Centauri

Era notte fonda quando Jona si sentì svegliare da una mano ruvida e imperiosa.
Per riconoscere Volpe Nera non ebbe nemmeno bisogno di aprire gli occhi.
Un senso di urgenza fece svanire gli ultimi brandelli di sonno.
Gli indiani erano tutti in piedi e volgevano le spalle al fuoco, seminascosti nelle ombre della boscaglia che circondava la radura in cui si erano accampati.
Il Mago, seguendo Volpe Nera, rotolò lontano dal fuoco e dalla luce, facendo bene attenzione a non guardarla, neanche per un istante.

I suoi occhi si stavano ancora abituando alla visione notturna quando uno strano gigante, con due ampie spalle, un viso dai lineamenti grossolani dominati da un enorme naso che copriva mezza faccia e un paio di gambette lunghe e sottili gli si parò davanti urlando qualcosa con voce stridula.
“Che volete da noi, uomini-allegatore?” Tradusse l’Amuleto.
Jona, sorpreso, tardò un istante a rispondere e il gigante si avventò su di lui con un balzo repentino che lasciò il Mago di stucco: le gambette si erano sollevate all’unisono come per dare un calcio a piedi uniti e il gigante, alto quasi tre metri, si era proiettato in avanti come spinto da una forza sovrumana.

Riuscì ad evitare l’impatto tuffandosi di lato mentre una scure di pietra sibilava nello spazio che la sua testa aveva appena lasciato libero.
Ala di Ipno”, sibilò mentre rotolava dietro il tronco di una quercia. Alla luce rossastra del lampo emesso dall’Amuleto riuscì a scorgere meglio la creatura che lo aveva attaccato: si trattava di uno strano essere con un corpo equino sormontato da un busto umano. Come si chiamavano quelle creature? Le aveva viste sull’enciclopedia. Centauri.

Il centauro stava scuotendo il capo, intontito dall’incantesimo, ma ora si stava rapidamente riprendendo e sembrava intenzionato a tornare alla carica.

Jona si guardò rapidamente attorno, c’erano altre di quelle creature che calpestavano rumorosamente la boscaglia.
Fuoco Divino!”, gridò uscendo allo scoperto mentre un semicerchio di fiamme azzurrine si formava attorno a lui. Il centauro si trovava proprio al limitare delle fiamme e balzò indietro spaventato sentendone il morso.
Jona sorrise, quelle fiamme non potevano bruciare veramente, ma il dolore che provocavano era ben reale. L’Amuleto gli aveva spiegato che il dolore era ottenuto stimolando direttamente le terminazioni nervose con particolari radiazioni elettromagnetiche ed era assolutamente indistinguibile da quello provocato dal calore.

Quattro centauri erano ora chiaramente visibili al di là del muro di fiamma mentre gli indiani si avvicinavano al Mago.
Fece percorrere al suo bastone, con l’Amuleto scintillante di rosso, un ampio arco e le fiamme si abbassarono fino a diventare alte poco più di una spanna: abbastanza per illuminare, ma non più una muraglia.

I quattro centauri erano, notò, un solo centauro e tre centaure. Il maschio era quello che lo aveva affrontato, armato di una pesante ascia di pietra e portava diversi giavellotti appesi alla groppa, le femmine, invece, erano armate di arco e frecce. Gli archi erano incoccati, ma non tesi.
“Ha ragione, Hublai, non mi sembrano alligatori”, disse la centaura riponendo la freccia nella faretra che portava appesa alla groppa equina, “questi non sembrano pericolosi tranne, forse, lo stregone.”
“Da dove venite, carini?” chiese un’altra centaura, evidentemente incinta, con un sorriso che mise in mostra una dentatura più adatta ad una tigre che ad un equino.
Jona stava cercando di ricordare che cosa aveva letto di quelle creature: “Centauri, leggi”, sibilò all’Amuleto.

Il maschio, Hublai, sembrava corrispondere abbastanza, ma Jona sapeva che quello descritto dall’enciclopedia era un animale mitologico. Questi erano ben reali e prodotti dagli Dei. Raramente le creature erano veramente uguali a quelle fantasie che le avevano ispirate.
Mentre l’Amuleto continuava a leggergli all’orecchio notizie più o meno pertinenti riguardo ai miti greci e a successive rielaborazioni, il Mago si rivolse alla centaura che aveva parlato per ultima:

“Vi conviene andare a cercare guai altrove. Noi ora abbiamo bisogno di riposare. Addio!” Le fiamme azzurre tornarono ad alzarsi e i cerchio ad allargarsi, costringendo i centauri a battere in ritirata.
“Quanto lo puoi fare largo?” chiese a Mentore.
“Gli effetti dolorosi li posso far sentire anche ad un paio di chilometri, ma le fiamme no. Massimo una cinquantina di metri.”
“Allora continua a punzecchiarli, gentilmente, fino a quando non si sono allontanati di almeno un chilometro, poi tienili d’occhio. Ce ne sono altri in giro?”
“No, nessun altro nelle vicinanze.”

Volpe Nera e i suoi compagni stavano coprendo il fuoco che ora era solo un ammasso di braci che non illuminavano all’intorno.

Senza bisogno di parlare i Navajo si accordarono sui turni di guardia e tornarono ad avvolgersi nelle loro coperte.
Jona rimase a lungo appoggiato al tronco di una quercia a pensare allo strano incontro.