9: Nayokka

La proposta

Burlock piazzò il boccale di birra scura sul tavolo e si arrampicò sullo sgabello di fronte a Jona.
“Beh, che cosa hai deciso, Mago? Vieni con noi o no?”
“Quando partite?”

Jona diede un’occhiata al suo Amuleto e vide che la Bussola sembrava sempre più netta e luminosa; non era il caso di rimandare oltre la partenza.

“Solo?”
“Burlock, sei sicuro che sia una buona idea tornare per la stessa via dell’andata? Sei sicuro che i tuoi “amici” se ne siano tornati alle loro pianure?”
“Non ci sono altre strade, Mago. Lo sai anche tu. Ti ho visto studiare quella mappa per ore.”
“Io potrei anche riuscire a passare, ma voi, con i carri, siete troppo lenti e visibili. Non potreste rimanere qui fino al disgelo? Non credo che siano attrezzati per passare un inverno da queste parti.”
Burlock scosse il capo facendo ondeggiare le treccine rosse: “No, i nostri fratelli a Nayokka aspettano queste provviste. Oramai sono tanti anni che portiamo il pesce dei Viknuit. Se mancasse e l’inverno fosse un po’ più lungo del normale potrebbero esserci dei problemi seri. Noi siamo una piccola comunità e le scorte sono quello che sono.”
Jona rimuginò l’informazione: “Comincio a capire la strategia dei vostri nemici.”
Il Nano ingollò un gran sorso di birra, liberò lo stomaco dal gas in eccesso, e poi, con un tono che sembrava dovesse spiegare ogni cosa, disse: “Mia moglie aspetta il suo primo figlio.”
Jona annuì pensoso e, mentre si portava il boccale alle labbra, sibilò all’Amuleto: “Che ha di strano la gravidanza dei Nani?”
“Pensavo che ti sfuggisse. Bravo. I Nani sono poco prolifici, passano parecchi anni prima che una Nana ritorni fertile dopo una gravidanza. Inoltre le Nane, solitamente robuste quasi quanto i loro mariti, sono estremamente cagionevoli nell’attesa. Denutrizione significa quasi certamente un aborto, o peggio.”

Jona si asciugò la schiuma densa che era rimasta sui baffi.
“Non credo che la aiuteresti molto facendoti ammazzare in questi boschi, Burlock.”
Uno scintillio minaccioso begli occhi del Nano indusse il mago a terminare precipitosamente la frase:
Burlock si fece attento, il boccale dimenticato: “Dove?”
Sul tavolo apparve la cartina, sbiadita e piatta per non attirare troppo l’attenzione degli altri, che però sembravano più interessati alle birre che a loro. Una sottile linea rossa congiungeva quasi in linea retta il Gran Mercato e Nayokka.
“Ma lì c’è solo acqua!”
“Appunto.”
“Sei impazzito?”
“No. La nave che abbiamo usato per salvarvi può fare quel tragitto in una settimana, anche con il mare grosso. Ho controllato: il tempo dovrebbe essere favorevole ancora per un po’”
“Sei impazzito.” Il tono era piatto, come se stesse enunciando una verità lapalissiana.
“Non mi sembra che siate stati poi così male, durante il ritorno.”
“Non se ne parla nemmeno!”
Jona lo guardò dritto negli occhi e poi scandì lentamente: “Non credi che tua moglie preferirebbe averti accanto bagnato, ma vivo? Sempre senza parlare delle provviste che farebbero più comodo a Nayokka che nelle Grandi pianure.”
Il Nano si prese la testa tra le mani; era evidente che l’idea di tornare sul mare non gli piaceva per niente, ma era troppo intelligente per non capire che Jona aveva ragione.
“Veramente Troomsin lo farebbe?” Chiese alla fine.
“Penso di sì. Magari in cambio dei carri, o qualche altra cosa. Sono sicuro che un accordo lo troverete, se volete. Inoltre Troomsin mi deve qualche favore.”
“Ci devo pensare. Ora parliamo d’altro”, disse sollevando il boccale.
“Bene”, rispose Jona sollevando il suo, “ma ricordati che più aspettiamo e più rischiamo di trovare cattivo tempo.”
“Salute!”

Il patto

Burlock si presentò da Troomsin la mattina presto, accompagnato dai suoi due luogotenenti.
“Il Mago mi dice che hai un’offerta da farmi per il viaggio di ritorno”, disse senza alcun preambolo.

La trattativa fu breve.
Burlock sapeva che quella era l’unica possibilità seria di tornare a casa in tempo con la pelle intatta e Troomsin sapeva che approfittare troppo della situazione avrebbe significato inimicarsi i Nani che si diceva avessero la memoria lunga per i torti subiti.

La stima di Jona per quella razza crebbe di parecchi punti; non si era aspettato che riuscissero a superare la loro fobia per l’acqua così in fretta e si era disposto ad una lunga opera di convincimento.

Oltre ai carri i Nani versarono nelle casse di Troomsin un certo numero di monete d’oro, e ricevettero tutto lo stock di pesce conservato ancora invenduto. La nave con le ali sarebbe salpata al più presto per evitare le tempeste che presto si sarebbero abbattute sulla costa.

Nayokka

La prima parte del viaggio fu molto tranquilla e i Nani si trovarono a loro agio, sembrava avessero completamente dimenticato la loro paura per le onde.
Poi, dopo aver attraversato uno stretto canale, si trovarono a navigare in pieno oceano, non più protetti dalle grandi isole.
La nave correva sicura, ma doveva arrampicarsi su alte onde minacciose per poi precipitarsi nella valle successiva.

