4: Le Grandi Pianure

Navajos

L’Amuleto brillava di luce rosso scuro mentre Jona pagaiava sulle placide acque del fiume, oramai largo più di duecento metri.
Stava approfittando del lavoro manuale lento e regolare per fare gli esercizi di respirazione e concentrazione che gli aveva insegnato il Djinn.
La mente era sgombra e lui era cosciente di tutto quello che avveniva attorno a lui, dal guizzare di pesci nel fiume alla sottile colonna di fumo che si levava in lontananza.
Non accelerò il ritmo dei movimenti né fece alcun piano cosciente, ma la canoa ora aveva una meta.

Il villaggio indiano era situato proprio alla confluenza dei due fiumi, lì dove cominciava l’Ohio, su una lingua di terra erbosa, protetto su due lati dai larghi fiumi e sul terzo da una palizzata.
Le tende erano proprio quei coni alti e colorati che aveva visto al museo, ma gli abitanti erano alti e muscolosi, con la pelle scura, ma i lineamenti fini, ben diversi dai gran nasoni e dagli zigomi sporgenti che caratterizzavano gli antichi “pellirosse”.

“Mentore”, disse mentre si avvicinava con la massima calma per dar tempo a gli “indiani” — che l’avevano già individuato — di decidere cosa fare, “queste nuove popolazioni non sono copie di quelle originali. Alcune sono state modificate per renderle più adatte al nuovo mondo, ma altre sembrano semplicemente delle idealizzazioni della realtà.”
“Vero.”

“Ti sembra strano?”
“No. Gli Dei hanno ricreato l’Umanità dopo che questa era scomparsa — devo ancora capire come — ed è normale che abbiano fatto dei cambiamenti. Debbo dire che quello che vedo mi sembra molto meglio dei periodi antichi equivalenti. Non capisco perché non abbiano ricreato periodi più “moderni”, ma immagino abbiano avuto i loro buoni motivi.”
“Puoi dirlo forte!” La voce era quasi canzonatoria. Jona sapeva già che quello era un punto cruciale. Perché rimarcarlo?

Un vecchio magro come uno spaventapasseri e completamente ricoperto di collane di pietruzze, conchiglie e piume stava scendendo verso la riva per incontrarlo, seguito a distanza da due drappelli di guerrieri armati.
Si appoggiava ad un alto bastone, simile a quello di Jona, ma coperto anch’esso da una tale quantità di collanine e pendagli colorati da essere quasi invisibile.

La canoa si arenò leggera proprio di fronte allo sciamano in attesa. Jona scese dalla prua senza bagnarsi i piedi e, dopo aver tirato in secca la sua imbarcazione, si presentò davanti allo sciamano tenendo il suo bastone orizzontale e basso, in quello che sperava fosse un gesto di pace.
Il vecchio allargò le braccia mostrandole nude fuori dal mantello di pendagli.
Jona si arrotolò le maniche fino ai gomiti e ripeté l’identico gesto.

“Sapevamo del tuo arrivo, uomo bianco, ma gli Dei non ci hanno voluto dire se arrivi in pace o porti la guerra.”
“Vengo in pace.”
“Ma la Morte ti accompagna”, ribatté il vecchio, indicando con la palma aperta l’Amuleto che brillava sommessamente ma inequivocabilmente.
“Thano mi impone questo viaggio che mi sta portando in terre sconosciute”, confermò Jona senza battere ciglio.

Il vecchio stregone studiò a lungo le penne e le conchiglie che pendevano vicino alla cima del suo bastone, muovendo leggermente le labbra come se stesse leggendo a bassa voce, poi scrollò il bastone in uno scroscio di tintinnii stonati e tornò a guardarlo facendo bene attenzione a non muoverlo.
Finalmente, dopo parecchi minuti, scrollò le spalle e si rivolse a Jona che, nel frattempo, era rimasto assolutamente immobile, concentrato sul ritmo della respirazione: “Gli Dei non sono chiari con me, questa volta. Da te può venire gran bene o distruzione. Che cosa ci porti?”
“Io sono Jona di Tigu, sciamano, e non ho mai portato distruzione, né volontariamente né involontariamente, malgrado io abbia commesso più errori di quanti capelli mi siano rimasti in testa.”
Il vecchio stava guardando, cercando di non farlo vedere, i fiorellini viola che crescevano in un minuscolo vasetto appeso alla punta del suo bastone.
“Farò del mio meglio per mantenere questa tradizione.”

Lo stregone parve soddisfatto del suo esame, perché si rilassò visibilmente e disse, con voce meno formale: “Benvenuto fra noi, Jona di Tigu. Io sono Airone Infelice, portatrice del Bastone della Medicina. Vieni, dobbiamo parlare.”
Jona annuì assorbendo l’informazione e fece per raccogliere la sua roba, ma la vecchia lo fermò con un gesto: “Lascia che ci pensino loro.”

La Sciamana

La sciamana lo trattenne a lungo nella sua tenda, chiedendogli del suo viaggio e dei posti da cui proveniva.
Ad un certo punto entrarono due guerrieri che portavano i suoi zaini.
Jona vide subito che non erano stati aperti.
“Come mai un uomo solo ha due zaini, Jona di Tigu?”
“Vado lontano e la canoa può portare due zaini senza sforzo, Airone Infelice.”
“Hai detto più volte che vai lontano, ma non hai mai detto dove.”
“Perché, di preciso, non lo so neppure io. Devo raggiungere le Grandi Montagne, poi gli Dei mi guideranno, spero.”
“Le Grandi Montagne sono lontane. Molte lune di cammino.”
“Lo so. Speravo di trovare aiuto presso il Popolo Navajo.”
“Di questo parleremo domani. Stasera devi essere presentato alla tribù. Sei pronto?”
“Pronto per che cosa, di preciso?”, chiese Jona per nulla allarmato.
“Oh, nulla di particolare”, rispose Airone, “ma tutti vorranno guardarti bene e farti delle domande. Fai bene attenzione a rispondere sinceramente. Sempre.”

