La mattina dopo, alle prime luci dell’alba, sospinta dalla marea montante, la piccola nave si infilava in una delle bocche del fiume, un largo canale con rive distanti più di cento metri.
La costa era lussureggiante con alti alberi che arrivavano fin sull’acqua. Grandi uccelli bianchi con la testa — fornita di un lungo becco — e la coda neri nidificavano fra i rami.
La tensione era palpabile. Non potevano esserci errori di manovra.
Posse e Zeo erano favorevoli. Un leggero vento di Tramontana li spingeva contro la corrente fiaccata dalla marea.
Gli occhi di Agio, al timone, passavano dalle vele all’acqua alle immagini che Serna gli mostrava con la profondità delle acque.
Nel pomeriggio Serna, annoiata della navigazione tranquilla, si rese improvvisamente conto di aver fatto un errore: Agio era sicuramente il miglior timoniere, anche se il suo secondo, Mirko, era anche lui molto sveglio. Sarebbe stato meglio legare lui al Djinn, in modo da poter essere presenti entrambi nei momenti difficili che, lo sapeva, sarebbero sicuramente arrivati.
Provò a chiedere, pur sapendo bene quale sarebbe stata la risposta.
“Hai scelto. Capisco le tue ragioni, ma avresti dovuto essere meno precipitosa.”
Mandò Agio a riposare e, maledicendosi per la sua impazienza, si mise accanto a Mirko.
La notte passò tranquilla, mentre facevano turni di due ore.
Ai loro lati i vari bracci del grande delta continuavano a confluire e il Grande Fiume si faceva sempre più grande.
Era tarda mattina quando passarono l’ultima ramificazione; erano fuori dal delta e la corrente era vigorosa, ma il vento si manteneva favorevole.
Gli alberi cambiavano, ma i due muri di vegetazione, alti diverse decine di metri, rimanevano, impedendo loro la vista.
Serna sapeva, perché l’Occhio del Cielo lo mostrava chiaramente, che quello era solo un nastro relativamente sottile; solo pochi chilometri di verde lussureggiante, poi c’era il deserto.
Un giorno, dopo una settimana di navigazione, il muro di verde si interruppe bruscamente e il deserto, sotto forma di un’alta costa rocciosa che arrivava fin sulla riva, si presentò in tutto il suo abbacinante fulgore. Nonostante fosse ancora gennaio, il mese più freddo, si sentiva chiaramente che il sole arroventava senza pietà quelle pietre calcinate.
Sindehajad sparì sotto coperta come un lampo e ritornò tenendo in mano un lungo arco ricurvo e una freccia.
Agio stava tenendo la nave lì dove l’acqua era più profonda, proprio vicino alla ripa rocciosa.
La freccia partì sibilando e scintillò stranamente al sole, prima di sparire fra le rocce.
Serna era infuriata, più per il fatto di essere stata presa in contropiede che per altro; dopotutto le acque erano rimaste tranquille e il cielo non dava segni di voler crollare sulla loro testa. Anche l’Amuleto confermava che gli Dei non si interessavano a loro, almeno in apparenza.
“E che favore sarebbe, di grazia?” Chiese acida.
“Il Sultano voleva sbarazzarsi del Djinn che lo aveva servito così bene negli ultimi tempi. La Lampada era legata alla punta della freccia.”
Serna rimase prima attonita, poi scoppiò in una fragorosa risata.
“Bellissimo! Così dovrà aspettare che gli Dei decidano di togliere la proibizione all’intero continente, prima di avere qualcun altro da turlupinare. Si sentirà ben solo quando riuscirà a guardar fuori dalla sua lampada”, disse quando riuscì a riprendere fiato, “di chi è stata l’idea? Non credo che il Sultano abbia abbastanza fantasia per un tiro simile.”