli fino a farle diventare lisce e senza appigli.
Più in alto, dove la vegetazione ricominciava, si vedevano le radure con i gruppi di “massi” coperti di “muschio”. Decisamente impossibile passare da lì.

Serna ricomparve e si sedette sulla sua poltroncina. Aveva una strana espressione: “Dice che si può fare.”
“”Chi” dice che si può fare “che cosa”?”
“Festo dice che puoi passare le cascate del Rin chiuso in una botte.”
Jona strabuzzò gli occhi. “Mi stai prendendo in giro? Non è divertente, sai?”
Serna scosse la testa, tenendo gli occhi fissi su qualcosa che era fuori dal campo visivo del padre. Era un po’ pallida e concentratissima. Alla fine annuì di nuovo e si girò verso Jona.
“Festo dice che si può fare con relativa sicurezza. Le cascate sono alte solo 27 metri e c’è parecchia acqua sotto. Dice che, per la massima sicurezza dovresti prendere una botte da 40 ettolitri e riempirla per un terzo di zavorra, in diagonale. In modo che galleggi inclinata. Se ti stendi su questa base, dopo averla imbottita, dovresti avere la sicurezza di sopravvivere, anche perché pietre e malta ti faranno da scudo.”

Jona non disse quel che pensava dell’idea per evitare di offendere Festo.
“Ti sei fatta dare l’intero progetto?”
Serna fissava qualcosa con un’espressione fra l’affascinato e il terrorizzato. Annuì.
“Va bene. Ne parliamo domani. Ora non sono in grado di ragionare coerentemente.”

Serna si riscosse. Probabilmente Festo se ne era andato.
“Certo, papà. Meglio dormirci sopra.” Poi si guardò attorno e vide la strana grotta dove si trovava il Mago, “dove sei? Sembri in una casa abbandonata.”
“Non lo so. Questa caverna è ben strana”, disse facendo un ampio gesto con le braccia come per comprenderla tutta, “come hai detto sembra tu di essere dentro un palazzo, come se fossi entrato da un finestrone e laggiù sembrerebbe esserci il vano di una porta, bloccata da detriti e piante, ma è roccia compatta, non si vedono mattoni né calce ed è vecchia. Forse è opera degli Dei.”
“No. Non è opera degli Dei” interloquì l’Amuleto.
“E di chi, allora?”
“Non lo so, ma non è opera degli Dei di sicuro.” Più di questo non riuscirono a cavargli.

Rudesh

La mattina era fresca limpida, Quando Jona si affacciò dal finestrone del suo attico si poté godere uno splendido panorama che andava dai tetti di Ruudesh, proprio sotto di lui, al fiume e, in lontananza, poteva intravedere anche Minz, avvolta nella foschia che aleggiava sul Rin.
Alla luce del giorno era del tutto chiaro che si trovava dentro un palazzo. Tutto era assolutamente squadrato. Si trovava all’ultimo piano di una specie di scatola incastrata nel fianco della montagna, con il tetto, oramai coperto di erba, che formava un’ampia terrazza.

L’accesso ai piani inferiori era bloccato da cumuli di detriti. Per un attimo il Mago fu tentato d’indagare, ma si forzò a mettere in un angolo la sua curiosità per affrontare problemi più urgenti.
“Amuleto, ci sono Troll nei dintorni?”
“Sì, ma non sono vicinissimi e tutti verso monte, se aspetti ancora qualche minuto per essere sicuro che siano addormentati al sole puoi scendere fino a Ruudesh senza pericoli.”
“Nessuna speranza di superarli e andare a nord?”
“Nessuna.”
“E allora torniamo indietro.”

La prima parte della discesa fu abbastanza laboriosa, c’era parecchia vegetazione e la montagna scendeva a balze.
Poi cominciarono i campi coltivati e il cammino si fece più facile.
Jona evitò la parte di Ruudesh già visitata assieme a Ivan, si spostò invece là dove era concentrata la produzione del vino, grandi cantine raccoglievano le uve dei dintorni e producevano quel buon bianco che aveva imparato ad apprezzare.

Non aveva nessun interesse a farsi riconoscere, trovò alloggio in una cascina poco fuori dalla cittadina. Per poche monete gli permisero dormire nel fienile e di usare la fontana per lavarsi.
Jona raccontò la solita storiella del cercatore di erbe, aggiungendovi di aver saputo, da certi suoi conoscenti, che più a valle delle cascate si trovavano delle erbe miracolose. Tutti quelli con cui parlò gli dissero la stessa cosa: non c’era nessun modo di passare le cascate.