Fuori, in sordina, cominciarono i suoni dei tamburi, che eseguivano ritmi complicati.
“Il Popolo Navajo ci chiama. Andiamo”, disse Airone Infelice alzandosi con sorprendente agilità nonostante l’età.

Amico dei Nani

“Sei sposato?”
“Sì.”
“Hai figli?”
“Sì.”
“Quanti?”
“Sei.” Moto di sorpresa.
“Quanti anni hai?”
“Sessantaquattro.”

Le domande sembrarono non finire mai, ma c’erano solo un paio di centinaia di Navajos nel villaggio e la cerimonia si svolse relativamente in fretta.

Il sole era tramontato e, nonostante gli alti fuochi, Jona cominciava ad aver freddo.
Chiese alla vecchia sciamana il permesso e, sentendosi un po’ frastornato da tutte quelle domande e dal suono dei tamburi che si era fatto insistente, andò a prendere il mantello dallo zaino.

Quando rientrò nel cerchio di luce dei fuochi le conversazioni prima e il suono dei tamburi poi si spensero lentamente, mentre gli indiani notavano il suo mantello.

Jona non sembrò notare la cosa e andò a sedersi a gambe incrociate nello stesso posto che aveva prima, a fianco della vecchia, ma sibilò all’Amuleto: “Mentore, che succede?”
“Penso che si siano resi conto che il tuo mantello è di fattura Nanesca.”
Il mantello, infatti, era un regalo di Burlock, con un ampio cappuccio rifinito da una morbida visiera e una complicata allacciatura di ottone lucente.

Jona attese tranquillo l’inevitabile.

Il brusio crebbe indistinto, come uno sciame di api disturbate.
La vecchia alzò una mano ed il brusio cessò come d’incanto: “Sei amico dei nani?” la voce era tagliente.
“Sono stato loro ospite a Nayokka”, rispose il Mago con lo stesso tono piatto con cui aveva risposto a tutte le altre domande.
“Non è questo che ti ho chiesto!”

Prima che Jona potesse rispondere di nuovo una voce si levò sicura e accusatoria: “Non c’è bisogno che risponda! Era alla guida della banda di Atlantici che è venuta a salvare i nani!”

“Non ero alla guida. Il capo era Troomsin”, ribatté placidamente lui.
Si scatenò un putiferio mentre i guerrieri si precipitavano a prendere le loro armi.
Jona ne approfittò per dire alla vecchia sciamana che lo guardava fremente d’indignazione: “Ora capisco perché gli Dei non hanno voluto risponderti. Sanno molto bene che cosa farò io, ma ora tutto dipende dalla tua capacità o meno di gestire la situazione.”
“Che intendi dire, Amico dei Nani?”
“Che io so solo che abbiamo aiutato una ventina di Nani attaccati da un numero quadruplo di Umani che si comportavano come dei briganti.”
Una lancia, scagliata verso il cuore del Mago esplose, in una nuvola di schegge fumanti.

“Se mi spieghi perché odiate tanto i Nani forse possiamo ancora evitare che qualcuno si faccia male.”
Le lance continuavano ad esplodere attorno a lui inondandolo di frammenti di legno carbonizzati. L’effetto pirotecnico era notevole, ma Jona sapeva bene che Mentore non poteva gestire a lungo così tante persone. Fortunatamente loro non lo sapevano. Un guerriero con un copricapo imponente, dopo aver inutilmente scagliato la sua lancia si lanciò su di lui brandendo una pesante ascia di pietra levigata.
Jona rimase immobile, seduto a gambe incrociate come al solito.
La vecchia alzò il suo bastone e lo tese orizzontalmente a sbarrare la strada al guerriero: “Aspetta, Falco Veloce”, disse, poi, a voce più alta: “Gli Dei devono parlare!”

Un cerchio di guerrieri armati si formò attorno a Jona che continuò ad ignorarli completamente e a concentrarsi sul ritmo del suo respiro.
Era acutamente cosciente del ritmo crescente che avevano ripreso i tamburi e della danza forsennata in cui era impegnata la vecchia maga. Una parte di lui stava ammirando l’esibizione, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.

Il ritmo arrivò al culmine e cessò improvvisamente con un boato finale, perfettamente a tempo con la vecchia che piantava il suo bastone per terra e rimaneva immobile e ansante.

Quando il tintinnio dei pendagli si placò tutte le piume e le pietruzze visibili erano di infinite sfumature di blu.
“Posse ci vuole parlare”, disse la maga dando voce all’evidenza.

Posse

Quella parte della mente di Jona che osservava tutto non poté fare a meno di notare come Posse assomigliasse davvero tanto alle rappresentazioni classiche di Poseidone o Nettuno che dir si voglia.
Il Dio si presentava come una persona matura, muscoloso, ma leggermente sovrappeso, con una gran barba bianca, capelli fluenti e l’immancabile tridente.

