Jona rimase al monastero per sei settimane, poi la Bussola riapparve puntando verso il monastero di Palla in Selle.
Dopo i primi giorni cercò di rendersi utile sia con gli erboristi che la sera narrando storie ed eseguendo piccoli numeri di prestidigitazione, ma il Diritto di Prima Scelta se lo guadagnò quando insegnò a uno dei cuochi la ricetta dei blinis con il caviale. Quando offrì il calice, sulla superficie del liquore, solo per un istante, apparve il volto ghignante di Thano: “Questa la devi a me!”
Lasciò il monastero in una fredda mattina di ottobre, la temperatura non era, in realtà, rigidissima, ma l’umidità e la leggera pioggerella rubavano il calore dal corpo.
Jona si strinse addosso il mantello e spronò il suo cavallo.
La strada era ben tenuta, ma semideserta. Più si allontanava e più le case si diradavano, fino a scomparire del tutto. La strada si restrinse a un nastro largo appena un paio di metri che si snodava fra i boschi.
Era il primo pomeriggio quando arrivò alla locanda di posta. In teoria, spingendo un po’ il cavallo, avrebbe potuto anche arrivare alla successiva, ma era intirizzito e non prese nemmeno in considerazione l’ipotesi.
La locanda era semivuota, solo un paio di carri venivano dal monastero di Festo e andavano a quello di Dionne portando altri elementi per costruire nuove serre. Dovevano essere le ultime spedizioni prima del fermo invernale.
L’interno era caldo e luminoso, anche se la luce era quasi tutta artificiale. L’oste gli mise davanti un grosso boccale di birra scura prima di chiedergli che cosa volesse. Jona gli disse di essere diretto al Monastero di Palla in Selle e che aveva bisogno di un bagno caldo per togliersi di dosso il gelo della foresta.
L’oste annuì comprensivo e chiamò una fantesca per accompagnarlo di sopra.
La birra era meno raffinata di quella a cui si era oramai abituato, ma con un suo carattere preciso, un po’ rustico. Jona si prese il suo tempo e lasciò il boccale vuoto quando si alzò per seguire la ragazza.
La stanza somigliava abbastanza alla sua cella al monastero, incluso il bagno privato, anche se non aveva i grandi specchi.
Dopo il bagno il massaggio. La ragazza aveva evidentemente frequentato con profitto i corsi di Brigitte. Poi il massaggio si fece più intimo e Jona si rese conto che doveva aver frequentato anche altri corsi al tempio di Dionne.
Per un attimo si chiese se la birra contenesse un po’ di quell’afrodisiaco che lui conosceva bene; decise di no e aveva ragione.
Quando scese per la cena era in piena forma.
La cena, come la birra, anche se gustosa era assai meno raffinata di quella del monastero, e Jona la gradì in modo particolare, forse proprio per questo. Non si era reso conto che le sue papille erano state costrette a un superlavoro, ma ora quel “riposo” era più che benvenuto.
Si ritirò presto nella sua cella con un boccale di birra ancora pieno : “Chiamami Serna, ché sono parecchi giorni che non do notizie.”
L’immagine sul tavolino da lavoro della figlia apparve prima ancora che avesse finito di parlare.
“Ciao papà”, il sorriso le si allargò sulle labbra mentre riponeva le carte nautiche che aveva davanti, “Come vanno le cose al monastero?”
“Le cose vanno bene, ma non sono più al monastero. Sono in viaggio per Selle, monastero di Palla. E da quelle parti? tutto bene?”
“Tutto a posto. Ora anche la mamma non ha più le sue nausee e sta benissimo.”
“Nausee?”
Padre e figlia rimasero a fissarsi senza parole per qualche secondo, poi Serna disse lentamente: “Ora provo”, e schizzò via come una lepre lasciando Jona ad aspettare rodendosi per l’impazienza.
“Caro?” Il viso lievemente arrossato dallo sforzo di Dania apparve accanto al tavolino e lei si sedette sulla grande poltrona di pelle marrone.
Jona non riusciva quasi a parlare, si limitò ad assorbire i particolari e a sorridere.
