8: Il Gran Mercato

Il Mercato

Il Gran Mercato apriva ufficialmente i battenti all’equinozio di autunno e rimaneva aperto per un mese; mancavano ancora una quarantina di giorni, ma non erano certo troppi. L’attività per preparare la merce, finire l’essiccazione — cosa che in mare aperto non riesce facile — impacchettare, immagazzinare e preparare le strategie commerciali non lasciava molto tempo libero, ma, come ripeteva spesso Troomsin, avrebbero avuto tempo per riposarsi nei lunghi mesi invernali.

I Viknuit facevano la parte dei padroni di casa e ogni villaggio aveva la sua bottega alla piazza del mercato. Si trattava di solide case di tronchi che formavano un grande cerchio oramai quasi ininterrotto. Avevano la porta verso l’interno della piazza e non avevano altre aperture. Jona ne chiese il motivo e il suo amico timoniere gli spiegò che la quantità di merci che circolava al Gran Mercato attirava fin troppi ladri, meglio non rendere loro la vita troppo facile.
Un paio di settimane prima dell’equinozio cominciarono ad arrivare le carovane degli “ospiti” che si stabilirono, con le loro pesanti tende, nell’ampio cerchio della piazza.

Dapprima il Mago si era trovato a fare lavori generici, compresi molti turni di guardia alle mercanzie, ma presto Troomsin aveva notato la sua abilità nel trattare — in parte dovuta all’Amuleto che sembrava sempre sapere quando il suo interlocutore stava mentendo — e aveva cominciato a volerlo come accompagnatore stabile nei suoi giri di affari.

Ufficialmente nessuno poteva vendere o comprare nulla prima dell’apertura del Mercato, ma le settimane che la precedevano furono piene di incontri, inviti a cena a base dei prodotti che sarebbero poi stati venduti, lunghe chiacchierate che, inevitabilmente, finivano per gettare le basi per futuri accordi.

La varietà di prodotti era impressionante e andavano dai cibi conservati, come il pesce dei Viknuit e la frutta essiccata degli abitanti delle lontane pianure, alle pelli e pellicce di innumerevoli animali da pelo, pelle, squame e piuma di cui Jona non era riuscito a riconoscere che un’infima frazione, passando per stoffe, tessuti e tappeti che venivano dal caldo sud.

Con l’appressarsi della data di apertura la piazza diventava sempre più affollata, e la zona che rimaneva libera, proprio vicino al centro, diventava sempre più vistosa.

Molti la guardavano preoccupati senza osare occuparla: dov’erano i Nani di Nayokka?
Non erano mai mancati e i loro meravigliosi meccanismi erano una parte della ragione che portava popoli così diversi al mercato; in fondo frutta, pesce o pellicce si potevano trovare, più o meno buone, un po’ dappertutto, ma gli orologi o i cannocchiali dei Nani sapevano farli solo loro.

D’altro canto i Nani, che vivevano prevalentemente nelle loro caverne e avevano scarsa propensione per pesca e agricoltura, compravano volentieri le vettovaglie conservate per variare la loro dieta composta quasi esclusivamente di carne, latticini e uova.

Troomsin era molto preoccupato, non solo i suoi migliori clienti erano i Nani, ma aveva sperato di riuscire a comprare un paio di cosette, quest’anno, che gli anni precedenti, per un motivo o per l’altro, non era riuscito ad accaparrarsi.

Mancava solo una settimana al Giorno del Mercato e Troomsin stava passeggiando avanti e indietro davanti alla porta della casa: “Ma dove diavolo sono finiti, dannazione! Non sono mai mancati da quando il Mercato è il Mercato!”

Jona sapeva bene che aveva ragione e che, con ogni probabilità, se i Nani avevano trovato altri modi o altri posti dove approvvigionarsi questo sarebbe stato un brutto colpo per il prestigio del Gran Mercato stesso e per tutti i Viknuit che da esso dipendevano. Prese una decisione.

“Troom, posso parlarti?”
“Lo stai già facendo!” Rispose quello, evidentemente di pessimo umore, ma poi, vedendo l’aria seria di Jona e il suo Amuleto che, in cima al bastone da viaggio, splendeva di riflessi gialli e rossi si fece immediatamente attento, il magone era dimenticato, almeno per il momento.

Jona annuì tra sé e sé: Troomsin era un buon comandante; era tutt’altro che riflessivo, ma non si lasciava dominare dai suoi impulsi.
“Vieni, andiamo alle barche.”
Il capoflottiglia non fece commenti e i due si recarono verso la spiaggia, si fermarono un attimo al fuoco che scaldava coloro che stavano sorvegliando la nave ammiraglia e finalmente attraversarono le passerelle fino alla piccola nave con le ali, l’ultima, lontana da orecchie indiscrete.
“Allora?” chiese Troomsin, con il tono di chi vuol dire, in realtà: “Sarà meglio che tu non mi abbia fatto fare questa passeggiata per niente.”