Jarril faceva del suo meglio per prendere le onde di tre-quarti, per rendere meno penoso l’andare, ma diversi Nani cominciarono a sentire i morsi del mal di mare e Jona fu costretto a intervenire per sedarli.

Burlock e qualcun altro, invece, sembravano avere lo stomaco di ferro e continuavano ad interessarsi di tutte le manovre, tanto che Jarril a un certo punto gli mise in mano il timone e si sedette su un rotolo di corda a fumare la sua pipa e fingendo di disinteressarsi completamente delle manovre.

Burlock rimase abbarbicato al timone e non lo lasciò più se non per brevi intervalli di riposo, inizialmente impacciato e preoccupato, ma prendendo via via confidenza.

La nave si scuoteva sotto le manovre troppo brusche del Nano e un paio di volte grosse ondate superarono la murata inzuppando quanti si trovavano sul ponte.

Jarril sapeva che non c’era vero pericolo e lasciava fare, pur continuando a controllare, senza darlo a vedere, la situazione.

Quando si infilarono nuovamente in un ampio canale protetto dalla terraferma Burlock aveva oramai capito le basi della navigazione e Jarril continuò a lasciargli la barra, dispensando consigli con aria distratta, anche quando il canale si fece angusto, fino a restringersi a poche centinaia di metri e furono costretti a bordeggiare stretto a causa del vento contrario.

Jona sapeva bene che, in quelle condizioni, i Viknuit avrebbero già tirato fuori i remi e ammainato le vele, ma i Nani sembravano ignorare quella possibilità e Jarril si divertiva a dar loro corda.

Finalmente apparve davanti a loro la città dei Nani.
Non sembrava una città e, se non fosse stato per i Nani, i Viknuit e Jona sarebbero certamente passati oltre con un pizzico di curiosità per quella montagna bianca e immacolata che sorgeva dal mare senza un filo di vegetazione e che scintillava al sole come un enorme iceberg.
Si diressero verso l’estremo sud di quella montagna, dove essa degradava bruscamente e si vedevano le prime costruzioni evidentemente artificiali: tre immensi ponti della stessa roccia bianca che passavano i larghi canali che separavano la montagna dalle terre che la circondavano, la grande piazza circolare su cui arrivavano i ponti e su cui si apriva la gigantesca porta nel fianco della montagna.

Jona faceva fatica a valutare esattamente le proporzioni di quelle strutture.
Avvicinandosi i particolari, prima nascosti da tutto quel candido fulgore, cominciarono a manifestarsi.
Per prima cosa i Nani con i loro carri, puntini colorati nel bianco.
Improvvisamente le dimensioni divennero chiare: i ponti erano tutti più lunghi di un chilometro e larghi diverse decine di metri; campate uniche senza sostegni visibili si stendevano con un arco leggero fra le sponde.
La piazza era un cerchio spoglio a ridosso dei contrafforti del monte dove si apriva la porta attraverso la quale la più grande nave Viknuit sarebbe potuta passare a vele spiegate senza il minimo rischio di toccare i battenti o l’architrave.

Burlock attese pazientemente che i suoi compagni di viaggio digerissero la portata di quello che avevano davanti agli occhi, poi disse semplicemente: “Benvenuti a Nayokka.”

Attorno alla grande piazza sopraelevata si stendeva una spiaggia di sabbia bianchissima, l’unico punto dov’era possibile prender terra.

Mentre si dirigevano lì notarono una certa animazione nella piazza e Burlock mandò uno dei suoi a prua a urlare qualcosa che l’Amuleto non si curò di tradurre.

Un drappello di Nani uscì di corsa dalle grandi porte che cominciavano a chiudersi mentre la piazza si svuotava e tutti si affrettavano all’interno.

Le ante si chiusero proprio mentre la nave, ammainate le vele, andava ad arenarsi sulla spiaggia.

Il drappello di Nani che aveva nel frattempo raggiunto la spiaggia era armato di tutto punto e aveva formato un doppio cordone tra loro e la piazza.
Le pesanti balestre, pronte a lanciare i loro micidiali quadrelli, sembravano nient’affatto amichevoli.
Burlock saltò a terra mentre tutti gli altri, Nani, Viknuit e Jona, rimanevano fermi come statue.

Confabularono a lungo, poi Burlock si arrampicò nuovamente a bordo: “Rimanete sulla nave, non siamo abituati a vedere navi, da queste parti e la cosa rende nervosi. Io vado a parlare con il Martello. Tornerò presto.”
Detto questo scese di nuovo con i suoi compagni e si diressero verso le porte.

La guardia dei Nani sulla spiaggia si rilassò un poco, le balestre non erano più puntate verso la nave, ma rimanevano cariche e pronte.

“Il Martello?” chiese Jona all’Amuleto mentre seguiva con l’Occhio di Lince il procedere di Burlock e dei suoi.

Così avvenne, ma per la visita dovettero aspettare molto di più di quanto pensassero; era oramai sera quando il portale si schiuse per lasciar passare una fila di carri e di Nani che si diressero verso la spiaggia.

La guardia si era già premurata di trasportare dei grossi bracieri di ghisa nei quali avevano acceso fuochi per riscaldarsi e illuminare.