Il nostro apprendista si è cacciato di nuovo nei guai, vedo”, disse con voce rombante e un’espressione indecifrabile sul viso, “perché mi chiami?”.
Jona sostenne lo sguardo e rispose tranquillo:

Nubi tempestose si formarono istantaneamente nello sguardo del Dio: “Non mi parlare di quei distruttori! Migliaia di chilometri di fiume soffrono per le loro azioni! Devono essere fermati! A qualunque costo!
Jona sentiva l’ira del Dio come una forma di pressione fisica, ma resse l’impatto senza indietreggiare di un millimetro. Sentiva che qualcosa non tornava, anche se sapeva troppo poco per capire che cosa non andasse.

“Che cosa hanno fatto?”
Stanno distruggendo il fiume. Guarda!

Davanti a Jona apparve il fiume da cui lui era arrivato, pieno di vita, con alghe, pesci, anfibi e uccelli acquatici di tutti i tipi.
L’immagine si spostò girando attorno al villaggio fino all’altro fiume che confluiva. Qui la situazione era ben diversa. Le alghe erano malaticce, i pesci scarsi, gli anfibi quasi inesistenti e gli uccelli acquatici molto malandati.
L’immagine prese a muoversi controcorrente e, ogni volta che si arrivava ad una confluenza, la situazione peggiorava, fino ad arrivare ad un piccolo fiume di montagna completamente privo di vita, con le acque grigie e schiumose.
Presso la sorgente, pura e limpida, c’era uno sbarramento che deviava il fiume dentro la montagna, dalla quale riusciva poi qualche centinaio di metri più in basso, inquinato e morto.
Nella montagna c’era una miniera dei Nani. Usavano l’acqua per lavare il minerale e per altre lavorazioni che Jona non riuscì ad individuare.

La miniera era difesa da bastioni e pattugliata da Nani che erano allerta come se si aspettassero un attacco da un momento all’altro.
Sembravano nient’affatto contenti della situazione, ma duri e determinati a difendere le loro gallerie.

I Nani erano un popolo testardo e raramente sentivano ragioni, ma a Jona non erano sembrati né tanto stupidi né tanto pazzi da mettersi contro un Dio, per quanto prezioso fosse ciò che stavano estraendo dalle viscere della montagna.
“Sanno quello che stanno facendo al fiume? Li hai avvertiti?”
Il Dio si rabbuiò, ma non era ira. Forse stizza.
Sono sicuro che Afro ti ha spiegato come stanno le cose.

Jona rimase a bocca aperta, allibito: “Non c’è neppure un Sacerdote di Posse fra i Nani?”

Nemmeno uno”, rispose il Dio scuotendo la testa, “odiano il mare e ignorano l’acqua, a meno che non serva a far funzionare qualcuna delle loro macchine. Nessuno di loro ha un’affinità sufficiente per legarsi ad un mio Amuleto.

Che Posse non sapesse? Impossibile
“Le cose potrebbero essere cambiate, di recente. Mi permetti di fare un tentativo?”

Il Dio lo guardò decisamente sorpreso, poi fissò qualcosa di infinitamente lontano, dietro di loro, come se Jona e il villaggio non esistessero neppure.
Vedo”, disse dopo un lungo istante, “può anche essere che funzioni. Cerca di non deludermi, apprendista. Troverai, se ti servirà, un mio Amuleto proprio fra le pietre della sorgente di quel povero fiume martoriato, lì dove l’acqua è ancora pura.
Poi, rivolto ai due Navajos che erano rimasti immobili in attesa, elargì uno dei suoi rari sorrisi paterni: “Vi ringrazio. Se questo apprendista riuscirà nel suo intento voi tutti mi avrete reso un enorme servigio.
Posse scomparve lasciando dietro di sé un vago chiarore e un senso di pace che durò a lungo.

Turon

La mattina dopo Jona s’alzò di buon’ora, Airone Infelice era già fuori dalla tenda a preparare misteriosi infusi di erbe. Come lo vide uscire gli porse una tazza piena di un liquido di un bel colore verde e un profumo pungente.
Il Mago lo sorseggiò lentamente lasciando che gli riscaldasse lo stomaco prima di iniziare i suoi esercizi mattutini per scacciare la rigidità della notte e il freddo dell’aria del mattino.
La Sciamana lo lasciò fare e, quando ebbe terminato, gli chiese semplicemente: “Che intendi fare, ora?”
“Non ho ancora deciso. Ho un’idea della situazione, ma vorrei capire meglio. Mi puoi raccontare qualcosa di più di quanto abbia detto Posse? Io non ne so veramente abbastanza.”

Airone Infelice, che probabilmente si aspettava la richiesta, annuì e cominciò a raccontare:

La storia era semplice. A un certo punto i pesci del fiume avevano cominciato ad essere sempre più malati e rari, poi anche chi li mangiava cominciò ad ammalarsi.
Il precedente sciamano, la nonna di Airone Infelice, aveva cercato di contattare gli Dei e aveva viaggiato a lungo fra i pesci del fiume. Era morta in un ultimo viaggio, mentre risaliva il fiume assieme ad un grande pesce, ma era riuscita ad avvertire la nipotina che all’epoca aveva solo cinque anni del pericolo rappresentato dai Nani.
Airone Azzurro aveva cambiato il suo nome in Airone Infelice ed era riuscita a convincere il capo tribù a spostarsi verso ovest, come le aveva detto la nonna, seguendo il fiume. Avevano continuato a discendere il fiume fino a che non avevano trovato questa confluenza, dove potevano pescare del buon pesce e, al contempo rimanere vicini ai loro territori di caccia sulla riva nord.
Quando Airone Infelice era diventata abbastanza forte da contattare gli Dei, molte lune più tardi, Posse aveva confermato che la causa delle malattie era l’inquinamento del fiume e dato la colpa ai Nani.
Da allora tutte le tribù delle grandi piane erano scese sul sentiero di guerra contro chi distruggeva le loro acque.

