Il Visir

Un picchetto d’onore di giannizzeri paludati di nero li venne a prendere con un interessante carro con due grandi ruote ed una bassa piattaforma con balaustra montata su cinghie.

Fermo salì per primo, seguito da Serna, splendida nella sua tunica gialla e circondata dalla lieve aura di Maga. Agio e due marinai armati fino ai denti completavano la delegazione.

L’apparizione di Serna provocò stupore e più di una guardia mormorò: “Djinn!”

Non appena il carro cominciò a muoversi, seguito dai giannizzeri a cavallo, la maga sussurrò all’Amuleto: “Che cos’è un “djinn”?”
Questo assunse una tonalità violacea mentre rispondeva:

Serna ci pensò su un attimo poi chiese: “Non capisco; che c’entro io con un Djinn?”
Nella voce si indovinava il sorriso indulgente di Isto:

Serna cominciava a capire: “Un po’ come gli Avatar degli Amuleti?”

Due pensieri fulminanti balzarono alla mente di Serna, senza che lei sapesse esattamente da dove arrivavano: “Qui i Sacerdoti non hanno Amuleti, vero? E poi: il nuovo Amuleto di papà, l’Amuleto di Thano, è un Djinn?”

L’aura viola scomparve e Serna rimase a rimuginare quelle parole fino a che non si fermarono davanti ad un muro spoglio con un gran portone di legno.

Il comandante picchiò tre volte con il pesante battacchio di bronzo e la porta venne aperta.

Serna non riuscì a trattenere un moto di stupore: attraversare il portone era come entrare in un altro mondo.
Le strade che avevano percorso dopo essere usciti dal porto erano tutte anonime, non particolarmente pulite, fiancheggiate da case imbiancate a calce con piccole finestre poste in alto e le avevano dato, in generale, una sensazione di squallore e trascuratezza.
All’interno del muro di cinta c’era un giardino fantastico che incantava gli occhi con una profusione di colori, nonostante si fosse ancora in pieno inverno. Il palazzo vero e proprio era una costruzione a due piani rivestita di lucide piastrelle sulle tonalità del giallo sormontata da una serie di piccole cupole di un turchese elettrico.

Percorsero lentamente un viale acciottolato con pietre di diverso colore che rappresentavano motivi geometrici che si intrecciavano senza ripetersi mai uguali.

Mentre entravano Serna mormorò a Fermo: “Non credo abbiano i Maghi, come li conosciamo noi, da queste parti. Pensano che io sia una specie di demonio che ti appartiene, in qualche modo. Stiamo al gioco.”

Il palazzo era sfarzoso quanto l’esterno e racchiudeva un altro giardino interno, del quale ebbero solo una fugace visione da una porta aperta da un servitore e subito richiusa. Vennero condotti in un appartamento al primo piano, le cui finestre si affacciavano tutte sul giardino esterno, verso la porta d’ingresso.
Le porte non avevano né serrature né chiavistelli, ma Serna non ebbe bisogno di chiedere conferma all’Amuleto per avere la certezza che quattro giannizzeri erano rimasti nel corridoio a controllare i loro movimenti.

L’appartamento era costituito da due parti ben distinte: la prima dedicata al servizio, dove si installarono Agio e i due marinai di guardia e una più riccamente ammobiliata evidentemente riservata al Duchino. Come pensassero dovesse alloggiare Serna, in qualità di Djinn non era chiaro, ma visto che i due condividevano il letto da parecchi mesi — fin da quando Fermo si era deciso a chiederla ufficialmente come sposa e lei aveva accettato — decisero di continuare così.

Il comandante dei giannizzeri fece gli onori di casa, spiegò loro le poche cose che c’erano da sapere, incluso l’uso di un cordone da tirare per richiedere l’intervento della servitù, poi li lasciò dicendo che sarebbe tornato a prenderli per la cena con il Visir.

Serna non faticò a scoprire, usando abilmente le capacità del suo Amuleto, che c’erano parecchie aperture fra i pesanti tendaggi dalle quali era possibile sentire ed osservare quasi tutto quel che succedeva nell’appartamento; in questo momento non c’era nessuno in ascolto, ma lei istruì l’Amuleto a sorvegliarle tutte e avvertire se qualcuno avesse cercato di usarle.

La cena fu un vero e proprio banchetto con l’evidente intento di stupire e mettere in soggezione i negoziatori che venivano da lontano, da una terra, in fondo, molto più grigia e spartana di quel palazzo fenarabo.
Fermo, comunque, era un mercante esperto e non si faceva impressionare facilmente, mentre Serna faceva del suo meglio per apparire molto più svampita e frivola di quanto non fosse realmente.

Ad un certo punto si accorse che il Duchino stava seguendo con eccessiva attenzione, almeno dal suo punto di vista, la danza di una baiadera il cui abitino era composto quasi esclusivamente da un gran numero di sonagli che faceva vibrare con grande maestria. Scoccò un sorriso al suo promesso chiedendogli con voce mielata: “Ti piace?”
Lui si limitò ad arrossire fino alla radice dei capelli, ma nessuno lo notò perché, con gesto plateale, la Maga fece saltare tutti i fermagli del vestito della sventurata danzatrice. Il costume esplose in uno scroscio di campanellini che rimbalzavano sui tappeti lasciandola completamente nuda.

Il Visir rise a quello spettacolo allentando la tensione che si era creata. Serna lo sentì distintamente dire al capo dei giannizzeri: “Avevo pensato di mandarla a rallegrare la notte del nostro ospite, ma forse è meglio di no.”

Terminato il banchetto i discorsi si fecero più pratici e cominciò la trattativa commerciale che, almeno di facciata, era il motivo della visita.
Fermo sapeva benissimo di dover essere paziente, le informazioni prese a Trina e i contatti diretti avuti con i commerciati che avevano là le loro botteghe gli avevano insegnato che cercare di affrettare una contrattazione con i fenarabi voleva inevitabilmente dire inimicarseli o fare un pessimo affare, spesso entrambe le cose allo stesso tempo.
Parlarono pertanto dei loro paesi, delle merci, delle manifatture, senza accennare minimamente al fatto che si pensava di poter commerciare.

Durante i complessi saluti alla fine della serata Fermo riuscì a sussurrare quasi all’orecchio del Visir: “Abbiamo un messaggio solo per le vostre orecchie”, mentre Serna faceva comparire, per un istante, l’immagine del naufrago.