“Ci scusiamo per il ritardo,” disse l’Incudine rivolgendosi direttamente a Jona, “ma le tracce dei tuoi incantesimi erano forti e i nostri maghi hanno voluto essere sicuri di quel che avevi fatto ai nostri fratelli. Nulla di tutto questo è mai successo prima.”
“Capisco perfettamente”, rispose Jona, poi, rivolgendosi direttamente ai due Nani coperti da una lunga tunica gialla che lo seguivano, aggiunse: “Sono pronto a rispondere alle vostre domande.”
“Più tardi, fratello”, rispose uno di loro, “per ora ci basta vedere che non hai intenzione di nuocere.”

Le Porte

L’Incudine, Jona e i due Maghi che lo avevano interrogato si incamminarono verso Nayokka mentre alle loro spalle cominciavano le operazioni di scarico.

La sabbia scricchiolava stranamente sotto le suole e la stretta scala che portava alla piazza sembrava tagliata in un unico blocco di roccia. La superficie era liscia e traslucida; ricordava qualcosa: “Vetro?” Chiese all’Amuleto.
“Esatto. Come l’hai riconosciuto?”
“Assomigliava a quello che ho visto nei Monasteri.”
“In realtà questo è un po’ diverso; l’intera montagna è fatta di schiuma di vetro.”
“L’hanno fatta loro?” Jona era sbalordito.
“No”, rispose pacato l’Amuleto, “ma non è nemmeno naturale, ovviamente.”

La piazza era oramai deserta e non offriva agganci per comprenderne le reali dimensioni, tanto che le porte, dall’altra parte, sembravano vicine.
Avanzando, però, le proporzioni cambiavano e le porte diventavano sempre più lontane ed enormi.

Arrivarono che il cielo era oramai cosparso di stelle, guidati dalla fioca luminosità che emanava dalla montagna.
I Nani, che avevano una visione notturna molto migliore degli Umani, sembravano completamente a proprio agio, mentre Jona faticava a distinguere qualcosa; solo il fatto che la piazza era assolutamente piana gli permetteva di camminare spedito dietro i Nani.

Entrarono da una porta laterale, percorsero un corridoio angusto e tortuoso nel quale Jona avrebbe potuto toccare agevolmente il soffitto, ma che lasciava ampio spazio sopra la testa dei Nani e si trovarono nuovamente nell’ampio vialone all’interno delle porte.

La luce era fioca e verdastra e sembrava provenire direttamente dalle pareti tagliate nella roccia viva.

“Questa roccia assorbe la luce del giorno e la accumula facendola penetrare fin nei luoghi più reconditi”, gli spiegò uno dei Maghi, poi, vedendo che Jona stava per usare l’Amuleto, aggiunse: “Ti prego di non farlo. Noi abbiamo una visione notturna molto migliore di voi. Questa luce ci è più che sufficiente, se lanci un incantesimo di illuminazione accecherai tutti.”

Jona continuò a camminare in quella penombra. Il tunnel che stavano percorrendo era immenso, proporzionato alle porte e sui lati si aprivano corridoi secondari più stretti, ma che avrebbero consentito il passaggio di più carri affiancati.

Si vedevano dei Nani in giro, ma le proporzioni dei corridoi erano talmente enormi che sembravano quasi deserti.

Dopo poco imboccarono un passaggio laterale più stretto, ma sempre con il soffitto molte decine di metri sopra le loro teste.
Vedendo che Jona continuava a guardare in alto e di lato, uno dei due maghi si decise a spiegare: “Questi corridoi, oltre che al passaggio, servono anche a dare aria alle case. Quelle aperture che vedi ai lati sono finestre, mentre quei fori ad intervalli regolari portano l’aria alla superficie.”
“Ecco, siamo arrivati. Tu sarai mio ospite questa notte. Domani potrai incontrare il Martello.”

Si erano fermati davanti ad un portone incastrato nella roccia viva.
Il mago azionò un complicato chiavistello ed entrarono.

Erano in un ampio ingresso sul quale si aprivano parecchie porte, il Nano le ignorò e si diresse deciso verso un piccolo stanzino dal soffitto basso illuminato da un globo arancione che contrastava con la luminosità verdastra della roccia.
Non appena Jona fu nello stanzino assieme al Nano questi armeggiò con alcune leve e lo stanzino cominciò bruscamente a muoversi verso l’alto.

Il Nano era rilassato e anche Jona si costrinse, nonostante la sorpresa, a rimanere fermo mentre lo stanzino, che evidentemente era una specie di scatola artificiale, si infilava in quello che doveva essere un tunnel verticale.

“Le nostre case sono alte anche parecchie decine di metri. Gli ascensori sono più comodi che fare le scale, non trovi?”
Jona non sapeva esattamente cosa fossero gli ascensori, anche se cominciava a intuirlo. Stava per far domande quando l’ingresso dell’ascensore arrivò in corrispondenza di un’altra apertura, Il Nano azionò di nuovo le leve e l’ascensore si fermò.

“Sei tu, caro?” chiese una voce chiaramente femminile.
“Sì”, rispose il Nano, “ho qui con me l’ospite.” Il tono era formale e Jona si irrigidì lievemente.

Apparve una Nana di mezz’età che aveva appeso al collo un Amuleto di Palla.
Lo guardò con occhi curiosi, poi congiunse i pugni nel segno di saluto: “Tu sia benvenuto nella nostra casa; io sono Berlinda e mio marito, che sicuramente ha dimenticato di presentarsi, è Turon.”
Jona rispose al gesto di saluto: “Io sono Jona di Tigu. Vi ringrazio per la vostra ospitalità.”

Central Park

Jona rimase ospite di Berlinda e Turon non solo fino alla mattina successiva, come aveva sperato, ma per molto più tempo, quasi una settimana.