Non fidandosi del parere altrui Jona volle vedere di persona. Spese un intero giorno esplorando le rive del Rin. Alla fine dovette arrendersi all’evidenza: le rive vicino al fiume erano assolutamente impraticabili visto che avvicinandosi alle cascate diventavano sempre più verticali e scivolose. Più in alto, dove era possibile svalicare, tutta la zona era presidiata da gruppi di Troll particolarmente numerosi.

La sera, ben nascosto nel suo fienile, Jona chiamò sua figlia.
“Puoi farmi vedere quella botte di cui si parlava l’altro giorno?”
“Ci provo, Festo è stato piuttosto preciso, anche più del solito.”
Davanti a Jona comparve modellino semitrasparente di nuovo tipo d’imbarcazione. Si trattava di una grossa botte alta circa un metro e mezzo e larga la metà nella quale era stato costruito un rozzo sedile con malta e sassi, completato da un’imbottitura e delle cinghie che dovevano servire a tener fermo che ci si trovasse sopra.
“Festo dice che il peso della zavorra farà galleggiare la botte inclinata e, nel volo, la manterrà con il giusto angolo d’impatto con l’acqua.”

Come a sottolineare le sue parole il modellino prese a muoversi sul fiume, arrivò alle cascate, percorse un bell’arco e infine si tuffò nella pozza sottostante esattamente con uno spigolo. Le acque subito sotto la cascata erano molto agitate, ma, dopo essere stata sballottata un po’, riprese la navigazione in un tratto dove la corrente era più tranquilla.
“A vederla così l’impresa sembra facile, ma sono sicuro che potrebbero verificarsi decine d’incidenti. Purtroppo non vedo altre soluzioni.”
“Hai controllato se ci sono strade alternative?”
“Certo! Aggirare i Troll significherebbe fare un lungo giro e finire dritti dritti nel territorio degli orchi. Temo proprio che dovrò affidare la mia vita a Festo un’altra volta.”
“L’intero progetto, così come me lo ha dato Festo, dovrebbe essere sul tuo amuleto. Pensi di riuscire a farti costruire una cosa del genere?”

Il Mastro bottaio

La bottega del mastro bottaio era pulita e ordinata, le doghe erano appoggiate al muro in attesa di essere montate mentre sul retro erano impilate per la stagionatura le assi di quercia ancora da tagliare.

Il mastro era solo con Jona, i suoi assistenti erano fuori per il pranzo. In quel momento si stava grattando la testa perplesso, mentre esaminava il rozzo disegno che Jona aveva preparato nella mattinata.
“Che cosa hai detto che vuoi farci?”
Jona sospirò: “Devo assolutamente passare le cascate e questo sembra essere l’unico modo.”
“Ci sono modi meno complicati di suicidarsi,” rispose il mastro bottaio scuotendo la testa,

Jona tirò fuori la borsa di denaro avuta da Ivan e lasciò che il mastro bottaio ne valutasse il contenuto: “Sono disposto a pagare.”
“Ma perché vuoi buttare via i tuoi soldi e la tua vita?”
Jona esitò ancora un attimo, poi tirò fuori il suo Amuleto e lo mostrò allo sconcertato mastro. “Quello che vedrai deve rimanere fra noi. Penso che sia chiaro. Thano mi dice di andare”, l’Amuleto brillava di un rosso minaccioso e il mastro cadde in ginocchio, “e Festo mi dice che questa cosa può funzionare”, apparve il modellino della botte e il colore virò verso l’argento di Festo,

Jona tagliò corto alle proteste del mastro bottaio, gli fece cenno di alzarsi e disse sorridendo: “Non hai mancato di rispetto a nessuno. Hai detto quello che pareva giusto e di questo che ringrazio. Ma, come vedi, ho dei buoni motivi per insistere.”

Il mastro, intanto, osservava affascinato il modellino semitrasparente che stava completando il suo tuffo nella cascata. Poi l’acqua del fiume scomparve e il modellino diventò molto più grande, quasi a dimensioni naturali, per permettergli di esaminarlo per bene. Il mastro continuava a grattarsi furiosamente la nuca mentre girava intorno al progetto, Jona pensò oziosamente che prima o poi avrebbe finito per scavarci un solco e la testa sarebbe rotolata per terra. Quando si raddrizzò Jona fece sparire il modello e chiese: “Allora, che ne dici?”

Era evidente che continuava ad avere parecchi dubbi e che il fatto stesso di dubitare della parola di un Dio lo spaventava a morte. “Ho qua fuori una vecchia botte che dovrebbe essere delle dimensioni giuste. Il legno ha fatto un po’ di muffa e ora non lo si può più usare per il vino; abbiamo provato a pulirla in tutti i modi, ma niente da fare. Posso darti quella”.
“Mi vuoi mandare a fare il tuffo delle cascate in una botte marcia?”