Jona appoggiò l’Amuleto sul tavolo consumato dall’uso che occupava tutta la parte centrale della piccola cabina.
“Pensavo che potremmo approfittare di questa notte per cercare di trovare i Nani, ma non sono sicuro che sia la cosa giusta da fare.”
“Di notte, e in una notte senza luna, per di più?”
“Ma piena di stelle. Se sono qua attorno devono aver acceso un bel fuoco e quello si dovrebbe vedere da parecchio lontano.”

Troomsin stava per dire qualcosa, ma Jona spense la lampada mentre sussurrava due parole. Nel buio pesto il villaggio apparve sul tavolo con la collina dove si apriva la Piazza del Mercato che scintillava alla luce di cento fuochi.
Il Viknuit rimase senza fiato, incapace di parlare mentre il Mago faceva rimpicciolire l’immagine fino a ridurla a una manciata di vivide luci.

“Da che parte dovrebbero venire?”
“Da sud”, disse Troomsin mentre lottava per orientarsi in quella strana mappa troppo precisa e senza le indicazioni importanti, “Da lì, credo”, aggiunse poi indicando verso l’altra sponda del braccio di mare su cui si affacciava il Gran Mercato.
“Vengono per nave?” Chiese Jona.
“No, no, vengono su piccoli carri trainati dai loro muli. In realtà i carri gli servono più per riportarsi a casa quel che comprano che per trasportare qui i loro gioiellini che sono quasi sempre molto piccoli, anche se, a volte, un po’ pesanti.”

Jona fece apparire l’immagine diurna e studiò attentamente la mappa.
“Allora è probabile che attraversino da queste parti”, disse indicando il punto dove il braccio di mare si restringeva fino a diventare fiume, “e poi risalgano la costa, più o meno qui.”

Il suo dito disegnò una striscia rossa sulla mappa.
Troomsin si curvò sul tavolo e lo esaminò a lungo, poi si raddrizzò: “Potrebbe essere, ma che facciamo, ora?”
“Cerchiamo i fuochi e, prima o poi troveremo anche i Nani, se ci sono.”
La cabina ripiombò nel buio rischiarato solo dai fuochi del Gran Mercato.
Jona attese qualche minuto perché i loro occhi si abituassero e ordinò all’Amuleto di far scorrere la mappa seguendo la traccia.
Non appena il Mercato uscì dalla mappa il buio si fece ancor più solido, mentre la pista rossa diventava quasi evanescente.
Nelle tenebre cominciarono ad apparire le piccole scintille, molto lontane fra loro.

Cominciarono a esaminarle con rapidi tuffi che li portarono nei bivacchi di trapper, individuarono una piccola carovana di ritardatari evidentemente diretti al Mercato, pochi attendamenti molto distanziati e poi, finalmente, la carovana dei Nani.

“Sono molto in ritardo”, borbottò Troomsin,
“Forse non arriveranno affatto”, gli fece eco Jona con una voce tesa e preoccupata che colse il Viknuit di sorpresa.
“Amuleto, avvicinaci ancora!”
“Spiacente, a questa distanza questo è il meglio che posso fare.”

Jona indicò i sei carri disposti a cerchio. All’esterno del cerchio brillavano nella notte parecchi fuochi, mentre all’interno era buio e in quel buio si vedevano le sagome dei Nani di guardia; decisamente troppi. Non si vedeva traccia dei muli che dovevano trainare i carri. Anche il punto dove si erano fermati era strano: un pianoro su un’alta collina dai bordi scoscesi.

“Hai ragione”, confermò Troomsin, “non vedo nulla attorno, ma si direbbe che si stiano difendendo da qualcosa o da qualcuno. Che fine hanno fatto i muli? Senza di quelli, anche se si liberano dagli assalitori non arriveranno mai qui.”
“Dovremmo organizzare una spedizione di soccorso”, suggerì Jona accennando a muoversi verso la porta.
“Tu resta qui”, disse Troomsin con un tono che non ammetteva replica, “Tieni d’occhio la situazione. Tornerò presto”, e uscì dalla cabina senza guardarsi indietro.

Si parte

La piccola nave ondeggiò sotto i passi leggeri di molti piedi.
Anche fuori della cabina il buio regnava sovrano e, indovinò, più che vederla la testa di Troomsin che si affacciava dalla porta per chiedere: “Cambiamenti?”
“No. Hanno fatto un cambio della guardia.”
“Quanti?”
“Dodici.”
Troomsin fece un fischio. “Non ci sono dubbi. Hanno guai seri. Speriamo solo che non siano tanto seri da essere finiti prima che facciamo a tempo ad arrivare.”
La testa scomparve e si sentirono ordini sussurrati, poi i remi cominciarono a spingere sull’acqua.