Non rimase mai da solo, tranne che nelle ore di sonno, e nessuno dei suoi “ospiti” si allontanò mai dal piccolo appartamento.

La comunità dei Nani di Nayokka era stata fondata circa cinquecento anni prima, a quanto pareva direttamente da Festo stesso che aveva costruito personalmente la montagna, la piazza, i ponti, il parco e un piccolo nucleo di case che si affacciavano sulla Larga: la strada, lunga più di sei chilometri, che dalle porte conduceva direttamente al Parco.
Quasi tutte le diramazioni laterali erano state, invece, scavate dai Nani, mano a mano che ne cresceva il numero e le necessità.
Come Jona aveva sospettato la roccia era costituita da una schiuma di vetro leggera, ma molto resistente, che i Nani scavavano agevolmente e poi rendevano liscia fondendo la superficie e vetrificandola a fuoco.
La roccia era attraversata da vene di una sostanza chimica che immagazzinava la luce e rimandava quella fosforescenza verde. Queste vene erano molto più frequenti lì, vicino alle porte, che nelle parti interne, per questo i Nani avevano dovuto sviluppare i globi luminosi arancioni.

Jona sapeva già che i Nani erano dei meccanici eccellenti, quello che imparò in quella settimana di convivenza forzata fu il loro amore viscerale per i congegni complicati. Qualunque cosa, compresi i fermagli che tenevano uniti i vestiti erano complicati e ognuno un pezzo unico, differente da tutti gli altri. Imparare ad aprire il rubinetto dell’acqua fu quasi come imparare a scassinare una serratura.

Finalmente, quando già cominciava a chiedersi se il suo isolamento sarebbe durato fino a primavera, gli venne comunicato che il Martello l’avrebbe ricevuto dopo pranzo.

Scesero tutti e tre con l’ascensore. Jona cercò di capire come funzionava, ma Turon fece in modo da frapporsi fra l’ospite e le leve che azionava. Poi salirono su uno strano carro che camminava su rotaie, trascinato da un complesso sistema di cavi metallici.
Le pareti della Larga sfrecciavano ai lati come se fosse stato su un cavallo lanciato ad un galoppo sfrenato, ma il carro procedeva quasi senza scosse e con un sonoro ronzio,

“Attento alla luce; proteggiti gli occhi”, disse Turon mentre si riparava la vista con una mano sugli occhi.
Jona l’imitò prontamente e le sue palpebre chiuse vennero colpite da una luminosità bianchissima.

Quando si fu riabituato, dopo giorni di penombra, pensò di essere all’aperto sotto un sole cocente, poi, mano a mano che riusciva a mettere meglio a fuoco, si rese conto di essere ancora nelle viscere della montagna, in una specie di enorme serra, larga circa un chilometro e molto più lunga, con le pareti di roccia vetrosa e un tetto trasparente con archi a sesto acuto che si perdevano nel cielo.
“Questa è opera di Festo”, gli comunicò Berlinda dopo avergli lasciato il tempo di capire quel che aveva davanti agli occhi.

Il carro continuò a correre lungo una parete che sembrava un’enorme falesia che racchiudeva una valle fertile.
Turon azionò dei comandi e il carro cominciò a rallentare lasciando il binario principale per arrivare poi a fermarsi dietro ad altri carri uguali.
Scesero e Jona si trovò davanti ad uno strano palazzo di pietra e mattoni completamente incastonato nella roccia.
Era in perfette condizioni, ma sembrava molto più vecchio della falesia che lo inglobava. Non fece a tempo a fare altre osservazioni, perché le sue guide entrarono e lui fu costretto a seguirle.

Salirono uno scalone di marmo e, dopo una brevissima attesa, furono introdotti alla presenza del Martello.
Come tutti i Nani anche il Martello era di poche parole e andava dritto alla questione:
“Che dobbiamo fare di te, Jona di Tigu? I nostri Maghi non sono riusciti a disfare il tuo incantesimo. Burlock e alcuni dei suoi compagni sono stati cambiati per sempre, o almeno così pare.”
Jona si guardò intorno e vide facce severe. Troppe.
Mormorò poche parole all’Amuleto, poi si rivolse direttamente al Martello: “Posso cercare di disfare io stesso l’incantesimo, se Burlock vuole.”
Turon si era fatto attentissimo e stava comunicando con il suo Amuleto: “Sei sicuro di riuscirci?” Chiese.
“No, ma posso provare. Potete controllare quello che farò e sono disponibile a spiegarvi in anticipo quel che intendo fare. Non avevo mai usato questo tipo di incantesimo prima”, rispose Jona mentre Turon scambiava rapide frasi sia con il Martello che con l’Incudine.
Turon si ritirò ed il Martello guardò l’Incudine che diede un cenno di assenso quasi impercettibile.
Il Martello calò con forza il pesante martello che aveva in mano sull’incudine che aveva a fianco; ne uscì una nota metallica che risuonò a lungo nel salone: “Sia fatto.”
“Saremo nella saletta superiore”, disse Turon all’Incudine mentre usciva con Jona, Berlinda e altri due Maghi.

Salirono un’altra rampa di scale e si trovarono in un grande salotto con tre alte finestre che si affacciavano sul parco.
Presero posto attorno al largo tavolo ovale e attesero tranquillamente.
Poco dopo arrivò Burlock, salutò i presenti e prese posto vicino a Jona.
Pochi minuti dopo arrivarono anche il Martello e l’Incudine che si sedettero ai due capi del tavolo, fecero girare lo sguardo intorno per assicurarsi che tutti fossero presenti, si scambiarono il solito cenno d’intesa e quindi il Martello chiese guardando Jona dritto negli occhi: “Spero che tu abbia un buon motivo per aver chiesto questa riunione privata. Si tratta di una procedura inconsueta.”