Jona rimase a lungo in silenzio, poi, scegliendo con cura le parole, chiese: “Che tu sappia, Airone Infelice, qualcuno ha mai cercato di trattare con i Nani?”
“Trattare cosa?” Chiese lei sorpresa, “Lasciarci avvelenare?” Stava evidentemente passando dallo stupore alla collera e Jona si affrettò a interromperla alzando le mani e scuotendo la testa.

“Ah, no?” Il tono era quello di chi si sente sonoramente preso in giro.
“No”, rispose il Mago cercando di imitare il tono del Djinn di Isto.
“Credo che loro stiano semplicemente scavando qualcosa delle viscere della montagna e che quei veleni non siano altro che rifiuti inutilizzabili. Non credo si rendano conto del danno che stanno facendo.”
“Noi, i nostri rifiuti, li riutilizziamo, se possibile, e li seppelliamo dove non possono fare danni altrimenti!”
“Vediamo se riusciamo a convincere i Nani a fare lo stesso, allora”, replicò Jona con un sorriso.

Il Mago rimase chiuso nella capanna di Airone Infelice — che sembrava decisa a conservare l’onore di averlo come ospite — per due giorni filati, seduto su una morbida pelle di bisonte a parlare fitto con Mentore e a consultare documenti vari. Gli Dei gli lasciavano accesso a quasi qualunque informazione richiedesse, ma non vollero mai intervenire direttamente, come sempre facevano quando uno di loro era implicato.

Finalmente a sera riemerse e chiese alla sciamana e a Falco Veloce di essere presenti al suo tentativo di mediazione con i Nani.

A una sua parola Mentore aprì la comunicazione con l’Amuleto di Turon la cui faccia stupita apparve dinanzi a loro pochi istanti dopo.
“Sei vivo, allora. Ti avevamo dato per morto, quando sei scomparso in quella notte di bufera. Come sei riuscito a sgattaiolare fuori senza che nessuno ti vedesse? E dove sei, ora?”
“Per quanto riguarda il come sono uscito, temo debba rimanere un segreto fra me e Isto — spero che tu non te ne abbia a male. Per quanto riguarda, invece, la mia locazione attuale — ammesso che il tuo Amuleto non ti abbia già informato — questo dovrebbe darti qualche idea”, mentre pronunciava le ultime parole fece cenno ai due indiani di avvicinarsi ed entrare nel cerchio visibile a Turon.

Il Nano aveva i riflessi pronti. Ci mise solo una frazione di secondo a superare lo stupore e a saltare diritto alla conclusione sbagliata: “Così eri d’accordo con loro fin dall’inizio, vero?” Esplose rosso di collera, “Hai trovato il modo di farli entrare qui a Nayokka, vero? Non ti preoccupare: venderemo cara la pelle, schifoso traditore!”
Stava per chiudere il collegamento e, sapendo che negare sarebbe stato inutile, Jona chiese tranquillo: “Non ti interessa sapere perché Posse vi vuole morti?”

La voce si spense lentamente mentre il nome arrivava alla coscienza di Turon.
“Posse?”
Jona annuì: “La faccenda è delicata e va approfondita.”
Turon si era calmato con la stessa rapidità con la quale era montato su tutte le furie, ma rimaneva estremamente scettico e sospettoso: “Di che si tratterebbe?”
“Il problema è la miniera sui monti a cavallo del Muro.”
“Altonna?”

“E una miniera importantissima. Ci sono metalli che non riusciamo a trovare da nessun’altra parte.”
“Non discuto. Produce anche una gran quantità di mercurio, vero?”
“Certo, anche se non è quella la parte più importante.”
“Beh, il problema è che produce troppo mercurio.”
“Troppo mercurio?”
“Già, e una bella quantità finisce nel fiume che usate per lavare i minerali. Mercurio e solo gli Dei sanno quali altre sostanze. State avvelenando mezzo continente.”

La conversazione stava prendendo una piega che Turon non aveva previsto ed ora si trovava sulla difensiva: “Noi cerchiamo di recuperare tutto il mercurio possibile.”
Jona cambiò ancora argomento, tanto per mantenerlo sbilanciato: “Ne sono sicuro, ma non sembra abbastanza. Un altro problema è che voi non avete un sacerdote di Posse.”
“Posse vuole un sacerdote presso i Nani?”
“No. Sono i Nani che dovrebbero volere un sacerdote di Posse.”
“E perché mai?”

“Ma se non ci ha mai degnati nemmeno di uno sguardo!”
“Quello non è vero. Si interessa a voi anche troppo, ma non può agire direttamente e questo non è il momento di spiegarti il perché.”
Turon lo guardava con occhi spiritati, incapace di decidere se Jona era impazzito o se era impazzito lui. Di una cosa era sicuro: tutti e due sani di mente non potevano essere.
“Questo è tutto quello che ti posso dire, per ora. Ti consiglio di parlare con tua moglie e che facciate delle ricerche su quanto ti ho detto. Ci risentiremo domani sera. Fai venire anche Burlock.”
“Burlock?”
“Sì, Burlock. Penso sia la persona più adatta.”
Detto questo il Mago chiuse la conversazione lasciando il Nano ad arrovellarsi nei suoi dubbi.

