Le prime luci del giorno trovarono la piccola nave con le ali ancora alzate che filava leggera col vento in poppa che la spingeva. I suoi occupanti non avevano le mani in mano, ma aiutavano la brezza con le vogate regolari di chi sa di avere davanti molta strada da percorrere.
Il Gran Mercato era alle loro spalle e non si vedevano vele all’orizzonte.
Jona e Troomsin, sotto coperta, seguivano i loro progressi e cercavano di capire meglio quale fosse la reale situazione dei Nani.
La nave era stracarica dei migliori guerrieri del villaggio che si alternavano alla voga e, nel tempo libero, affilavano le loro armi. I Viknuit erano dediti essenzialmente alla pesca e, dove possibile, alla pastorizia, ma non disdegnavano incursioni cruente contro villaggi rivali o, più raramente, anche altre popolazioni.
Troomsin aveva lasciato intendere che si trattava proprio di una scorreria contro un villaggio rivale dell’ultimo momento, prima della tregua universale imposta dall’apertura del Gran Mercato.
La posta in gioco, invece, era assai più alta: non solo assicurarsi la presenza dei Nani al Mercato, che, da sola, avrebbe giustificato l’impresa, ma anche ritrovarsi un credito di gratitudine da parte di quella potente nazione.
I Nani erano tutti in piedi, oramai, e montavano la guardia mentre i fuochi, fuori dal cerchio dei carri si stavano spegnendo.
Era evidente che erano minacciati da qualcosa o qualcuno, ma non si vedeva traccia degli assalitori.
Erano lontani più di cento miglia e, anche con il vento favorevole, non sarebbero arrivati prima di sera.
Il primo attacco arrivò all’improvviso a metà mattinata.
Jona vide una certa agitazione e alcuni Nani che cadevano per terra, subito soccorsi.
Erano ancora troppo lontani e i Nani sembravano delle grosse formiche sul tavolo.
“Frecce”, disse Troomsin con voce cupa, “Chiunque sia si tiene fuori vista. Non dureranno molto.”
I Nani, intanto, stavano rispondendo con le loro pesanti balestre, ma presto smisero di sprecar quadrelli. Gli assalitori si tenevano ben nascosti fra gli alberi che circondavano la collinetta e mandavano i loro messaggeri di morte.
Era da poco passato mezzogiorno quando venne il primo vero attacco.
Preceduti da un nugolo di frecce — che ora si intravedevano — una cinquantina di uomini vestiti di pelli si lanciarono su per la collina sperando di cogliere di sorpresa i Nani.
Questi evidentemente si aspettavano questa tattica perché rimasero acquattati al riparo dei carri finché la salva di frecce non fu esaurita e poi balzarono ad affrontare gli aggressori brandendo pesanti asce.
La colluttazione fu breve e violenta.
L’attacco respinto, ma cinque Nani furono riportati sui carri dai loro compagni.
Anche gli assalitori avevano subito forti perdite — almeno una decina non avrebbero partecipato ad altri attacchi a giudizio di Troomsin che di queste cose pareva intendersene — ma i Nani in grado di combattere erano sempre meno.
Troomsin ordinò di accelerare al massimo, ma il vento non era più così favorevole come al mattino. Il comandante Viknuit si aggirava come una belva in gabbia, non poteva far altro che incitare i rematori e aspettare.
Il secondo attacco venne mentre il sole stava scendendo verso le basse colline.
Stavolta erano abbastanza vicini da vedere tutto; il cerchio dei carri riempiva il tavolo e i Nani erano alti un palmo.
Jona li osservò con curiosità, non avendoli mai visti prima. Erano robusti, con le gambe muscolose e troppo corte, ma erano molto più proporzionati dei nani “veri”, come si trovò a pensare il Mago, alludendo agli Umani affetti da nanismo, e sembravano dotati di una notevole forza, almeno a giudicare dalla facilità con cui facevano roteare quelle asce che non dovevano essere leggere.
Erano alti molto meno degli assalitori. Era difficile giudicare, ma, assumendo che gli altri fossero tra un metro e settanta e un metro e ottanta i Nani non dovevano superare il metro e venti, ma la statura non li rendeva meno agili.
Anche il secondo assalto venne respinto, ma oramai non rimanevano che una ventina di Nani in piedi. Le loro facce erano determinate, ma si vedeva che si facevano poche illusioni.
“Da questa distanza posso provare a mandare un messaggio”, comunicò l’Amuleto.
“Apri subito il contatto!”
“No, non mi sono spiegato: non c’è niente dall’altra parte con cui collegarmi. Se mi porti fuori, magari in cima all’albero, posso cercare di inviare un messaggio sonoro. Il meglio che posso fare da questa distanza è far arrivare poche parole su tutto il pianoro. Sentiranno come se avesse parlato il vento. Sarà già abbastanza difficile evitare che sentano anche i predoni.”
