Il freddo della mattina era ancora sufficiente a farlo rabbrividire, ma nell’aria c’era una promessa di primavera che allargava il cuore. Lì, sulla riva di quel mare grigio e ventoso, il sole stava combattendo per disperdere la foschia e portare un po’ di calore.
Si trovava a Clys, in attesa di imbarcarsi per Albon.
La Bussola lo aveva guidato a ovest per tutta una settimana, ma ora puntava nuovamente a nord. Forse Thano aveva intenzione di farlo arrivare fino al polo.
Il viaggio a cavallo era stato abbastanza piacevole nonostante il freddo. Due cose gli erano particolarmente care: un leggero, ma caldissimo giaccone imbottito con piume d’oca che Mirelle gli aveva regalato e la sua personale biblioteca ambulante.
Aveva scoperto di non aver bisogno di voltare le pagine, visto che l’Amuleto poteva benissimo farlo per lui e aveva quasi dimenticato che doveva anche tradurre, tanto era immediata la cosa; gli pareva che il libro fosse lì semplicemente nella sua lingua, o meglio, nella lingua dell’Amuleto, visto che erano oramai mesi che parlavano, leggevano e scrivevano unicamente in quella lingua e Jona ci si trovava completamente a proprio agio, nonostante l’avesse all’inizio detestata per la sua apparentemente inutile complessità. Ora si rendeva conto che permetteva sfumature di significato impensabili nella lingua di Ligu ed era anche molto meno facile cadere in quelle ambiguità così usuali nella sua lingua nella quale una frase, tolta dal contesto, poteva avere due o anche più significati differenti.
Si riscosse, prese il cavallo per le briglie e lo condusse su per la comoda passerella che portava sul ponte del largo barcone che l’avrebbe portato a Door. Quei barconi erano molto differenti dalle agili navi che lui conosceva fin dall’infanzia. Queste erano poco più che delle chiatte a vela; adatte solo a fare avanti e indietro in quel braccio di mare compreso tra le due coste, sempre che Posse e Zeo non avessero altre idee.
Jona aiutò a legare il cavallo, spaventato dal lieve ondeggiare, nel suo stabulo e poi si ritirò in un angolo tranquillo dal quale poteva osservare le operazioni che precedevano la partenza.
La marea era al massimo e presto avrebbe cominciato a calare dando il segnale per la partenza; il ritmo dei preparativi si fece febbrile per sistemare e assicurare gli ultimi pezzi del carico, poi, per alcuni minuti, regnò una calma assoluta.
“Mollate gli ormeggi di prua!”
“Cazzate la randa!”
La voce del capitano, usa a combattere con il vento, fece scattare i marinai.
La grossa e grassa imbarcazione si staccò del molo e seguì l’acqua che tornava in mare aperto.
Jona pensava si sarebbe trattato di una traversata noiosa, visto che il vento era favorevole e il mare relativamente calmo; la leggera foschia non permetteva di vedere la loro meta e presto avrebbe nascosto anche Clys.
“Papà, mi senti?”
“Certo, Serna, che succede di bello?”
“Che alla mamma si sono rotte le acque, pensavo volessi saperlo.”
“E avevi perfettamente ragione. Come sta?”
“Bene, ma è molto affaticata. Quei due pesano come bisonti!”
“Regolari. Ogni sette minuti. Ora devo andare.”
“Vorrà dire che cercherò di raccontarti quel che succede. Vado.”
Jona la sentì scendere le scale e se la immaginò correre leggera fino allo studio della madre, dove c’era la sala per i parti. Sette minuti. Era già abbastanza avanti.
“Ti andrebbe di guardare dal buco della serratura?” chiese l’Amuleto con un velo di canzonatura nella voce.
“Che buco della serratura?”
“Prendimi e mettimi davanti agli occhi, se vuoi puoi nascondermi sotto il cappuccio.”
Jona si sedette sul tavolato e si appoggiò ad un alto rotolo di corda, come se avesse voluto dormire e portò l’Amuleto al volto, reggendolo nell’incavo del gomito. Era nero come la pece.
D’improvviso divenne trasparente e di là vide, come da una piccola finestra circolare, la sala parto con sua moglie già sul tavolo.
Respirava con un certo affanno tra una contrazione e l’altra.
Dopo essere rimasto a guardarla affascinato si permise un’occhiata circolare e vide Zelda, la vecchia Sacerdotessa di Asclep della famiglia reale di Zena. Dania la conosceva bene. Ora stava immobile con il suo Amuleto fra le mani, con un benevolo sorriso che le increspava il viso rugoso.
“L’ho chiamata io”, gli disse Serna, “la mamma continuava a dire che non era necessario e che questo non è il suo primo parto, ma io non stavo tranquilla. A proposito: hai pensato ai nomi?”
Jona non ci aveva, in realtà, pensato molto, quindi disse i primi due nomi che gli vennero in mente: “Mira e Giolo, se anche alla mamma vanno bene.”
Il parto non fu cosa breve e Jona non si mosse per tutto il tempo. Dania aveva oramai i due neonati grinzosi attaccati al seno, uno per parte e sorrideva felice quando la barca ebbe un forte scossone.
Il Mago cercò di alzarsi, ma era tutto anchilosato e un secondo scossone stava per mandarlo a gambe per aria quando una forte mano lo prese per un braccio: “Dovevi essere ben stanco, nonno”, disse il nostromo, “sei riuscito a dormire per tutta la traversata. Benvenuto in Albon!”