“Quanto ci vuole ad arrivare ad Altonna?”
“Con una buona barca almeno una settimana.”

Berlinda

Berlinda fu la prima ad apparire in risposta alla chiamata di Jona e lo salutò sorridente.
Turon apparve un attimo dopo al suo fianco e anche lui congiunse i pugni in segno di saluto.
“Sapevo che non eri perito nelle bufere invernali, anche se nessuno riesce a capire come hai fatto.” La voce aveva un retrogusto di rimprovero, dietro l’evidente sollievo.
Jona l’accettò di buon grado: “Anch’io avrei preferito non scomparire a quel modo, ma non sarebbe saggio da parte mia dirvi per quale cammino mi hanno condotto gli Dei.”
Turon tagliò corto i convenevoli con uno sbuffo d’impazienza: “Abbiamo controllato tutto quello che era possibile. Hai detto la verità. Le scorie di lavorazione sono più pericolose di quanto pensassimo.”
Erano entrambi visibilmente stanchi, dovevano aver lavorato senza sosta, ma c’era anche un sorriso nei loro occhi.
“Avete anche trovato una soluzione, immagino.”
Turon si morse un labbro e sua moglie parlò per lui: “Sì, la soluzione l’abbiamo trovata, ma non sarà cosa semplice. Soprattutto non sarà cosa semplice convincere il Martello a finanziare i lavori necessari.”
Jona annuì. Se lo era aspettato. Ora, se solo fosse riuscito a far passare la sua idea
Airone Infelice e Falco Veloce, al suo fianco, approvarono solennemente, ma tutto il loro atteggiamento esprimeva la loro diffidenza in maniera quasi comica nella sua evidenza. Jona scoppiò in una risata.
“Non mi aspetto diventiate amici, solo che seppelliate l’ascia di guerra, almeno per un po’”, poi proseguì rivolto ai Nani, “e voi potreste approfittare della tregua per fare i lavori di pulizia di cui si parlava. Potrete risparmiare sulla guarnigione.”
A queste parole fu Turon a serrare le labbra dubbioso.

“Avete con voi Burlock?”
Burlock fece un passo avanti entrando nel cerchio, subito dietro Turon e Berlinda.
Scambiò saluti con Jona e poi chiese: “Che cosa vuoi da me, di preciso?”
“Ho scoperto, non ci avevo mai fatto caso, che Posse, oltre a regnare sui mari e su tutte le acque in generale, è anche il custode dell’ecosfera.”
“Ecosfera?”
Una fitta dolorosa alla tempia sinistra impedì a Jona di rispondere immediatamente. Nei pochi secondi di esitazione il Mago sentì distintamente la voce di Asclep: “Meglio non parlare di quello che hai imparato riguardo agli Antichi. Puoi farlo, se proprio vuoi, ma questo campanello di allarme ti impedirà di farlo “per sbaglio”.
“Sì, ecosfera”, proseguì poi, “Si tratta dell’insieme di tutti gli esseri viventi sulla terra e dell’ambiente in cui vivono. Posse mi ha spiegato che tutti gli esseri viventi sono legati agli altri che abitano nello stesso territorio e che quindi danneggiare — o favorire — una certa specie può portare squilibri che si rifletteranno su molte altre.”
“I vostri veleni hanno fatto ammalare l’ecosistema delle pianure. Escono dalla vostra miniera e arrivano, sia pur diluiti, fino al mare.”
“Continuo a non capire perché hai voluto la mia presenza, Jona di Tigu”, insistette Burlock con la tipica mentalità spiccia dei Nani.
Jona gli fece segno di pazientare, poi proseguì: “Tutto questo succede anche e forse soprattutto perché voi non avete coscienza di quali sono le conseguenze negative di certe vostre azioni. Voi siete molto devoti a Festo, ovviamente, ma vi rivolgete anche a Palla”, disse indicando Berlinda, “e ad Isto, Dionne, Dana e tutti gli altri Dei. Ne manca solo uno, che non alberga fra voi.”

“Sicuramente vi siete persi dei consigli che vi avrebbero evitato un certo numero di grattacapi”, confermò il Mago indicando gli indiani che rimanevano rigidi e diffidenti alle sue spalle, “ma la situazione potrebbe essere cambiata, ora che ci sono dei Nani che hanno una certa “affinità con il mare”, per usare le tue parole. Non è vero Burlock?”

Burlock sgranò gli occhi mentre l’enormità della cosa si faceva strada.
“Vorresti fare di me un Sacerdote di Posse?” Chiese alla fine.

Jona scosse la testa: “Io non voglio fare assolutamente nulla. Mi sto limitando a fare da tramite in mancanza di migliori comunicazioni. Ancora non mi è chiaro perché questa mediazione sia toccata proprio a me e perché solo ora. Se diventerai un Sacerdote di Posse è una faccenda privata tra te e Posse stesso. Io mi limiterò, nel caso tu sia interessato a provarci, a dirti dove potrai trovare un Amuleto. Di più non posso e non voglio fare.”

Burlock, tutt’altro che convinto, stava per esplodere, ma Berlinda intervenne cambiando repentinamente discorso: “Tutto questo è molto interessante e sono sicura che Burlock ci penserà, ma cosa c’entra, di preciso, con il problema degli scarichi della miniera di Altonna?”

