La “Terra dei Monasteri”, come l’avevano chiamata sia l’Amuleto che Afro, non avrebbe potuto essere più diversa da quella che aveva appena lasciato così precipitosamente. Tutto era pulito e ordinato in modo quasi maniacale. La locanda dove prese alloggio quella sera non era solo pulita, era linda e senza la benché minima macchia, nonostante l’allegria e la birra abbondassero.
La Bussola puntava dritto a sud ovest, verso le basse montagne. Le strade erano poche, ma molto ben tenute e pavimentate con dei lastroni regolari di una pietra che Jona non aveva mai visto. Il cammino si rivelò rapido e piacevole.
Due giorni dopo era di fronte al monastero di Dionne, un’enorme struttura squadrata, alta quattro piani, con un grande portone intagliato attraverso il quale si intravedeva un ampio piazzale interno.
L’ago della sua bussola puntava deciso verso l’ingresso. Jona scese da cavallo e si avviò a piedi, pensando di confondersi nel viavai incessante che passava dal portale.
Non era ancora arrivato al portone che due accoliti, riconoscibili dalla veste color bordeaux, gli si avvicinarono a passo svelto: “La sacerdotessa la aspetta! Da questa parte, prego.” disse quello più anziano mentre l’altro afferrò le briglie del cavallo dicendo: “A lui ci penso io, vedrai che si troverà bene.”
Jona non oppose resistenza e si lasciò condurre mentre i suoi occhi e la sua mente assorbivano i particolari di quel posto.
Come nel resto del paese tutto era pulito e ordinato, il cortile molto ampio e vi si svolgeva una specie di mercato. Un gran numero di carretti erano disposti in file più o meno ordinate e su ognuno mercanzie, alcune delle quali Jona non riuscì a identificare.
Attraversarono il piazzale in diagonale e si infilarono nell’ingresso principale: un’ampia porta chiusa da grandi vetri. Una doppia scalinata a spirale di marmo bianco conduceva ai piani superiori.
Le scale erano ampie e comode; costruite per l’uso, non solo per rappresentanza. All’ultimo piano percorsero un breve tratto dell’immenso corridoio, una balconata chiusa anch’essa da vetri che percorreva l’intera lunghezza del monastero. Poi una porta si aprì e apparve una donna sulla cinquantina sorridente e coperta da una veste dell’immancabile color vino, complicata e piena di panneggi che le avviluppavano completamente il corpo: “Salute e allegria a te, pellegrino Jona. Io sono Tyla, la Sacerdotessa”, disse accennando al suo amuleto che si confondeva con il colore del vestito.
“Salute e allegria a te, Sacerdotessa”, rispose con la formula rituale Jona, “non mi aspettavo di essere ricevuto con tanta sollecitudine.”
Lei rise di cuore:
Lo precedette nella stanza. Era un ufficio non molto diverso dal suo studio. Rimase sorpreso dalla quantità di libri, forse anche più di quelli che aveva lui, che non erano pochi.
Con la coda dell’occhio colse uno strano movimento dell’accolito che lo aveva accompagnato fin lì. Che stava facendo? Si toglieva le scarpe? La sacerdotessa era a piedi nudi. Il pavimento di legno lucido era immacolato. Jona si chinò e si slacciò i pesanti scarponi sperando di non aver lasciato già troppe orme su quella superficie linda come uno specchio.
La sacerdotessa annuì esprimendo la sua approvazione.
Si erano appena seduti sul divano semicircolare che abbracciava il basso tavolino ingombro di carte che l’accolito porse loro un vassoio con alcuni pasticcini e due tazze di un liquido denso e scuro.
“Attento, è molto calda”, lo avvertì la sacerdotessa prendendo la sua tazza e tuffandoci dentro un biscottino bislungo.
Jona la imitò. Il contenuto della tazza era una via di mezzo fra un liquido molto denso e una crema molto morbida. Si aggrappava al biscotto ricoprendolo di uno spesso strato marrone fumante. Il sapore era dolce e delizioso, diverso da qualsiasi cosa avesse mai mangiato.
Tyla studiava le sue reazioni.
“Splendida. Non la conosco. Che cos’è?”
“E un dono di Dionne per questo monastero. Si chiama cioccolata.”
Jona venne a sapere che i vari monasteri fungevano non solo da scuole, ma anche da vere e proprie unità produttive.
Qui, oltre che coltivare le arti, delle quali Dionne era la protettrice, si producevano molte derrate alimentari, si preparavano conserve e si riforniva di bevande buona parte del circondario. La vita qui a nord, gli spiegò la sacerdotessa, si svolgeva al chiuso per buona parte dell’anno. Dalla fine di agosto fino ad aprile l’inverno la faceva da padrone, con abbondanti nevicate che rendevano difficili gli spostamenti. Il tempo, nonostante gli fosse sembrato tanto rigido, era stato in realtà particolarmente benevolo quell’anno. Solo qualche pioggia, ma niente tempeste e temperature tutto sommato accettabili anche per un abitante dei climi caldi come lui.