Salvataggio

Le prime luci del giorno trovarono la piccola nave con le ali ancora alzate che filava leggera col vento in poppa che la spingeva. I suoi occupanti non avevano le mani in mano, ma aiutavano la brezza con le vogate regolari di chi sa di avere davanti molta strada da percorrere.

Il Gran Mercato era alle loro spalle e non si vedevano vele all’orizzonte.

Jona e Troomsin, sotto coperta, seguivano i loro progressi e cercavano di capire meglio quale fosse la reale situazione dei Nani.

La nave era stracarica dei migliori guerrieri del villaggio che si alternavano alla voga e, nel tempo libero, affilavano le loro armi. I Viknuit erano dediti essenzialmente alla pesca e, dove possibile, alla pastorizia, ma non disdegnavano incursioni cruente contro villaggi rivali o, più raramente, anche altre popolazioni.

Troomsin aveva lasciato intendere che si trattava proprio di una scorreria contro un villaggio rivale dell’ultimo momento, prima della tregua universale imposta dall’apertura del Gran Mercato.

La posta in gioco, invece, era assai più alta: non solo assicurarsi la presenza dei Nani al Mercato, che, da sola, avrebbe giustificato l’impresa, ma anche ritrovarsi un credito di gratitudine da parte di quella potente nazione.

I Nani erano tutti in piedi, oramai, e montavano la guardia mentre i fuochi, fuori dal cerchio dei carri si stavano spegnendo.
Era evidente che erano minacciati da qualcosa o qualcuno, ma non si vedeva traccia degli assalitori.

Erano lontani più di cento miglia e, anche con il vento favorevole, non sarebbero arrivati prima di sera.

Il primo attacco arrivò all’improvviso a metà mattinata.
Jona vide una certa agitazione e alcuni Nani che cadevano per terra, subito soccorsi.
Erano ancora troppo lontani e i Nani sembravano delle grosse formiche sul tavolo.
“Frecce”, disse Troomsin con voce cupa, “Chiunque sia si tiene fuori vista. Non dureranno molto.”

I Nani, intanto, stavano rispondendo con le loro pesanti balestre, ma presto smisero di sprecar quadrelli. Gli assalitori si tenevano ben nascosti fra gli alberi che circondavano la collinetta e mandavano i loro messaggeri di morte.

Era da poco passato mezzogiorno quando venne il primo vero attacco.
Preceduti da un nugolo di frecce — che ora si intravedevano — una cinquantina di uomini vestiti di pelli si lanciarono su per la collina sperando di cogliere di sorpresa i Nani.
Questi evidentemente si aspettavano questa tattica perché rimasero acquattati al riparo dei carri finché la salva di frecce non fu esaurita e poi balzarono ad affrontare gli aggressori brandendo pesanti asce.

La colluttazione fu breve e violenta.
L’attacco respinto, ma cinque Nani furono riportati sui carri dai loro compagni.

Anche gli assalitori avevano subito forti perdite — almeno una decina non avrebbero partecipato ad altri attacchi a giudizio di Troomsin che di queste cose pareva intendersene — ma i Nani in grado di combattere erano sempre meno.

Troomsin ordinò di accelerare al massimo, ma il vento non era più così favorevole come al mattino. Il comandante Viknuit si aggirava come una belva in gabbia, non poteva far altro che incitare i rematori e aspettare.

Il secondo attacco venne mentre il sole stava scendendo verso le basse colline.
Stavolta erano abbastanza vicini da vedere tutto; il cerchio dei carri riempiva il tavolo e i Nani erano alti un palmo.

Jona li osservò con curiosità, non avendoli mai visti prima. Erano robusti, con le gambe muscolose e troppo corte, ma erano molto più proporzionati dei nani “veri”, come si trovò a pensare il Mago, alludendo agli Umani affetti da nanismo, e sembravano dotati di una notevole forza, almeno a giudicare dalla facilità con cui facevano roteare quelle asce che non dovevano essere leggere.

Erano alti molto meno degli assalitori. Era difficile giudicare, ma, assumendo che gli altri fossero tra un metro e settanta e un metro e ottanta i Nani non dovevano superare il metro e venti, ma la statura non li rendeva meno agili.

Anche il secondo assalto venne respinto, ma oramai non rimanevano che una ventina di Nani in piedi. Le loro facce erano determinate, ma si vedeva che si facevano poche illusioni.

