Verso Washington D.C.

Il boschetto di agrumi era composto, per la maggior parte da arance amare e cedri pressoché immangiabili, ma i due aranci dolci che trovò avevano ancora abbastanza frutti da riempire lo zaino, dopo aver riempito lo stomaco.

Passò a rispettosa distanza dal branco di una ventina di giganteschi diplodochi che non sembrarono accorgersi della sua presenza e continuarono a brucare metodicamente le foglie degli alberi muovendo solo il lungo collo.

La sera cercava un rifugio sulle biforcazioni delle grandi querce che costituivano buona parte della vegetazione, ben sapendo che nessuno degli animali che frequentavano quella parte del mondo era in grado di arrampicarsi.

Naturalmente i diplodochi non avevano nessun bisogno di arrampicarsi, per raggiungerlo, ma non ne avevano neppure il motivo e poi si spostavano lentamente spogliando metodicamente gli alberi dalle loro tenere foglie primaverili.

Durante le lunghe ore di cammino Jona e l’Amuleto parlavano incessantemente degli argomenti più vari, guidati dall’innata curiosità del Mago che, pur essendo oramai bisnonno, conservava gelosamente l’ingenuità di un bambino.

“Se ricordo bene l’enciclopedia diceva che quasi tutti questi erbivori si nutrivano di felci e di equiseti, che qui non vedo.”
“Vero. A quanto mi risulta alcuni di essi si sono estinti proprio perché le piante che mangiavano sono diventate rare. Non conosco i particolari, ma credo che Dana abbia fatto qualche cambiamento.”
“Magari, già che c’era li ha anche resi un po’ più intelligenti? Ho letto che erano veramente stupidi.”
“Non credo che la Dea si sia avventurata in quel territorio. Non è facile. Hai mai pensato, seriamente, a che cosa significa modificare un animale?”
“Che vuoi dire? Per cambiare un animale o una pianta basta modificare il suo codice genetico. Gli Elfi lo fanno tutti i giorni, Asclep permettendo.”
“Come pensavo. Non ci hai mai pensato davvero.”

Jona guardò l’Amuleto abbastanza stizzito; va bene che non ne sapeva quanto gli Elfi, ma di biologia e genetica aveva qualcosa di più di un’infarinatura, e ne andava orgoglioso: “Nei cromosomi, codificati con le triplette di basi, ci sono informazioni per costruire tutto l’organismo. Su questo Asclep è stato molto chiaro.”
“Sì, ma stai semplificando talmente che ti perdi i punti essenziali.”
“Che sarebbero?”
“Che cosa codificano, esattamente, la sequenze di basi?”
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda!”
“Beh, visto che stiamo facendo i Peripatetici tanto vale che usiamo anche il metodo socratico, non ti pare?”
“Peripatetici? Metodo socratico? Di che stai parlando?”
“I peripatetici erano gente che amava discutere di cose serie passeggiando in giardino, come stiamo facendo noi, e per quanto riguarda il metodo Socratico, che loro spesso utilizzavano, beh, l’aveva inventato un certo Socrate.”
“Non mi dire! Chi ci avrebbe mai pensato? E in che cosa consisteva, di grazia?”
“Se vuoi poi ti puoi leggere un sacco di cose su Socrate, Platone, Aristotele e la scuola peripatetica, ma adesso andiamo avanti e facciamo a modo mio, almeno per un po’. Dicevamo: Che cosa codificano, esattamente, la sequenze di basi?”
Jona prese mentalmente nota di scavare nell’argomento, ma stette al gioco: “Codificano le sequenze di aminoacidi che costituiscono una proteina. Ci sono anche sezioni di controllo che indicano quando costruire la proteina.”
“Essenzialmente giusto, anche se semplificato; le sezioni di controllo, in realtà, sono parti dove si legano altre proteine che inibiscono la replicazione.”
“Lo so, tutto è sempre più complicato. Se devo specificare non finiamo più!”
“Perché, ti sei già stufato? Abbiamo giorni di cammino davanti.”
“Magari sarebbe il caso di pensare alla cena.”
“Di quella non ti preoccupare. Ho già visto una cosa che credo ti piacerà. Quello che stavo cercando di spiegarti è che, a furia di semplificare, si finisce per perdere di vista l’effettiva complessità del tutto. Proviamo in quest’altro modo: Che differenza c’è tra la tua mano chiusa a pugno e un martello?”
“Che una è attaccata al mio braccio e l’altro no?”
“Vero, ma non è una differenza essenziale; puoi staccare un braccio e quello rimarrà sempre fondamentalmente diverso da un martello.”
“Le differenze sono tante. Uno e di carne e osso, l’altro di legno e ferro.”

