Locanda

Arrivarono alla locanda che era di nuovo buio, tanto che dovettero usare le lanterne nell’ultima ora di viaggio.
La speranza di arrivare presto era sfumata non appena erano cominciate le prime lievi salite e il peso, sia pure su quel carro ben lubrificato, aveva cominciato a farsi sentire.
I cavalli erano stanchi. Fortunatamente la locanda fungeva anche da stazione di posta per il cambio dei cavalli, altrimenti non avrebbero potuto ripartire il mattino dopo.

Dopo cena l’oste attaccò un lungo bottone con Fra Jaques di Palla riguardo a certe sue beghe con un vicino. Jona approfittò dell’insperata libertà per ritirarsi nella cameretta che divideva con il frate e chiedere un collegamento con la moglie.
Dania lo lasciò parlare a lungo: sapeva per esperienza che era inutile cercare di dire qualcosa quando lui era in quello stato di esaltazione per un nuovo gioco, fisico o intellettuale che fosse. Si limitò quindi a sentire e assentire, godendo del fervore con il quale lui la faceva partecipe delle sue scoperte, anche quando non riusciva a seguirlo in pieno.

Quando lui, a un certo punto, esclamò: “Come vorrei che Serna potesse vedere queste meraviglie!” colse la palla al balzo: “Forse faresti bene a sentirla; è parecchio che non vi parlate e io sono un po’ preoccupata per quel nuovo progetto per il quale sta rintanata da giorni nel suo studio con Darda e Agio.”
“Nuovo progetto? Di che si tratta?” Chiese Jona. Era troppo tempo che non sentiva Serna! Da quando aveva ritrovato la possibilità di parlare con la moglie non l’aveva più sentita! Bel padre!

“Come va la gravidanza?” chiese lui, grato per la diversione.
“Bene, nonostante io non sia più una giovincella. Comunque pesano. Non credo che aspetterò ancora le sei settimane che mancano al termine.”

“Uhm, chi parla ora? La puerpera o la Sacerdotessa di Asclep?”
“In questo caso sono perfettamente d’accordo: la puerpera non ne può più e la sacerdotessa sa che un parto gemellare di questo tipo si conclude, di solito, con un certo anticipo. Diciamo di un paio di settimane.”
“Un paio di settimane di anticipo non dovrebbero essere un problema, no?”
“No. Stanno tutti e due benissimo. Non si vedono problemi, per ora, speriamo continui così.”
“Ora parla la puerpera.”

“D’accordo. Grazie. Vai a riposare. Un bacio.”
“Un bacio anche a te, caro.”
La sua immagine sparì.

Jona chiamò immediatamente Serna, le raccontò le sue avventure, chiese notizie di Dania e della gravidanza, chiacchierò del più e del meno.
Serna, dal canto suo, fu spigliata e allegra, stette a sentire con interesse, parlò del suo lavoro, ma non fece parola né di progetti, né di Agio e nemmeno di Darda.

Quando finalmente interruppero il collegamento Jona chiese a bruciapelo all’Amuleto: “Sai che cosa bolle in pentola?”
“No. Non so nulla di più di quanto sia stato detto questa sera. Devo fare indagini?”

Jona ci pensò su, poi decise che se Serna voleva parlare dei suoi progetti o no questo era una decisione che spettava solo a lei: “No. Ricordami invece, nel caso io sia abbastanza rimbambito da dimenticarmene ancora, di chiamare Serna con più regolarità.”