“Da questa distanza posso provare a mandare un messaggio”, comunicò l’Amuleto.
“Apri subito il contatto!”
“No, non mi sono spiegato: non c’è niente dall’altra parte con cui collegarmi. Se mi porti fuori, magari in cima all’albero, posso cercare di inviare un messaggio sonoro. Il meglio che posso fare da questa distanza è far arrivare poche parole su tutto il pianoro. Sentiranno come se avesse parlato il vento. Sarà già abbastanza difficile evitare che sentano anche i predoni.”

Jona lanciò un’occhiata interrogativa a Troomsin che, prima di rispondere, volle vedere la loro posizione sulla carta, fece un rapido calcolo mentale e poi disse con aria decisa: “Digli che resistano e che gli aiuti arriveranno non prima del tramonto e non dopo mezzanotte. Vieni, Mago. Porta il tuo Amuleto in cima all’albero e diamo una buona notizia a quei disperati!”

Jona uscì dalla cabina per la prima volta e sbatté le palpebre alla luce del sole oramai basso ad ovest. La costa era vicina e si intravedeva anche il collinotto su cui erano i Nani, a un paio di chilometri dalla spiaggia sassosa.

L’Amuleto venne issato sull’albero e, da lì, emise un lungo ululato sgraziato.
Avevano fatto a tempo a recuperarlo e a tornare nella cabina prima che il suono arrivasse ai Nani, che si bloccarono guardandosi l’un l’altro increduli.
Le loro espressioni si fecero ancora più determinate di prima.

Troomsin aveva fatto ammainare le vele e oramai la nave viaggiava solo spinta dai remi.
Era quasi notte piena e la nave puntava dritta verso sponda ghiaiosa con la massima velocità possibile.
Troomsin era a prua e scrutava nella scarsa luce residua, restio a fidarsi solo delle mappe del Mago, che, dal canto suo stava vicino al timoniere per mostrargli il punto scelto per l’approdo.

“Su i remi!” gridò all’improvviso Troomsin.
Un istante dopo la chiglia toccava il fondo e risaliva d’impeto sulla spiaggia.
Mentre i rematori sfiniti tiravano il fiato prima di accertarsi che la nave fosse saldamente sulla riva i guerrieri si stavano riversando sulla spiaggia come una fiumana di lupi in caccia.

Jona fu uno dei primi a scendere, secondo il piano concordato e si diresse al piccolo trotto assieme al capo Viknuit e a un gruppo di nerboruti guerrieri direttamente verso il collinotto dov’erano asserragliati i Nani, mentre altri due gruppi seguivano le tracce luminose dell’Amuleto che li guidavano sui lati per l’accerchiamento.

Pochi minuti dopo il piano, ben congegnato, cadde a pezzi.
Gli assalitori decisero di sferrare l’attacco definitivo ai Nani e cominciarono a riversarsi su in massa per la collina.

Jona consultò preoccupato l’Amuleto che gli confermò quanto aveva già sospettato: gli assalitori erano più numerosi del previsto. Erano più numerosi dei Viknuit e non avrebbero tardato ad aver ragione della resistenza dei Nani.

Questi, appena si accorsero dell’assalto, accesero delle potenti lampade che illuminarono a giorno la collina accecando gli assalitori e rallentandoli quanto bastava.

Jona, Troomsin e il loro manipolo erano ai piedi della collina.
Dovevano guadagnare i pochi minuti necessari alle ali per arrivare sui lati.

“Tu resta qui”, sibilò Troomsin nell’orecchio del Mago, “e dì agli altri di sbrigarsi!”
Con un urlo belluino si slanciò su per la collina seguito dai suoi guerrieri.

Le file degli assalitori ondeggiarono indecise, poi, vedendo che si trattava di uno sparuto gruppo una frangia si staccò per bloccarli e, probabilmente, ci sarebbe anche riuscita, essendo più numerosa degli uomini di Troomsin, ma Jona, senza apparire, cominciò a lavorare per pareggiare i conti.

L’Amuleto non poteva gestire tutte quelle persone contemporaneamente, ma paralizzando per un solo istante la gamba di un guerriero in corsa si possono ottenere risultati spettacolari e bloccare il controllo di un braccio poteva trasformare un fendente mortale in una morbida carezza.

Nessuno dei combattenti si accorse di che cosa stesse veramente succedendo, ma il manipolo comandato da Troomsin tagliò le linee nemiche come un coltello caldo affonda nel burro, non solo si lasciarono alle spalle morti e feriti, ma anche nemici convinti di aver di fronte dei semidei.

Nel momento in cui il drappello raggiunse le linee dei Nani, salutato da urla di gioia, anche le due ali si lanciarono su per la collina urlando come ossessi.