“Relativamente poco. Hai ragione. Si tratta solo di un mezzo per evitare che incidenti di questo genere si ripetano. Per quanto riguarda Altonna c’è poco da discutere. Gli scarichi vanno fermati o depurati.”
Turon prese fiato per ripetere le sue proteste sui costi dell’operazione e Jona lo prevenne strizzando l’occhio a Berlinda che sapeva essere molto meno rigida del marito: “Ma forse l’avere un Sacerdote di Posse, anche se fresco di nomina, potrebbe aiutarvi a convincere il Martello, e forse anche l’Incudine.”

Rimasero a guardarsi per qualche tempo, ciascuno elaborando a modo suo la situazione.

“Pensi davvero che Burlock potrebbe diventare un portatore di Amuleto? Di Posse?”
Jona tirò su le spalle: “Molto dipende da lui. Durante la traversata lo ho visto entrare in sintonia con il mare molto bene e sembrava anche trovarci gusto. Non so se le cose siano cambiate. Di sicuro deve sinceramente volerlo, altrimenti è perfettamente inutile provare a interagire con l’Amuleto.”

Berlinda annuì: “La Dea mi dice che effettivamente l’assenza di Posse altera l’equilibrio fra gli Dei, ma anche Lei non si sbilancia riguardo a Burlock. Insiste non sono affari suoi. Forse non sono nemmeno affari nostri.”

“Lo faremo senz’altro”, gli rispose Turon, “ma potrebbe volerci qualche giorno.”

Burlock

Burlock era confuso.
Turon aveva cercato di convincerlo ad accettare la proposta di Jona, ma la moglie lo aveva zittito.
Berlinda gli aveva detto di dimenticare l’intera faccenda e l’aveva, gentilmente, ma molto fermamente, messo alla porta.
Non aveva senso.
Neppure la richiesta di Jona aveva senso.
Era vero, come aveva detto lui, che si era divertito a guidare quella piccola nave e che, in certi momenti, era arrivato vicino a capire le intenzioni del mare, ma diventare un Sacerdote di Posse!
Semplicemente ridicolo.

L’acqua era nera davanti a lui.
Non più fiume.
Non ancora mare.
I suoi piedi lo avevano portato, quasi senza intervento della sua volontà, all’estrema punta sud dell’isola di Nayokka. Proprio nel punto dove aveva spiaggiato la nave Viknuit.

Nonostante i mesi passati si vedeva ancora il solco della chiglia impresso nella fine sabbia bianca che la luna piena, ancora bassa sull’orizzonte, faceva scintillare.

Quante volte aveva pensato di costruire una nave e, l’anno seguente, usare quella per andare al Gran Mercato, invece di usare i carri.
Le navi Viknuit erano molto leggere e maneggevoli, ma lui sapeva bene che era possibile fare di meglio; sostituire gli alberi di legno con schiuma di vetro, o addirittura metallo; usando tiranti e sartie metallici si potevano fare vele più alte e quindi navi più veloci.
Si potevano unire fra loro due scafi rendendo la nave più stabile a dispetto delle onde.
Aveva in mente meravigliosi meccanismi per alzare e abbassare le vele.
Navi a misura di Nano.

Il freddo abbraccio dell’acqua lo riscosse.
Guardò in basso e si vide circondato dall’acqua che ora stava penetrando nelle sue pesanti scarpe.
In un altro momento, probabilmente, si sarebbe affrettato a ritirarsi, ma non ora.

Sapeva cosa era successo, naturalmente: si era perso in fantasticherie e la marea si era alzata, tirata dalla luna che ora brillava alta nel cielo, ma era difficile allontanare la sensazione che il mare stesso si fosse mosso verso di lui e che lo stesse chiamando.

L’acqua gli arrivava quasi al ginocchio e ora lo stava tirando gentilmente, ma decisamente, verso il largo.

“Va bene. Ho capito. Verrò, ma non ora. Alle mie condizioni. A presto.” Disse a voce alta rivolto alle acque che, naturalmente, non gli risposero, ma continuarono il loro eterno viaggio verso il mare.
Si girò e tornò lentamente verso casa.

Sacerdote!

L’Amuleto era lì, sul fondo della pozza cristallina da cui nasceva il fiumicello e si accese di una profonda luce blu non appena Burlock toccò l’acqua.
L’acqua era gelida, pochi gradi sopra lo zero, ma il Nano non se ne accorse perché l’Amuleto provvedeva a riscaldare la sua pelle.

Poco più a valle i Nani genieri avevano cominciato a costruire la diga necessaria per frenare le acque e permettere alla maggior parte dei fanghi di depositarsi. Le speciali ninfee che Asclep aveva fornito avrebbero poi fatto il resto depurando i veleni e rendendoli inoffensivi.

Molti anni sarebbero dovuti passare prima che il grande fiume si ristabilisse completamente, ma il primo passo era stato fatto.

Burlock riemerse stringendo l’Amuleto che pulsava nelle sue mani.
I Nani avrebbero potuto guardare il mare con occhi nuovi, senza sentirlo un nemico.

Airone Infelice

Airone Infelice osservava dall’alto i lavori dei Nani.
Aveva preso possesso di una grande aquila calva che ora ruotava alta nelle correnti d’aria. Sapeva che presto avrebbe dovuto lasciarla libera e rientrare nel suo corpo, ma ancora non si fidava dei Nani.
Per ora avevano rispettato i patti, ma lei sapeva di che cosa erano capaci.
Maledizione. Doveva rientrare, prima che il suo corpo fosse troppo debole per accettarla di nuovo.

Con un sospiro cominciò a troncare i legami con quella splendida bestia che l’aveva ospitata per ben tre giorni, oramai.

L’ultima fugace immagine fu di una lepre che correva veloce su un prato e che occupava per intero la coscienza dell’aquila affamata.