Serna apparve un attimo alle spalle della madre, segnalò a Jona che sarebbe tornata più tardi e si ritirò in silenzio.
“Stai bene?” si decise infine a chiedere, “è successo l’ultima sera?”
“Penso di sì”, rispose lei accarezzandosi il pancione, “non ti preoccupare: è tutto regolare. Lo so che sembro un pallone, ma sono due gemelli e, almeno per ora, stanno tutti e due benissimo.”
“Gemelli? Stavolta Opia ha fatto le cose in grande!” scherzò lui; in effetti i parti gemellari erano estremamente rari. Loro avevano già quattro figli, una rarità, se a questo si aggiungeva l’età di Dania che certo non era una bambina
Lei vide l’ala nera sul suo viso e rise: “No, non ti preoccupare. Stiamo tutti e tre benissimo e io sono felice di portare questo peso. Guarda.” Tirò fuori il suo amuleto e lo accarezzò con mano leggera; quello reagì all’istante illuminandosi di una potente luce verdissima. Quando se lo passò sul pancione la luce aumentò fino a diventare abbagliante. Decisamente erano in perfetta salute. Jona si rilassò un poco.
“Dovrebbero nascere all’inizio dell’anno prossimo, ma credo che anticiperanno un po’, sono già molto grossi. Devi cominciare a pensare ai nomi.”
“Maschietti o femminucce?”
“Uno e uno”, rispose lei guardandolo fisso.
Gemelli biovulari. Una vera rarità. Opia doveva avere dei disegni specifici. Meglio indagare.
“Ci penserò”, disse poi, “In questo momento mi vengono Bea e Vigil, ma abbiamo ancora tempo per pensarci.”
Il discorso si spostò su altri argomenti più futili, sui racconti e presto si ritrovarono a chiacchierare come due innamoratini, dimentichi del mondo attorno a loro.
Il mondo, molto più tardi, fece irruzione sbuffando: “Hai intenzione di tenerla su quella poltrona tutta la notte? Razza di senza cervello! Non lo capisci che ha bisogno di riposare?”
“Mamma, sto bene e lo sai.” Le disse Dania sorridendo, poi rivolta al marito: “Darda ha cominciato a fare la chioccia da quando mi sono accorta di essere incinta, ma stavolta ha ragione. Guarda che ora abbiamo fatto.”
Jona si sentì un po’ in colpa quando vide l’ora che l’Amuleto gli mostrava, ma gli occhi sorridenti della moglie e della suocera lo tranquillizzarono presto.
“In qualità di Sacerdotessa di Asclep”, disse poi Dania con fare pomposo, “posso assicurare entrambi che queste chiacchierate fanno diminuire del 27.4 percento il rischio di aborto spontaneo.”
Jona augurò la buona notte a entrambe.
Prima di coricarsi chiese all’Amuleto: “Perché non volevate che sapessi della gravidanza? E perché adesso, invece, me lo avete fatto sapere?”
“Io non ho fatto un bel nulla”, rispose quello con l’aria più innocente del mondo, “né prima, né adesso.”
“Non fare il finto tonto!”
“E tu non fare il tonto completo!!”
Jona non ci mise molto a capire che, evidentemente, gli Dei non avevano gradito la castità alla quale si era attenuto fino a poco prima. Anche i mesi passati al tempio di Dionne, con i suoi riti serali, non erano stati sufficienti, ma l’aver trattato la fantesca in modo ben differente da come si era comportato con Arianna doveva averli convinti che non c’era più ragione di nascondere quel che stava succedendo a casa.
Scrollò le spalle, tutto quell’interessamento gli sembrava sinceramente eccessivo
I motivi degli Dei rimanevano un mistero, ma il Mago archiviò l’informazione soddisfatto e si stese sul suo letto. In pochi minuti dormiva placidamente fra le braccia di Ipno.
Ipno sorrise mentre Jona scivolava in un sonno tranquillo.
Continuava, dopo tanti secoli, a trovar divertente l’apparente ipermetropia mentale dei mortali, la capacità di non vedere le cose che li riguardavano troppo da vicino.
Il legame esclusivo che legava il Mago con la Sacerdotessa era stato allentato quanto bastava, forse