Per un momento gli assalitori ressero l’impatto, poi si udì un fischio lacerante provenire dal buio oltre il cerchio di luce proiettato dai carri e l’attacco si sciolse come non fosse mai avvenuto.
Sul terreno rimase qualche arma, molte orme, ma nessun corpo degli assalitori. Nella ritirata avevano trovato modo di portarsi via i loro caduti.

I Nani

Quando Jona arrivò all’accampamento le luci erano state spente, sostituite da alti fuochi all’esterno del cerchio dei carri e una nutrita schiera di marinai montava la guardia mentre gli altri si occupavano dei feriti.

“Il Capo, qui, mi dice che dobbiamo a te la nostra vita. Grazie.” Disse senza fronzoli quello che, a giudicare dalla raffinatezza della corazza e delle armi pareva essere il comandante dei Nani.

“Ero solo curioso di sapere perché tardavate tanto”, si schermì Jona, “poi, quando abbiamo visto la situazione Troomsin ha organizzato i soccorsi.”

Troomsin scoppiò in una fragorosa risata: “Così tu non hai fatto nulla, vero? Nemmeno ora? Quei briganti mi cascavano davanti come ragazzine innamorate solo per i miei begli occhi azzurri, vero? Mavalà!”

“Diciamo che non mi sono mai piaciuti gli attacchi sleali e i combattimenti impari, quindi ho cercato di equilibrare le sorti. Comunque: non sarebbe meglio avvertire la nave di tenersi pronti ad un possibile attacco? Quei briganti erano tanti e potrebbero tentare sorprese spiacevoli.” Stava per aggiungere qualcos’altro, ma incontrò gli occhi del capo dei Nani e tacque.
“Puoi mandare un messaggio alla nave?” Chiese Troomsin.
“Certo, da questa distanza credo di poterti anche far sentire la risposta.”
La faccenda fu sbrigata rapidamente e la nave riprese il largo, al sicuro da eventuali attacchi. Sarebbe ritornata all’alba.

Troomsin si allontanò per organizzare i turni di guardia mentre Jona cominciava a sentire gli effetti della caduta della tensione nervosa che lo aveva sorretto fino ad allora. Sentiva la testa leggera e una gran stanchezza. Si avvolse nel suo mantello e si accomodò vicino al fuoco. Sospirò: ancora non era tempo di riposare. Sentiva addosso gli occhi scrutatori di quel Nano che lo aveva ringraziato poco prima.

Pochi minuti dopo, infatti, il Nano si sedette a gambe incrociate davanti a lui, togliendosi l’elmo che aveva coperto buona parte della sua faccia.
“Io sono Burlock di Nayokka, delegato a trattare gli affari dei Nani al Mercato”, disse congiungendo i pugni in quello che Jona interpretò come un saluto. Stava parlando la lingua dei Viknuit con un forte accento che Jona non ebbe difficoltà a seguire.
“Io sono Jona di Tigu. Onorato di fare la tua conoscenza, Burlock”, rispose il Mago cercando di imitare il gesto.

Si squadrarono per un lungo istante.
Burlock era alto poco più di un metro e venti che, per un Nano era un’altezza ragguardevole, aveva membra possenti e muscolose, i lineamenti grossi, ma non sgraziati, incorniciati da capelli rossicci raccolti in due grosse trecce e da una lunga barba che non doveva aver mai provato il brivido del rasoio.
Come aveva già notato i Nani, pur di bassa statura, non avevano nessuna delle deformità che angustiavano i nani Umani: le gambe erano dritte e non sproporzionatamente corte, la testa grande, ma proporzionata al collo taurino che la sorreggeva.
Le mani erano grandi e callose, probabilmente dotate di una stretta micidiale.

Il Nano, terminato l’esame di Jona, venne subito al dunque con l’immediatezza che era una delle caratteristiche della sua razza: “Che cosa ci fa un Mago fra i Viknuit, Jona di Tigu?”
A un gesto l’Amuleto si accese di luce rossa: “Non sono più un vero Mago. Thano mi impone di vagabondare in cerca di non so nemmeno io cosa”, gli rispose Jona con un velo di stanchezza nella voce.
Burlock non batté ciglio mentre esaminava con interesse l’Amuleto: “Che cos’è quella cosa?” Chiese dopo qualche istante.

Jona rimase sorpreso; possibile che non avesse mai visto un Amuleto? Abbassò anche lui lo sguardo e capì a che cosa si riferisse il Nano: La Bussola era ricomparsa.
“Ecco. Appunto. Appena penso di potermi fermare un po’ in un posto quel maledetto affare ricompare e sono costretto a ripartire. Seriamente: quella è la mia Bussola. Thano mi indica la strada da seguire in questo modo. Ora devo riprendere la via del sud, a occhio e croce.”