I morsi dolorosi della fame artigliarono lo stomaco della vecchia sciamana come, proprio in quello stesso momento, gli artigli dell’aquila ghermivano la sua preda.

“Tieni, bevi questo. Ti farà bene”, le disse Jona porgendole una tazza di brodo caldo, “Cominciavo a pensare che avessi deciso di rimanere nell’aquila per il resto dei tuoi giorni.”

Airone Infelice scosse la testa, ma non si azzardò a parlare prima di aver finito la bevanda calda: “Sono troppo vecchia per questi viaggi. Il tuo amico Nano sembra di parola, ad ogni modo. Hanno bloccato lo scarico in attesa di finire la diga.”
“A me pare che te la cavi ancora benone. Cerca di non strafare. Tre giorni di viaggio sono tanti.”
“Lo so. Ora pagherò il tributo ai dolori, ma dovevo sapere quello che succedeva.”
Cercò di alzarsi, ma le gambe non la ressero. Jona l’aiutò a sciogliere un po’ le articolazioni irrigidite dall’immobilità.
Se Airone Infelice si era convinta che i Nani avrebbero mantenuto il patto allora Falco Veloce avrebbe sotterrato l’ascia di guerra e con lui altri capi tribù.

Quando la vecchia fu di nuovo addormentata, di un sano sonno ristoratore, stavolta, Jona rimase a lungo seduto a guardare il fuoco.

L’abilità della sciamana di impossessarsi del corpo degli animali e di controllarli anche a grande distanza gli aveva evitato un lungo e scomodo viaggio nella direzione opposta alla sua meta.
Lei diceva che il suo spirito si staccava dal corpo e si sovrapponeva a quello degli animali. Il suo spirito viaggiava con loro.
Jona aveva i suoi dubbi che le cose stessero esattamente a quel modo.
Aveva fatto qualche controllo, usando l’Amuleto, e sapeva che il cervello della vecchia era ben attivo; sembrava che avesse sognato ininterrottamente per tutto il tempo.
Non c’era da stupirsi che fosse così stanca.

“Mentore, mi spieghi come fa Airone a prendere possesso degli animali? Usa il suo bastone, vero?”

“Sì, mi ha detto che ha affinità solo con poche specie.”
“Questa è solo una piccola parte della storia. Gli Dei hanno modificato una parte del cervello di alcuni animali per poterli controllare a distanza. Qualcosa vicino alla ghiandola pineale, credo.”
“Ah, e quindi Airone li controlla attraverso gli Dei?”
“Qualcosa del genere.”
“E come fa a vedere quello che vede l’aquila?”

“A ognuno le sue specialità. Scommetto che quel bastone/amuleto non conosce Socrate.”
“Oh, se è per quello non sa nemmeno parlare. Non è un vero Amuleto.”
“Ma tutti lavorate per gli Dei, in un modo o nell’altro.”
“Uhm, non la metterei esattamente in quel modo, anche se contiene una certa dose di verità.”
“E come la metteresti, allora?”
“Non mi pare sia il caso di darti una risposta diretta.”
“Me l’aspettavo. Puoi darmi una risposta indiretta, per favore?”
“Penso che, quando avrai capito che cosa gli Dei vogliono da te, non ti sarà difficile trovare la risposta.”

Quando Jona si riscosse dalla sua meditazione, il fuoco era ridotto a braci che ricoprì accuratamente prima di andare a coricarsi anche lui.

Due giorni dopo, all’alba, lasciò il villaggio con tutti gli onori e, cosa molto importante, in compagnia di quattro guerrieri che l’avrebbero scortato fino alle pendici delle grandi montagne, per poi tornare con la sua canoa al villaggio.
Era un viaggio lungo che li avrebbe impegnati per tutta l’estate.

Ohio River

Le settimane successive trascorsero lente mentre loro discendevano il grande fiume.
Durante il giorno i navajo pagaiavano in silenzio quasi senza interruzioni mentre Jona studiava con l’ausilio di Mentore. All’inizio aveva provato ad instaurare un minimo di conversazione, ma quelli avevano fatto chiaramente capire che non volevano essere disturbati nel loro mondo composto solo di movimenti ritmici.
Quando il sole cominciava a calare cercavano un buon posto per accamparsi.

Le serate furono molto istruttive per Jona che ebbe modo di constatare come gli indiani seguissero i precetti di Posse, nella sua veste di preservatore della natura in generale e delle acque in particolare.

Raramente pescavano perché il fiume trasportava ancora troppi veleni dei Nani, ma, sia che cacciassero il “fratello Bisonte”, sia che pescassero in qualche affluente sano ed anche quando raccoglievano frutta e radici, erano sempre attentissimi a non causare danni inutili, cercavano di non sprecare nulla e lasciavano sempre i bivacchi pulitissimi interrando tutti i rifiuti, spesso vicino ad alberi che potessero riciclare le sostanze nutritive residue.
Jona li osservava ammirato cercando di imparare i loro metodi e le loro abitudini.