Jona non era molto convinto, ma l’Amuleto confermava che il mastro bottaio non stava mentendo. Contrattarono un po’ sul prezzo, più perché il mastro si aspettava che Jona lo facesse che per vera necessità; aveva in tasca più denaro di Minz di quanto potesse spenderne e che, passate le cascate, sarebbe diventato inutile zavorra.
Poi il mastro volle rivedere il progetto di Festo e riprese a grattarsi la nuca. Alla fine si decise a dire che sì, lo poteva fare e che ci sarebbero voluti alcuni giorni. Jona sarebbe tornato a controllare lo stato di avanzamento dei lavori tutte le sere.

Di giorni ce ne vollero sette. Il secondo Jona dovette sdraiarsi sulla colata di malta ancora fresca e ricoperta da una rozza tela per lasciare l’impronta del suo corpo. Quando tutto fu finito Jona aveva più dubbi che all’inizio, anche se doveva ammettere che il mastro si era attenuto al progetto in tutte le sue parti, dimostrando di essere all’altezza della sua reputazione.

Nella Botte

La botte lo attendeva già in acqua. Una cima lunga pochi metri la collegava alla barca a remi del mastro. Appoggiata al piccolo pontile di assi la sua botte galleggiava bene e sembrava stabile, anche se era sommersa per metà .
Jona non disse quasi parola. Ringraziò il mastro bottaio, come sempre impegnato a tormentarsi la nuca, poi si infilò dentro senza concedersi il tempo di ripensarci. Chiuse lo sportello e calò il buio più totale.
“Amuleto, Luce!”

Una sezione della botte, proprio davanti ai suoi occhi, sembrò diventare trasparente e lui poté vedere il cielo. L’immagine luminosa ruotò e Jona vide il fiume davanti a lui. La corrente era vigorosa, anche lì presso la riva e la botte oscillava pigramente.
Uno scossone più forte e la sponda prese ad allontanarsi; il mastro lo stava trainando verso il centro del fiume.
Pochi minuti dopo sentì un altro scossone e la botte prese a ruotare su se stessa; era libero.
Per un momento vide la barchetta del mastro bottaio che, in piedi, lo salutava con una mano, per poi riafferrare i remi e tagliare la corrente verso casa.
La botte si stabilizzò rapidamente, il peso della malta contribuiva a farla navigare senza scosse.

Jona si rese conto che l’immagine era strana e ne chiese la ragione all’Amuleto.
“Ti sembra un po’ strana perché non si tratta di un’immagine che io posso vedere direttamente, ricostruisco da questo punto di vista dalle immagini che posso riprendere dal cielo. Non tutti particolari sono veri.”

La botte, intanto, era entrata nella gola e la corrente si faceva sempre più veloce. Jona aveva perso molta della sua sicurezza, ammesso che ne avesse mai avuta, per un po’ si continuò a sentire solo il lieve sciabordio dell’acqua intorno alla botte, ma presto arrivò anche il rombo lontano dalla cascata.
L’Amuleto faceva del suo meglio per interessarlo ai dettagli tecnici e di come riusciva a generare l’immagine dal loro punto di vista utilizzando la sua conoscenza del luogo, ma, a mano a mano che il rombo cresceva, Jona riusciva sempre meno ad interessarsi alla faccenda.

Aveva vissuto molte situazioni pericolose, la vera differenza — lo informò quella parte di lui che analizzava sempre le situazioni, quasi fosse un osservatore esterno — consisteva nel fatto che ora non poteva più far nulla, era del tutto impotente e doveva solo aspettare.
Sapeva di essere in buone mani visto che i progetti di Festo si erano sempre rivelati ineccepibili, ma l’aver perso il controllo della situazione stava erodendo rapidamente il suo autocontrollo.

Il rombo era assordante e quando, d’improvviso, la botte mancò sotto di lui e presero cadere Jona non riuscì a reprimere un urlo di terrore.
Il volo durò in tutto due secondi, due interminabili secondi nei quali Jona si chiese più volte che cosa, davvero, lo avesse condotto fin lì.
L’impatto con l’acqua sottostante lo schiacciò contro la rozza imbottitura, poi ci fu un’altra piccola scossa.
“Abbiamo toccato il fondale”, lo informò l’Amuleto mentre la botte risaliva lentamente verso la superficie.