Inutile tergiversare; speriamo che questi Nani siano davvero pragmatici come sembrano; dopotutto hanno acconsentito ad una riunione ristretta, pensò Jona mentre cercava di rilassarsi sulla poltroncina troppo bassa per lui.
Strano, gli venne in mente, la stanza e le finestre sembrano troppo grandi per i Nani, forse troppo grandi anche per gli Umani, la mobilia era, invece, evidentemente a taglia di Nano.

“Non credo di poter far ritornare “normale” Burlock; non senza distruggere una parte della sua mente. Non vorrei essere costretto a provare”, disse con voce ferma.
Diversi dei presenti aprirono la bocca per parlare, ma Jona li bloccò alzando la mano: “Lasciatemi finire, per favore.”
“Come ho detto anche a loro, ho scoperto che l’avversione dei Nani per il mare è legata essenzialmente al movimento che genera in voi uno spiacevole senso di disorientamento. Il senso di disorientamento non posso cambiarlo, quello che ho fatto è cercare di renderlo piacevole associandolo alle cure materne. Questo può essere disfatto con un incantesimo di cancellazione della memoria molto mirato. Posso far vedere a Turon o a qualcun altro come fare o farlo io personalmente.”

Jona fece una breve pausa.
C’era dell’altro; lo sapevano benissimo tutti e attesero cortesemente che lui proseguisse: “Ci sono due problemi: Burlock e qualcuno dei suoi compagni hanno approfittato di questa condizione per fare delle esperienze di navigazione e hanno imparato molte cose. Oramai trovano piacevole la navigazione. Cancellare tutto quello che hanno imparato non è più possibile. Rendergliela spiacevole sarebbe, a mio avviso, una vera cattiveria.”

“E il secondo problema?” chiese il Martello quando Jona si interruppe guardandolo fisso.
“Il secondo problema, non è un vero problema, almeno non per me.”
“Penso che tutta Nayokka avrebbe un vantaggio ad avere almeno alcuni Nani in grado di viaggiare per mare. Andare al Gran Mercato, per esempio, sarebbe molto più agevole e sicuro.”

“Capiamo”, disse il Martello alzandosi all’unisono con l’Incudine, “Apprezzo la tua discrezione, Jona di Tigu. Dobbiamo riflettere. Vogliamo che i nostri Maghi siano in grado di fare e disfare quell’incantesimo.”

Jona chinò il capo e disse due parole all’Amuleto che brillò per un attimo: “Il mio Amuleto ha trasmesso a quello di Turon tutti i particolari.”

“Bene. Sei il benvenuto a Nayokka. Speriamo che ti trovi bene con noi e che tu ci avverta prima di ripartire.”

Ipno

Era passato quasi un mese da quel primo incontro con il Martello e Jona godeva di una completa libertà, ma cominciava ad annoiarsi.
Non aveva la passione per la meccanica di precisione e non riusciva ad entusiasmarsi per i complessi meccanismi che sapevano costruire.
Era debitamente impressionato dall’abilità con cui riuscivano a forgiare sia grandi strutture metalliche che piccoli particolari che sembravano inadatti alle loro mani, grosse e potenti, ma dotate anche di una squisita delicatezza, quando era necessario, ma non riusciva ad interessarsene più di tanto. Sicuramente un suo difetto, pensò.

Aveva, comunque, la sua personalissima biblioteca e presto prese l’abitudine di trascorrere le sue giornate al Parco, dove la luce, nonostante il brutto tempo, era molto migliore della penombra che i Nani amavano tanto.
Aveva anche ottenuto il permesso di trasferirsi in una delle case incastonate nella roccia ai bordi del Parco.

Seduto nel suo nuovo studio, accanto all’alta finestra si godeva la luce che penetrava dalle alte volte semitrasparenti che chiudevano il cielo del Parco.

I mobili erano uno strano miscuglio: letto, sedie e tavolo erano nuovi fiammanti e fatti appositamente per lui da Burlock e da sua moglie che intendevano ripagare — parzialmente, come ci tenevano a sottolineare — il debito di gratitudine contratto, mentre tutto il resto proveniva da qualche altra casa ed era quindi a misura di Nano.

In realtà, meditò oziosamente, i nuovi mobili si adattavano alle stanze molto meglio di quelli vecchi. Chissà perché Festo — i Nani erano stati chiarissimi su questo: tutta la zona del Parco e le case attorno, soprattutto quelle incastonate nella roccia le aveva fatte Festo in persona — le aveva fatte così. Raramente Festo faceva qualcosa senza un motivo preciso, come tutti gli Dei, del resto.

La noia agì per lui. Quasi prima di rendersene conto aveva evocato Festo che ora era lì, davanti a lui. Cominciava a sorgergli il dubbio che evocare un Dio per una curiosità cosi insignificante poteva non essere esattamente una buona idea, ma oramai la domanda doveva essere fatta.
La risposta, però lo lasciò interdetto: “Non credo di poterti aiutare, Jona. Queste case non le ho costruite io.
Ma i Nani dicono che hai costruito personalmente tutta la Montagna di Nayokka!
Vero, ma non anche tutto quello che c’è sotto. Oltre quello che ho fatto io ci sono alcune cose costruite dai Nani e altre ancora sono opera di Altri.
Detto questo Festo sparì di improvvisamente e Jona rimase a lungo a rimuginare, poi raccattò il suo Amuleto e andò a fare una lunga passeggiata intorno al Parco.