Il Nano esaminò la bussola con attenzione, poi tirò fuori dalla tasca uno strano congegno complicato e confrontò la direzione, alla fine guardò Jona dritto negli occhi e sentenziò: “Sembra che faremo un po’ di strada assieme, Jona di Tigu. La tua bussola punta dritta verso Nayokka. Spero, per te e per noi, che Thano non abbia intenzione di fare qualcuno dei suoi strani scherzi”, poi a bruciapelo: “Pensi che c’entri qualcosa con questo attacco?”
“Non lo so. Non credo, e comunque non ne so nulla”, rispose Jona sostenendo senza difficoltà lo sguardo indagatore di Burlock, “ma un attacco di Thano non sarebbe finito così rapidamente, credo.”

Jona alzò le spalle:
“Quelli non erano trappers. Vestivano come trappers, ma non lo erano.” La faccia del Nano era scura e preoccupata. Jona attese che si spiegasse.

Capire i Nani

“Hai idea di che cosa volesse dire?”
L’Amuleto emise una buona imitazione di uno sbuffo spazientito: “Jona, lo sai che a questo genere di domande non posso rispondere!”
“Va bene. Cercherò di essere più specifico: Dove sono le Grandi Pianure?”
Per tutta risposta apparve la grossolana mappa di un gran continente rozzamente triangolare con il vertice in basso e due catene montuose parallele ai lati. Tutta la parte centrale era un’immensa pianura. Non era difficile immaginare di cosa parlasse Burlock.
“E noi ora dovremmo essere da queste parti, vero?” Chiese Jona indicando l’angolo superiore sinistro del continente.
Un puntino rosso apparve molto più a sud del suo dito.
“Nayokka?”
Un secondo puntino apparve poco più in basso del primo.
Jona guardò la mappa perplesso. Così vicino? Quel continente doveva essere immenso.
“Il Muro dovrebbe essere da queste parti, vero?” Jona stava indicando la catena montuosa che divideva la costa est e Nayokka dalle pianure centrali.
“Immagino di sì, ma non ho informazioni precise. Questo è il massimo che posso avere a queste distanze e non c’è nulla a proposito di “Muri”.”
“Puoi ingrandire la costa tra qui e Nayokka?”
L’immagine gli balzò incontro e i dettagli cominciarono a farsi evidenti.

Partenza

La notte trascorse con una relativa tranquillità. Dei “trappers” non c’era neppure l’ombra, anche se il Mago sapeva bene che erano sparpagliati tutt’intorno. L’Amuleto non riusciva ad avere delle immagini precise, ma le tracce di calore si intravedevano anche tra il fitto fogliame e la bruma notturna.

All’alba il campo era stato completamente tolto e i carri erano in ordine di marcia, con Viknuit e Nani al posto dei somari che erano state le prime vittime dell’attacco.

Il piccolo convoglio si mosse faticosamente in direzione del Gran Mercato.
I carri erano piccoli, ma pesanti. Non sarebbero mai riusciti ad arrivare al Mercato in tempo per l’apertura, inoltre non molto più avanti, ad un giorno di marcia, si doveva passare per una stretta gola, posto ideale per un’imboscata.

Jona cercava di tracciare come meglio poteva i movimenti degli assalitori che si tenevano a rispettosa distanza cercando il posto giusto per un altro attacco.

La strada era malagevole, ma netta. Non ci si poteva certo sbagliare.

A metà pomeriggio l’Amuleto lo avvertì: “Stanno tornando quelli che erano andati ad esplorare avanti. Speriamo bene.”
“C’è qualcuno che ci tiene d’occhio?”
“Certo! Vogliono farci credere di aver rinunciato e si tengono a distanza, ma c’è sempre qualcuno che ci tiene d’occhio dalle colline. Guarda.”
L’Occhio di Lince gli permise di scorgere una figura appollaiata su un alto albero che li scrutava. Poco dopo scese e corse avanti a cercarsi un altro posto d’osservazione, mentre altri suoi compagni continuavano a controllare l’incedere lento del piccolo convoglio. La tecnica era ammirevole: uno solo si muoveva mentre gli altri — ne contò quattro — rimanevano fermi ai loro posti, poi, ad un segnale che non era dato capire, il più arretrato partiva e si portava, a sua volta, in testa per poi rimanere immobile ad osservare e riposarsi.

L’attenzione di Jona era concentrata sul grosso della truppa che viaggiava molto più lontano, in mezzo ai boschi. Sulla mappa dell’Amuleto erano tanti puntini rossi che si muovevano sotto la copertura della foresta. Sembravano un esercito di formiche.
“Puoi farmi sentire quello che dicono?”
“A questa distanza, dall’altro lato della collina e con questa foresta in mezzo?”
“Va bene, ho capito”

Lo sciame si rimise in moto, molto più veloce di prima.
Jona rimase impassibile e si forzò ad aspettare un’altra ora prima di avvicinarsi a Troomsin.
“Sembra che abbiano abboccato”, gli disse a bassa voce cercando di evitare qualsiasi gesto che potesse mettere in allarme gli osservatori.
“Hanno preso posizione alla gola?”
“Non ancora, ma ci stanno andando.”