La botte sobbalzava e girava su se stessa mentre cavalcava le acque bianche ai piedi della cascata. Rimase a rimbalzare tra i flutti senza guadagnare molto spazio per un tempo che a Jona parve interminabile. Poi, quando agli Dei parve di averlo fatto soffrire abbastanza, riprese il filo della corrente e si allontanò da quelle acque così agitate.

Jona allentò la presa sulle cinghie lo tenevano fermo e solo allora si rese conto di quanto spasmodicamente le avesse strette. Le mani gli dolevano per lo sforzo e il ruvido cuoio aveva segnato profondamente la sua pelle.
“Siamo fuori?” Chiese all’Amuleto prima di rilassarsi completamente.
“Sì, adesso il fiume corre fra pareti rocciose per qualche chilometro. Puoi rilassarti e riposarti, non ci sono pericoli e nulla da fare fino a che il fiume si allargherà.”

L’Approdo

Jona si svegliò con tutti i sensi all’erta, come del resto era sua abitudine, e si rese subito conto di diverse cose: il sole stava tramontando, la botte galleggiava più bassa sull’acqua e i suoi piedi erano bagnati.
“Che cosa è successo?”
“Quando abbiamo toccato il fondo, dopo il volo, le doghe si sono sconnesse e ora entra l’acqua, meglio se ti prepari a uscire di qui.”
Jona non si fece ripetere l’invito. Non vedeva l’ora di respirare aria pura.

Quando, dopo essersi liberato dalle cinghie e aver preparato le sue cose, allentò la chiavarda che teneva in posizione il coperchio della botte l’acqua si precipitò dentro e la sua imbarcazione affondò rapidamente.
Jona guadagnò la superficie aggrappandosi al suo zaino che, avvolto in una cerata impermeabile, galleggiava bene.

Il fiume stava ancora correndo veloce in un canalone scosceso.
“Tra poco il canalone finisce e c’è possibilità di approdo. Dirigiti verso alla riva destra.”
Jona non sprecò fiato a rispondere e prese a nuotare lentamente, tagliando la corrente in diagonale.
La riva sembrava lontanissima, ma quando il canalone finì il fiume si allargò notevolmente e Jona si trovò d’improvviso in acque calme dalle quali poté guadagnare la sponda sassosa senza difficoltà.

Trovò Serna che lo aspettava sulla riva saltellando e battendo le mani: “Bravo papà, sapevo che ce l’avresti fatta!”

“Ma se te la sei fatta tutta dormendo!” Lo canzonò la figlia.
“Amuleto?”
“Temo di essermi preso la libertà di trasmettere al tuo vecchio amuleto le immagini di quel che succedeva qui. Ho fatto male?”
“Hai fatto male a non dirmelo, per il resto non c’è problema.”

Jona intanto stava raccogliendo legna portata dal fiume e l’accumulava in un focolare di pietre. L’Amuleto accese il fuoco che presto cominciò a scoppiettare vivace.
Solo allora Jona si tolse i vestiti fradici, liberò lo zaino dall’incerata e, dopo essersi asciugato il calore del fuoco, si mise degli abiti asciutti.
“Siamo in piena estate ma l’acqua è sempre fredda gelida.”
“”Piena estate” non direi proprio,” disse l’Amuleto, “sta quasi per finire.”
“Ma se siamo a metà Agosto!”
“Appunto. Qui al Nord l’estate finisce presto. Una o due settimane al massimo incominceranno piogge e cattivo tempo.”
“Di già?”
“Da queste parti fa molto più freddo che in Ligu. Non credo sarebbe una buona idea continuare a viaggiare anche d’inverno.”
“E allora? Non posso certo fermarmi qui.”
“Qui no di certo, ma meglio che incominciamo a pensare a trovare un posto dove svernare. Abbiamo ancora parecchia strada da fare. Questo non è proprio quello che si dice “territorio amico””
“Che intendi dire?”
“Lo vedrai domani, per ora siamo tranquilli, in un punto molto riparato e il fumo non si vedrà fino a domattina.”
“Ti posso spiegare io,” intervenne Serna, “visto che l’Amuleto sembra reticente. Tutta la zona a nord delle cascate è popolata da gente che pare non abbia di meglio da fare che combattersi a vicenda. Gli unici posti sicuri, fino a un certo punto, sono i castelli dei signorotti locali dai quali partono poi per saccheggi e razzie in tutti territori circostanti. La vita dei contadini non è allegra da queste parti. Il barone locale li affama in cambio di una “protezione” che spesso è inesistente.”
“Effettivamente non sembra un posto allegro, ma tu come lo sai, Serna?”