Passò diversi giorni a ispezionare le case incastonate nella roccia durante le corte giornate invernali e lunghe ore di buio a studiare, soprattutto tecniche di costruzione e petrografia.

Non parlava con nessuno, nemmeno con l’Amuleto che, dal canto suo, non fece domande ed eseguì tutte le rilevazioni e le analisi che Jona gli chiedeva senza offrire consigli.

Era notte fonda quando guardò con disgusto i fogli scribacchiati che avevano riempito il tavolo. Questo era il meglio che poteva fare. Non aveva senso aspettare oltre.

“Registra accuratamente tutto quello che succede; temo che dovrò rivedere parecchie volte prima di capire; stavolta è meglio lasciar fuori Serna”, ordinò all’Amuleto, poi iniziò le invocazioni per evocare Ipno.

Tsk, tsk. Il nostro buon Mago ha una pessima cera. Non sono Asclep, ma temo proprio che tu stia dormendo troppo poco. Dovresti stare più attento alla tua salute, non sei più un ragazzino, sai?
“Ragione di più per non sprecare il tempo che mi resta, credo.”
Tsk, tsk. Ragione di più per non accorciarlo, mi pare. Comunque il tempo è tuo.
“Ricorderò il tuo consiglio. Devo chiederti una cosa.”
Oh, questa non me l’aspettavo veramente. Pensavo mi avessi chiamato per fare due chiacchiere!
Jona sentì le orecchie diventar rosse, ma fece del suo meglio per ignorarle: “Mi hai detto che ricordi il tempo quando gli Dei non esistevano ancora. Ricordo bene?”
Tsk, tsk. Chiedi al Dio dell’Oblio se tu Ricordi?
“E a chi dovrei chiederlo, se no? Sei stato tu ad insegnarmi che Ricordo ed Oblio sono due facce della medesima medaglia.”
Giusto. Ricordi bene. Posso andare ora?
“Posso sapere quanto tempo fa siete nati?”
Nessuno degli Dei è mai nato”, rispose Ipno con un tono grave che mal gli si addiceva, poi sorrise e gli fece l’occhiolino, “ma proprio dopodomani cade il mio 2813° compleanno.
“Dopodomani?”
Già. Il 25 Dicembre.
Jona ci mise un po’ per assorbire l’informazione, Ipno ne approfittò per scomparire.

“Vuoi rivedere la scena?”

Isto

Era una bella mattina piena di sole e il Parco era luminoso e caldo.
Jona era su una spianata, sostenuta da contrafforti di blocchi di arenaria, dalla quale si dominava buona parte del Parco.
Era seduto su una panca di pietra, apparentemente rilassato al sole.
Davanti a lui l’immagine di Isto si era appena materializzata. Il Dio aveva risposto, come spesso faceva, al suo appello.

“Prima di tutto volevo farti gli auguri di Buon Compleanno”, disse il Mago, ben sapendo che cercare di ingannare un Dio era fatica sprecata.

“Ho fatto un po’ di ricerche sui palazzi incastonati nella roccia.”
Isto non fece una piega e attese che Jona proseguisse.
“Sono strani. Sembrano fatti a misura di uomini e non di Nani, sono anche in perfette condizioni, ma non sembrano nuovi, sembrano aggiustati. Alcune parti sono evidentemente rifatte, ma altre no.”

Jona agitò una mano come per fermare il Dio: “Non è questo che mi turba. Sono le parti non restaurate che non capisco. Le pietre che tengono questa spianata, per esempio”, indicò i blocchi corrosi dal tempo: “sembra che siano stati cavati dalla terra circa tremila anni fa.”

Jona prese un lungo respiro: “Quindi 206 anni prima che Voi nasceste.”
Il Dio lo guardò con aria severa:
“Ma le tue leggende dicono che furono gli Dei ad allevare i primi uomini!” Sapeva bene che contraddire un Dio non era la cosa più intelligente da fare, ma la frase uscì così, brutta e accusatoria.

Il viso di Isto si fece ancora più severo:

La voce del Dio aveva una strana forza e Jona, senza pensare, cominciò a declamare nella lingua di Ligu. Sentiva uno strano sdoppiamento, come se non fosse stato lui a parlare, ma qualcun altro, con una voce molto più giovane della sua:

In quel tempo non c’erano uomini sulla Terra; solo piante e animali.
Festo aveva costruito le montagne e i suoi fiumi le scolpivano.
Asclep curava le piante e le faceva crescere rigogliose a coprire la nuda terra.
Festo era contento perché le piante proteggevano le montagne.
Opia mandava i suoi animali a pascersi delle piante migliori.
Asclep si lamentò con Dana perché gli animali stavano distruggendo tutte le piante.
Dana mandò allora i suoi animali cacciatori per mettere un freno ai mangiatori di piante.
Posse non si interessava a quel che succedeva sulla terra perché il suo regno è l’acqua.
Zeo era contento perché nei boschi trovavano rifugio gli uccelli che popolavano il cielo.
Thano regnava su tutti eliminando i deboli e poi anche i forti.
Solo Afro soffriva perché le mancava qualcosa.
Vedendola triste Ipno le mandò un sogno.
Afro sognò uomini e donne che popolavano la terra.
Afro seppe che così doveva essere.
Si rivolse a Palla per avere consiglio.
Palla la ascoltò e capì che tutti gli dei dovevano cooperare per popolare la terra.
Festo indicò il posto.
Asclep preparò le piante da cui nacquero gli Uomini.
Opia li nutrì con il latte dei suoi animali.
Dana li svezzò con la carne.
Posse fornì i pesci per farli crescere dritti.
Zeo diede loro l’orizzonte lontano verso cui guardare.
Ipno mandò loro i sogni che vanno oltre l’orizzonte.
Afro li amò e insegnò loro ad amare.
Palla regalò loro la curiosità intelligente.
Thano gli ricorderà sempre l’umiltà.