Imbarco

Era circa mezzanotte quando la luce dell’Amuleto squarciò le tenebre illuminando la via alla nave che stava arrivando veloce verso la spiaggia.
I carri stavano già scendendo verso il mare mentre i fuochi ardevano ancora indisturbati.
I carri vennero issati a bordo con gli argani mentre le prime frecce cominciavano a cadere attorno a loro, ma erano solo una decina di assalitori, non avevano nessuna speranza di fermarli.

Jona fece un gesto e le varie cataste di legna secca e resinosa che avevano predisposto nella notte presero fuoco illuminando gli arcieri che divennero facili bersagli per le pesanti balestre dei Nani che avevano una portata molto superiore a quella degli archi.
Il lancio di frecce cessò.

“Quei maledetti carri sono troppo pesanti!”
Jona si girò verso la nave e vide i Viknuit che cercavano di spingere la nave verso il mare, ma quella sembrava incollata alla ghiaia.

Qualcuno degli osservatori doveva essere andato ad avvertire il grosso della truppa perché Jona la vedeva avvicinarsi con una velocità impressionante. Ora, più che un esercito di formiche, sembravano uno sciame d’api inferocite.
Avevano ancora una mezz’ora di tempo.
La marea stava continuando a salire, sarebbe bastato?

“Tutti a terra, tranne i Nani e Jarril il timoniere!” Ruggì Troomsin, “Portate le cime di alaggio!”

Jona rimase interdetto. Le cime di alaggio? Quelle venivano usate per tirare in secca le navi, non per metterle a mare. Si guardò attorno cercando di capire se c’era un qualche ancoraggio a mare per poterle usare, ma i Viknuit non conoscevano le ancore in ferro che si usavano nella sua Ligu. Jona ne aveva parlato con il timoniere, ma quello non era sembrato molto interessato. Ora avrebbe fatto comodo.

Una mano gli si posò sulla spalla facendolo sussultare.
Era Troomsin: “Quanto tempo abbiamo?”
Jona guardò ancora la sua mappa: “Non molto. Venti minuti, massimo mezz’ora.”
Troomsin diede un’occhiata al mare che avanzava: “Abbiamo tutto il tempo. Vai a bordo anche tu. Non sei abituato a queste acque e puoi aiutare Jarril.”

Jarril stava issando la grande vela e Jona si accorse allora che una sottile bava di vento soffiava verso il largo; si precipitò ad aiutarlo.

La grande vela si gonfiò pigramente e, quando arrivò alla fine della corsa consentita dai bracci ai pennoni diede un sonoro schiocco e la nave ondeggiò come infastidita.

In quel preciso istante tutti i Viknuit si gettarono come un sol uomo contro le murate spingendo come invasati.

Jona non ebbe il tempo di rallegrarsi per il lento, ma deciso, movimento della nave che si accorse che qualcosa non andava per il verso giusto: i Nani erano in preda al panico e si guardavano attorno terrorizzati. Solo Burlock conservava un’apparente calma, ma, nonostante la scarsa luce, si vedeva che era pallido come uno spettro.

“Che succede?” Chiese Jona più all’Amuleto che ai Nani mentre si lanciava a trattenerne uno che sembrava volesse balzare a terra.

“I Nani hanno il terrore dell’acqua”, lo informò l’Amuleto.
“E me lo dici adesso?” Sibilò il Mago mentre afferrava il Nano per una spalla. Quello si girò e, con tutta la dignità che riuscì a racimolare, disse: “Ho il diritto di morire sulla terra ed essere seppellito sotto terra.”

“Ipni pax super vos descendat!” Riuscì a mormorare prima che il Nano, girandosi lo spedisse a gambe levate sul tavolato del ponte.

L’aura grigia di Ipno circondava i Nani che rimasero immobili, frastornati.

“Nessuno morirà stanotte”, disse Jona con più sicurezza di quanta ne sentisse, “guardate: la nave è solida e il mare calmo. Posse è con noi!”

La nave oramai aveva preso a scivolare più agevolmente mentre da sotto si sentivano i grugniti dello sforzo degli uomini di Troomsin. Doveva tenere i Nani impegnati. L’aiuto venne proprio dai loro nemici che apparvero in cima alla spianata che portava alla spiaggia, illuminati dai fuochi che ardevano alti.

“Presto usate le vostre balestre!”
I Nani si riscossero e misero mano alle loro armi, mentre Jona cercava di modulare gli effetti dell’incantesimo per calmarli senza obnubilarne completamente i sensi.