“Ma uno è una cosa naturale e l’altro è una cosa artificiale.”
“Ci stiamo avvicinando. Come fai a dire che il maglione è artificiale?”
“Oh, bella! Ho visto filar lana e sferruzzare fin da quando ero bambino.”
“Vuoi dirmi che, se non avessi mai visto fare un maglione, potresti pensare che il maglione è una cosa naturale? Che cresce sugli alberi?”
“Naturalmente no.”
“Perché no? Che hanno di diverso?”
“Si vede che uno è stato fatto da qualcuno e l’altro è cresciuto così. Nulla si arrotolerebbe su se stesso come un filo di lana ritorto.”
“Hai mai visto i viticci?”
“Che c’entra? I viticci si attorcigliano da soli.”
“E la lana no?”
“Mi stai prendendo in giro? Sai benissimo che i viticci, come i capelli ricci, si avvolgono su se stessi per il gioco delle fibre interne, mentre li filo di lana viene ritorto da forze esterne.”
“Quindi è questa la differenza fra le cose naturali e quelle artificiali? Le une sono il prodotto delle forze interne e le altre di quelle esterne?”
Jona ci pensò ancora un momento, prima di rispondere: “Sì, penso di sì.”
“E questo vale a tutti i livelli? O solo a livello macroscopico?”
Altra esitazione mentre cercava di ricordare i particolari: “Sì, penso che valga a tutti i livelli. Sicuramente le proteine, di cui si parlava prima, si ripiegano da sole nella configurazione più stabile, senza che nessuno le “metta in piega”.”

Le proteine erano già abbastanza complicate, costruirle in modo che buttate alla rinfusa si assemblassero in strutture precise era ancora più complicato, ma far sì che queste strutture si unissero fra loro per formare una cellula
Alcune cose erano “facili”, come cambiare un colore, semplicemente producendo o meno un certo pigmento o avere una statura più alta “semplicemente” producendo più ormone della crescita, globalmente. Ma che proteina bisognava cambiare per avere gli zigomi sporgenti? Quale proteina, o quale gruppo di proteine facevano sì che noi abbiamo cinque dita nelle mani?

“No, non è possibile, non può essere così complesso”, sbottò dopo circa un chilometro.

“Ma come funziona? Cosa fanno davvero gli Elfi?”
“Con le piante è molto più semplice, visto che gli homeobox codificano solo un determinato organello. In breve: ci sono dei gruppi di geni che, quando espressi, producono un determinato organo o parte di esso. Ci sono poi gli homeobox che si occupano di attivare l’espressione di questi gruppi in modo sequenziale, partendo dalla testa ed arrivando alla coda.”
Jona continuò a fare domande su come, di preciso un gene, o un gruppo di geni, potessero codificare interi organi.
Molto presto l’Amuleto smise di rispondere e Asclep in persona fece una lunga lezione che lasciò Jona frastornato e conscio dell’immensa complessità della vita
Si chiuse in un silenzio meditabondo mentre le sue gambe continuavano a muoversi automaticamente.

Il sole stava già calando verso i monti a ovest quando l’Amuleto ruppe il silenzio: “Sotto quelle ninfee c’è la tua cena, se hai ancora fame.”

Erano arrivati ai bordi di una palude dove uno dei fiumi che scendevano dalle montagne deviava bruscamente verso sud.
Nell’acqua bassa trovò uno strano animale, delle dimensioni di un cane, a metà strada tra un’istrice e una tartaruga che l’Amuleto aveva paralizzato. Fece un po’ fatica a trovare il modo di piantare il suo coltello fra le placche ossee per ucciderlo. Se lo mise in spalla e proseguì; l’Amuleto gli aveva trovato un posto sicuro sulle basse colline dall’altra parte del fiume.

Quando arrivò al rifugio, una bassa caverna quasi cilindrica lunga non più di una decina di passi, aveva il fiatone ed era decisamente stanco. Fu ben lieto che l’Amuleto gli desse una mano ad accendere il fuoco.

Mise a cuocere l’animale direttamente sui carboni ardenti, utilizzando la pelle corazzata del dorso come recipiente di cottura.

Mentre aspettava pazientemente che si cuocesse riprese la conversazione con l’Amuleto: “Non posso continuare a chiamarti “Amuleto”. Non hai un nome?”
“Perché non mi puoi chiamare “Amuleto”?”
Jona alzò gli occhi al cielo; cominciava ad odiare questo Socrate, chiunque esso fosse stato, con tutte le sue forze, anche se poteva intuirne le motivazioni: “Perché “Amuleto” è un nome comune di cosa, generico, di un oggetto, per quanto complicato, mentre tu sei evidentemente una “persona”, quindi vorrei usare un nome proprio di persona. Va bene così?”
“Veramente non capisco: che differenza c’è tra un oggetto e una persona?”
“Ce ne sono parecchie di differenze, anche se definirle con la precisione che vuole il tuo Socrate non sarebbe per niente facile e, comunque, ora sono troppo stanco per provare. Vuoi dirmi il tuo nome o devo cominciare a chiamarti, che so, “Luigi”? O magari “Socrate”?”
“Socrate no. Sarebbe un po’ blasfemo, dal mio punto di vista. “Luigi” va bene come qualunque altro nome, ma se sei proprio in vena di classici, puoi chiamarmi “Mentore”, non è il mio nome, come non lo è Luigi, ma suona meglio.”
“Va bene, vada per “Mentore”, allora. Sono troppo stanco per discutere ancora. Fammi leggere qualcosa su questo Socrate, per favore.”

Il grosso volume dell’enciclopedia si aprì sulla pagina dedicata a Socrate e Jona cominciò la scoperta dei filosofi del mondo antico.