Isto rimase silenzioso.
“Ipno mi ha detto che ricorda cose che erano prima che gli Dei esistessero.”
Isto annuì.
“Quindi Ipno ricordava un tempo nel quale c’erano Uomini sulla terra. La Storia dice solo che non c’erano “a quel tempo”.”
Isto si limitò ad un vago sorriso.
“Dove sono andati quegli uomini? Chi erano?”

Non sapeva cosa rispondere: era la prima volta che il Dio gli faceva una domanda simile. Da sempre aveva considerato la conoscenza come la sua compagna ed amica.

“Non credo che mi sia possibile tornare indietro neppure ora. Anche se non fosse la mia curiosità a spingermi ci penserebbe Thano.”

Al bordo del suo Amuleto era apparsa una piccola stella viola che indicava una direzione precisa. Un’altra Bussola?

Serna

Serna era lontana da casa.
In quella strana terra oltre il mare del sud.
Jona discusse a lungo con lei le parole di Isto, ma, per qualche motivo, non riuscì a parlarle di quegli umani che esistevano da prima degli Dei.
Lei, pratica come al suo solito, andò dritta alle conclusioni: “Credo che Isto ti abbia avvertito che, se seguirai il suo cammino ti troverai tagliato fuori da tutto quello che conosci, almeno per un po’. Può essere che non riusciamo neppure a comunicare. Fuori da Nayokka fa un freddo cane; non sarebbe meglio aspettare la primavera? Almeno qui fa caldo, molto più che a casa.”
“Qui fuori, invece, è tutto bianco. devono esserci almeno tre metri di neve, ma non posso aspettare troppo. Ho già visto che la stella sta lentamente sbiadendo. Tra non molto non sarà più visibile. Non ho tempo da perdere.”
“Tre metri di neve? Pensaci bene. Non avrai molte possibilità di sopravvivere. Niente fuoco, niente cibo. Qualcosa non quadra.”
“Esatto. Non ha senso che Isto voglia semplicemente farmi morire congelato.”

“No. Non può essere quello. In realtà non mi ha detto che avrei dovuto andare a girovagare nella neve.”
“Se mi hai riferito bene, però, ha detto abbastanza chiaramente che, da un certo punto, non ti sarà più possibile tornare indietro. Se hai dimenticato qualcosa dovrai farne senza.”
“Questo è anche quello che ho capito io.”
Serna sparì un momento: “Zeo mi dice che quest’inverno è particolarmente rigido e che la neve, lì vicino al mare, durerà fino a metà febbraio.”
“Un mese e mezzo. Temevo peggio. Posso portarmi cibo per un paio di mesi, se sto attento. Il problema potrebbe essere il freddo, ma i vestiti che sono andati bene l’inverno scorso dovrebbero bastare anche qui.”
“Insomma: sei deciso ad andare.”
“Non posso fare altrimenti. Lo sai anche tu.”
“Sì, lo so anche io, ma non sono per niente tranquilla. Vorrei tanto poter parlare con Marlo.”
“Non credo sia una buona idea. Ho l’impressione che Isto non volesse far sapere dove mi vuole mandare. Forse ho fatto male anche a parlare con te.”
“Papà!” Serna era esterrefatta: suo padre non aveva mai avuto segreti per lei

Il Museo

Era notte fonda quando Jona, con in spalla uno zaino molto più pesante di quel che avrebbe voluto, attraversò il Parco seguendo la stellina viola che gli indicava la via.
Era buio pesto. In quella parte non c’erano vene di fluorescenza e lui non aveva la visione notturna dei Nani.
Intorno non si vedeva nessuno.
All’improvviso di trovò di fronte il muro verticale che chiudeva il Parco. Si fermò di colpo per evitare di finirci contro.
La stellina di Isto puntava dritta verso la roccia.
Allungò una mano per toccarla, ma la roccia si ritirò.
Fece un passo in avanti e la roccia ne fece uno indietro.
Oramai era in una specie di stretto tunnel poco più grande di lui.
Toccò il soffitto che era un palmo sopra la sua testa e quello rimase dov’era.
Si girò verso il parco. Vedeva solo un ovale più chiaro qualche metro dietro di lui.
A questa esitazione la roccia davanti a lui sembrò venire in avanti. Jona si chiese come faceva a saperlo, visto che oramai era solo nero su nero.
Riprese a camminare e la roccia continuò a fargli spazio.
La stellina puntò alla sua sinistra e Jona fece un passo in quella direzione.
Lo spostamento d’aria lo informò che la roccia era tornata a occupare il tunnel che lui aveva appena percorso.
Quel passo laterale era stato “il passo che l’aveva portato lontano”.

“Lux Zei!” Non aveva senso proseguire a tentoni ora che era tagliato fuori dal mondo dei Nani.

Si trovava in un’immensa caverna la cui volta si indovinava nel buio sopra di lui. Un palazzo polveroso occupava quasi tutta la caverna.
Davanti a lui una scalinata saliva fino ad un immenso arco circondato da quattro colonne.