La nave era oramai sull’acqua e la vela la stava spingendo pigramente verso il largo
“Via!” Urlò Troomsin e una ventina di uomini si lanciarono a nuoto verso la nave mentre gli altri si voltavano, incoccavano le frecce sui loro archi e cominciavano a far cadere una pioggia di mortale verso gli assalitori che si fermarono sbandando per rispondere.

Jona e Jarril aiutarono i Viknuit che arrivavano a nuoto a salire a bordo e quelli, senza dire una parola si precipitarono ai remi.
La nave prese rapidamente velocità.
“Non possiamo lasciare Troomsin e gli altri a terra! Li faranno a pezzi!”
“Calma”, disse Jarril tranquillo, “non hanno nessuna intenzione di crepare lontano da casa.”
Jona chiuse la bocca e tornò dai Nani, lanciando incantesimi verso gli assalitori e chiedendosi che avesse in mente Troomsin.

Non dovette aspettare molto per capirlo: la nave era appena ad un tiro di freccia dalla spiaggia quando, una dopo l’altra, le cime di alaggio si tesero trascinando in mare i Viknuit che erano già con le gambe in acqua.

Gli assalitori arrivarono urlando verso la spiaggia e, dopo aver spedito qualche inutile freccia verso la nave che si allontanava, cominciarono a prendere di mira i Viknuit a rimorchio, ma quelli si immersero lasciandosi trascinare verso il fondo e riemersero più di un minuto dopo, oramai protetti dalla distanza e dall’oscurità.

Troomsin fu l’ultimo a salire a bordo, come era stato l’ultimo ad abbandonare la spiaggia.

Notte
Ritorno sul mare

La mattina li trovò che viaggiavano spinti da un vento fresco che faceva scricchiolare l’albero e gemere il sartiame.

“Se continua così saremo al Gran Mercato prima di sera”, disse Troomsin vedendo Jona riemergere dalla cabina, “com’è andata?”
“Lo sapremo tra poco”, rispose lui stropicciandosi gli occhi gonfi.

Troomsin gli mise in mano una tazza fumante e un pezzo di focaccia che alla loro partenza doveva essere stata una prelibatezza, ma ora opponeva una fiera resistenza ai denti.

Burlock si affacciò dalla botola che portava sottocoperta, si guardò attorno, individuò Jona e si diresse verso di lui con passo deciso.
Jona e Troomsin si trovavano a poppa, al timone, in quello che era uno dei punti più alti della coperta.
Burlock di fermò a guardare la costa, lontana un miglio abbondante, che stavano seguendo e le onde di quel mare grigio e freddo nella giornata coperta di nuvole che correvano veloci, ascoltò la voce della nave che cantava la sua canzone al vento e infine si rivolse a Jona guardandolo con due occhi freddi e accusatori: “Che ci hai fatto, Mago?”

Jona sospirò, poi rispose in modo altrettanto diretto: “Quello che era necessario, Burlock. Ho cercato di capire le ragioni della vostra avversione per il mare e di lenirla. Non sei contento di aver perso le tue paure?”
“Prima di dire se sono contento o no vorrei sapere che cosa altro ho perso”, disse asciutto.
“Nulla, che io sappia. Ho scoperto che la vostra avversione per l’acqua è legata soprattutto all’instabilità delle cose che galleggiano, al movimento ondeggiante e incontrollato e ho suggerito un’associazione con l’abbraccio della mamma. Pare che abbia funzionato. Non so quanto durerà, probabilmente dipenderà da come e quanto lo accetterete, ma per ora vi sentirete come bambini cullati dalla mamma, almeno fino a quando non arriveremo al Gran Mercato. Ti consiglio di goderti la sensazione.”

Burlock lo guardava con sospetto, ma sapeva bene di non aver modo di accertare se il Mago mentisse e, anche se non mentiva, se aveva detto tutto quel che c’era da dire.
Avrebbe dovuto vedere un mago della sua razza al più presto.

Gli altri Nani, nel frattempo, erano usciti a loro volta e stavano osservando con curiosità la nave, parlottando fra loro e indicando varie parti dell’attrezzatura. Le due ali, ora immerse nell’acqua, attirarono la loro attenzione.

Poco dopo, quando virarono cambiando bordo per avvicinarsi alla costa si sporsero addirittura dalla murata per osservare come l’ala sopravvento nuotasse libera mentre quella sottovento rimaneva schiacciata contro la fiancata.

Jona e Troomsin furono inondati da un flusso ininterrotto di domande fino a quando non arrivarono in vista del Gran Mercato, nel primo pomeriggio.
Il Mago si stava chiedendo seriamente se non avesse esagerato nella “cura”.