“Trombone”: pensò il Mago prima ancora che Caio Servio terminasse il complicato saluto.
Era bene in carne e pareva a suo agio nella taberna di Marseio, che, non appena aveva saputo chi stavano aspettando, aveva scortato Jona e la sua guida in una piccola stanzetta che conteneva due sofà imbottiti, alcune sedie e un tavolino imbandito. “Che devo fare?”, aveva sibilato Jona all’Amuleto e questi lo aveva discretamente guidato fino ad adagiarsi sul divano. Poi era arrivato Caio Servio e lui, sempre guidato dall’amuleto, lo aveva accolto senza alzarsi. Era seguito il saluto, mentre anche l’ospite si accomodava sull’altro divano.
Entrarono due giovanissime ragazze che cominciarono, senza una parola, a servire da mangiare.
Jona si accorse di essere affamato, ma cercò di imitare e fare come il suo ospite che lasciava fosse la ragazza a scegliere il prossimo boccone. Le pietanze erano ottime, anche se non riuscì a identificare quasi nulla.
Il tavolino era quasi vuoto e le due si apprestavano ad uscire, indubitabilmente per andare a prendere altro cibo, quando Caio Servio batté le mani cambiando espressione all’improvviso: “Più tardi, ragazze. Ora dobbiamo parlare”, disse, poi rivolgendosi a Jona: “Se il mio ospite è d’accordo, naturalmente.”
Il Mago assorbì il cambiamento di atmosfera in un attimo, con un gesto della mano congedò le due che sparirono all’istante dietro la pesante tenda e, senza aggiungere altro, porse le due lettere ancora sigillate: una della Sacerdotessa e una di Mirelle.
L’accademico staccò i sigilli con l’unghia del pollice, senza romperli e scorse rapidamente le due missive.
Inarcò un sopracciglio quando, leggendo la lettera della bibliotecaria, arrivò al punto in cui chiedeva notizie di Tarciso Nepote, l’autore del libro che tanto aveva intrigato Jona.
“Sei interessato alle idee di Tarciso?” chiese Caio senza preamboli.
“Diciamo che trovo le sue idee stimolanti. Vorrei approfondire.”
“Chiedo scusa, ma non capisco.”
“Tarciso è stato “stimolato” dalle sue teorie tanto da impazzire”, disse l’Accademico senza giri di parole e con una faccia seria che tradiva un coinvolgimento personale.
“Mi dispiace. Non sembravano idee tanto pericolose, anche se un po’ originali. Che è successo, se posso chiedere?”
“Di preciso non lo so nemmeno io. Poco dopo aver scritto quel libro ha cominciato a chiudersi in sé stesso, non che sia mai stato un tipo molto espansivo — forse per questo andavamo d’accordo — ma non usciva dalla sua camera per giorni interi. Scriveva, leggeva, ma non parlava con nessuno.”
Fece una lunga pausa. “Poi un giorno diede fuoco a tutto e scappò nella notte urlando frasi senza senso. Diceva che gli Dei non esistono, che nulla esiste, che la vita è solo un sogno, anzi un incubo.”
“Siamo riusciti a stento a circoscrivere l’incendio prima che si estendesse a tutta l’Accademia. Nel frattempo Tarciso era sparito. Nessuno lo ha più visto.”
“Eravate molto amici?”
“Dall’infanzia. Era mio cugino. Abbiamo studiato assieme. Io mi sono specializzato in matematica, lui in logica.”
Alzò il calice che aveva in mano, mormorò qualcosa di inintelligibile e lo scolò d’un fiato. Jona lo imitò.
L’idromele era dolce e proditoriamente alcolico.
Caio Servio batté due volte le mani: “Ne riparleremo più tardi — forse — ora abbiamo bisogno di qualcosa di più allegro.”