Il sotterraneo

Il palazzo era veramente enorme, riempiva quasi completamente la caverna, o, meglio, la caverna era stata costruita per inglobarlo. A differenza delle altre case incastonate nella roccia questo non toccava mai le pareti e, anzi, ne rimaneva ben distante anche se le proporzioni di quell’edificio davano l’impressione di riempire tutto lo spazio disponibile.

Jona appoggiò lo zaino per terra, sul primo gradino che portava verso quell’enorme ingresso, grande quasi quanto i portali di Nayokka.
Facendosi luce con l’Amuleto, come al solito appollaiato in cima al suo lungo bastone, cominciò un lento giro attorno al palazzo.
C’erano diversi ingressi, tutt’intorno, ma non era quello che interessava il Mago, per ora; lui guardava la parete rocciosa in cerca di un’uscita.
Non ce n’era nemmeno una.
L’unico punto in cui la roccia non era assolutamente compatta era il cunicolo da cui era entrato, ma non pareva esserci modo di smuovere quel cilindro che ostruiva il tunnel.
Provò anche a vibrare un colpo con la punta ferrata del suo bastone, ma l’unico risultato che ottenne fu un contraccolpo che gli fece battere i denti e dolere la pelle della mano.

“Cosa ti aspettavi di trovare?” Gli chiese l’Amuleto quando giunse di nuovo dove aveva lasciato lo zaino.
“Nulla, naturalmente, ma dovevo lo stesso essere sicuro di non aver tralasciato nulla. Ora so per certo che l’uscita, se esiste, è lì dentro.”

Raccolse lo zaino e salì verso il portone. In realtà sotto l’immenso arco non c’era una porta, ma un muro con un finestrone, in alto, e due porte di dimensioni quasi normali in basso.
Provò a spingere e la porta si aprì con solo un lieve cigolio di protesta di cardini disturbati.

Appena fu dentro, il palazzo prese vita. Le luci si accesero. Un sonoro ronzio sembrò percorrere l’intero edificio.

La mano del Mago corse alla porta che aveva appena passato, aspettandosi di trovarla bloccata, ma quella si aprì senza troppo sforzo. Era già abbastanza in trappola anche se poteva uscire dal palazzo.

Scosse la testa. Oramai doveva andare avanti. Ponti, alle spalle, non ce n’erano più.

Passò un androne sul quale si affacciavano molte porte e finestre scure e finì in un enorme salone dal quale partivano due scale che scendevano verso il basso.

“Se c’è una via d’uscita deve essere sotto”, disse, più per sé stesso che per l’Amuleto.

Mentre attraversava il salone non poté fare a meno di notare che le pareti erano praticamente coperte di cartelloni con scritte e figure di tutte le forme e dimensioni, ma si impose di non perdere tempo e li mise risolutamente fuori dal suo campo di attenzione.

Scelse la scala di destra e scese.
Arrivato in basso si trovò in quella che sembrava un refettorio, che gli ricordava quelli dei Monasteri, ma tutto era assolutamente strano. I tavoli erano tutti uguali e quasi senza caratteristiche che li distinguessero. Anche le sedie erano tutte in buone condizioni, identiche, disposte con cura e coperte da uno strato di polvere.

Le luci erano molto vive e illuminavano a giorno.
Quanta polvere! La sollevava ad ogni passo. Eppure era troppo poca. Qualcuno doveva manutenere questo posto, altrimenti con il tempo si sarebbe completamente distrutto. Più tardi! ora doveva trovare una via d’uscita.

“SUBWAY STATION” era scritto su un cartello a forma di freccia.
Sembrava una cosa interessante.
Si diresse da quella parte.

Praticamente sotto il portone che aveva attraversato poco prime ce n’era un altro, più basso, e non illuminato, ma largo e si intravedeva un ampio piazzale sotterraneo.

Stava per varcarlo quando si fermò di botto con i capelli che gli si rizzavano sulla nuca.
Le porte erano aperte, ma una vaga luminescenza rosso sangue non faceva presagire nulla di buono.

La familiare risata di Thano lo fece voltare.
Bravo il mio cercatore! Ti sei fermato appena a tempo.
“Un’altra delle tue trappole Thano? Stavolta c’è mancato poco che ci cadessi, Evidentemente sto diventando davvero troppo vecchio per questo gioco.”

“Ma è di qui che devo uscire, vero?”
Sì. Non ci sono altre uscite praticabili.
“E cosa devo fare perché tu mi lasci passare?”
Sempre dritto al punto. Mi piace questo tuo modo di fare, ma stavolta è meglio che tu non abbia troppa fretta.
Jona non rispose.
Quello che devi fare è tornare qui e spiegarmi che posto è questo, chi lo ha costruito, quando e perché.
Jona continuò a tacere, mentre si concentrava sulla respirazione.
Thano cominciò a svanire lentamente, poi la sua immagine tornò solida: “Naturalmente devi fare tutto da solo, senza aiuti!
Detto questo sparì lasciando il suo ghigno a rimbombare nelle sale vuote.
L’Amuleto aveva perso completamente la sua aura rossa e aveva solo un leggero alone perfettamente giallo.
Jona non fu per niente stupito nello scoprire che il suo compagno di viaggio non abitava più nell’Amuleto, sostituito da un esecutore ancora più stupido di quello che lo aveva servito come mago per tanti anni.
Non sapeva neppure come collegarsi con Serna.

Una stanza lì vicino aveva un letto, un armadio e un tavolino. La elesse a sua base e cominciò a ripulirla dalla polvere.