Jona lanciò un’occhiata interrogativa a Troomsin che, prima di rispondere, volle vedere la loro posizione sulla carta, fece un rapido calcolo mentale e poi disse con aria decisa: “Digli che resistano e che gli aiuti arriveranno non prima del tramonto e non dopo mezzanotte. Vieni, Mago. Porta il tuo Amuleto in cima all’albero e diamo una buona notizia a quei disperati!”
Jona uscì dalla cabina per la prima volta e sbatté le palpebre alla luce del sole oramai basso ad ovest. La costa era vicina e si intravedeva anche il collinotto su cui erano i Nani, a un paio di chilometri dalla spiaggia sassosa.
L’Amuleto venne issato sull’albero e, da lì, emise un lungo ululato sgraziato.
Avevano fatto a tempo a recuperarlo e a tornare nella cabina prima che il suono arrivasse ai Nani, che si bloccarono guardandosi l’un l’altro increduli.
Le loro espressioni si fecero ancora più determinate di prima.
Troomsin aveva fatto ammainare le vele e oramai la nave viaggiava solo spinta dai remi.
Era quasi notte piena e la nave puntava dritta verso sponda ghiaiosa con la massima velocità possibile.
Troomsin era a prua e scrutava nella scarsa luce residua, restio a fidarsi solo delle mappe del Mago, che, dal canto suo stava vicino al timoniere per mostrargli il punto scelto per l’approdo.
“Su i remi!” gridò all’improvviso Troomsin.
Un istante dopo la chiglia toccava il fondo e risaliva d’impeto sulla spiaggia.
Mentre i rematori sfiniti tiravano il fiato prima di accertarsi che la nave fosse saldamente sulla riva i guerrieri si stavano riversando sulla spiaggia come una fiumana di lupi in caccia.
Jona fu uno dei primi a scendere, secondo il piano concordato e si diresse al piccolo trotto assieme al capo Viknuit e a un gruppo di nerboruti guerrieri direttamente verso il collinotto dov’erano asserragliati i Nani, mentre altri due gruppi seguivano le tracce luminose dell’Amuleto che li guidavano sui lati per l’accerchiamento.
Pochi minuti dopo il piano, ben congegnato, cadde a pezzi.
Gli assalitori decisero di sferrare l’attacco definitivo ai Nani e cominciarono a riversarsi su in massa per la collina.
Jona consultò preoccupato l’Amuleto che gli confermò quanto aveva già sospettato: gli assalitori erano più numerosi del previsto. Erano più numerosi dei Viknuit e non avrebbero tardato ad aver ragione della resistenza dei Nani.
Questi, appena si accorsero dell’assalto, accesero delle potenti lampade che illuminarono a giorno la collina accecando gli assalitori e rallentandoli quanto bastava.
Jona, Troomsin e il loro manipolo erano ai piedi della collina.
Dovevano guadagnare i pochi minuti necessari alle ali per arrivare sui lati.
“Tu resta qui”, sibilò Troomsin nell’orecchio del Mago, “e dì agli altri di sbrigarsi!”
Con un urlo belluino si slanciò su per la collina seguito dai suoi guerrieri.
Le file degli assalitori ondeggiarono indecise, poi, vedendo che si trattava di uno sparuto gruppo una frangia si staccò per bloccarli e, probabilmente, ci sarebbe anche riuscita, essendo più numerosa degli uomini di Troomsin, ma Jona, senza apparire, cominciò a lavorare per pareggiare i conti.
L’Amuleto non poteva gestire tutte quelle persone contemporaneamente, ma paralizzando per un solo istante la gamba di un guerriero in corsa si possono ottenere risultati spettacolari e bloccare il controllo di un braccio poteva trasformare un fendente mortale in una morbida carezza.
Nessuno dei combattenti si accorse di che cosa stesse veramente succedendo, ma il manipolo comandato da Troomsin tagliò le linee nemiche come un coltello caldo affonda nel burro, non solo si lasciarono alle spalle morti e feriti, ma anche nemici convinti di aver di fronte dei semidei.
Nel momento in cui il drappello raggiunse le linee dei Nani, salutato da urla di gioia, anche le due ali si lanciarono su per la collina urlando come ossessi.
Per un momento gli assalitori ressero l’impatto, poi si udì un fischio lacerante provenire dal buio oltre il cerchio di luce proiettato dai carri e l’attacco si sciolse come non fosse mai avvenuto.
Sul terreno rimase qualche arma, molte orme, ma nessun corpo degli assalitori. Nella ritirata avevano trovato modo di portarsi via i loro caduti.