Una sera, a notte fonda, durante il suo turno di guardia, l’Amuleto si accese di una profonda luminosità blu e Posse si sedette a gambe incrociate accanto a lui.
Vedo che ti interessi alle vie del popolo Navajo”, disse con tono colloquiale e senza i lampi minacciosi negli occhi che erano quasi il suo marchio.
“Sono molto interessanti. Sono sicuro che hai insegnato molto, da queste parti.”
Io cerco di insegnare sempre e ovunque, ma non sempre trovo orecchie disposte ad ascoltare!
“Non mi aspettavo, in realtà”, disse precipitosamente il Mago per cambiare argomento, “che Tu ti interessassi tanto anche di quel che succede sulla terraferma.”
Già, sempre così”, rispose il Dio con un velo di tristezza nelle voce, “tutti dimenticano che la pioggia cade in montagna, ma poi finisce a mare.
Sai che ancora non sono riuscito a riparare tutti i danni fatti dagli Antichi?
Vedendo che Jona era attentissimo Posse proseguì: “Hai idea di perché sia così difficile eliminare o, meglio, far rientrare nei cicli naturali tutti i rifiuti degli Antichi?
Al Museo Jona aveva studiato molto le abitudini degli Antichi, con attenzione particolare al loro ultimo periodo e qualche idea l’aveva, ma il timore di scatenare nuovamente l’ira del Dio suggeriva un basso profilo:

Gli idioti! Pensa che erano convinti di aver “prodotto più ricchezza”, senza rendersi conto che con una mano producevano e con l’altra buttavano via.
No, è una buona osservazione, ma c’è qualcosa di molto più fondamentale”, esitò un attimo, poi proseguì, “credo sia chiedere troppo pretendere che tu te ne renda conto con le scarse conoscenze che hai in merito.

L’esempio più evidente, e devastante, sono le materie plastiche: l’azione del sole le può ridurre in pezzetti sempre più piccoli, ma nulla in natura le può distruggere. Sono duemila anni che sono in funzione enormi macchine per filtrare l’acqua del mare. Le ho sistemate in alcuni punti strategici dove le correnti tendono ad accumulare i detriti. Sono duemila anni che lavorano e la quantità di plastica che raccolgono quotidianamente è ancora alta, quasi la metà di quella del primo giorno.
Jona era debitamente impressionato, sia dal discorso che dal velo di tristezza che traspariva dalle parole di Posse.
Al confronto, ricreare i giacimenti minerari è stato un gioco da ragazzi.
“Ricreare i giacimenti minerari?”
Già, gli antichi avevano già estratto dalla terra tutti i minerali facilmente disponibili. Tutto quello che trovate voi, o i Nani, in miniera, lo abbiamo rimesso noi sottoterra. Altrimenti avreste dovuto arrangiarvi senza molte cose, inclusi quasi tutti i metalli.
Jona era esterrefatto, non aveva mai pensato al lavoro immane che gli Dei si erano sobbarcati.
“Questo anche per ripulire le campagne da tutti i rifiuti, vero?”
Posse annuì: “Certo, per più di mille anni abbiamo raccolto i rifiuti lasciati dagli antichi, li abbiamo separati, fatti tornare simili ai minerali da cui erano stati estratti ed infine riseppelliti, spesso non lontano da dove erano stati estratti tanto tempo prima. Nonostante tutto questo lavoro siete molto più poveri, per quanto riguarda le materie prime, di quanto non siano stati gli Antichi. Ci sono cose che, per un motivo o per l’altro, non erano recuperabili. Cercate di fare buon uso di quello che avete.
“Come fanno i Navajo con piante e animali.”

I Fiumi

La canoa continuava a filare leggera, come aveva fatto nelle ultime tre settimane, sulla corrente del fiume che, ad ogni affluente, si allargava sempre più, fino a diventare largo come un piccolo mare in movimento.
Ora l’Ohio, che fin qui avevano disceso, si gettava in un fiume ancora più largo: il Mississipi.
Il paesaggio era pianeggiante e le rive boscose nascondevano qualunque dettaglio del panorama circostante.
Solo la sera, quando si avvicinavano per accamparsi e preparare la cena potevano dare un’occhiata attorno, passando oltre la striscia di alberi che guarniva la riva.

I taciturni guerrieri Navajo si erano rivelati dei buoni compagni di viaggio.
In un modo molto peculiare riuscivano ad insegnare, mediante l’esempio, molto più di quello che avrebbero potuto dire a parole.

Due di loro lasciavano l’accampamento un paio d’ore prima dell’alba per ritornare con prede sufficienti per la giornata, prima che la canoa fosse pronta per ripartire. Venivano poi conservate sotto la prua, nel punto più fresco, a contatto con le acque del fiume fino a sera, il momento di cuocerle e consumarle.

Ora si stavano avventurando in territori per loro sconosciuti. Il grande Ohio era la loro terra, ma ora la stavano lasciando alle spalle per addentrarsi lungo il padre di tutti i fiumi.
Jona spesso invocava l’Occhio dal Cielo per vedere i dintorni e, soprattutto, cercare di prevedere pericoli e trovare punti di approdo riparati nelle anse del grande fiume.
Finora di pericoli non ce n’erano stati, ma il Mago continuava a vigilare, rifiutando di farsi contagiare dalla flemma delle acque verdi.

Il paesaggio attorno era una pianura dolcemente ondulata che, oltre la striscia di vegetazione lussureggiante che accompagnava il fiume, diventava una prateria rigogliosa dove si muovevamo ampie mandrie di bisonti che lasciavano dietro di sé larghi sentieri dove l’erba era calpestata fino a diventare una poltiglia verdastra.
Sulla sponda destra del Mississipi si vedevano mandrie immense di bovini dalle lunghe corna, mentre i bisonti mancavano completamente.
Jona ragionò che, probabilmente, i fiumi costituivano un tremendo ostacolo e i lanosi bisonti si erano diffusi soprattutto verso nord, mentre qui, dove l’estate si avvicinava a grandi passi, le temperature favorivano animali con il pelo più corto.