Puntualmente, l’indomani mattina, mentre stavano preparandosi a ripartire, si presentò il solito funzionario sussiegoso che li informò che il Califfo, nella sua infinita benevolenza, aveva deciso di ammetterli alla sua presenza durante il pranzo, dopo le udienze della mattina.
Dal suo tono di voce sembrava proprio non capisse il perché di quel capriccio!
Il pranzo si rivelò abbastanza noioso, con la piccola troupe di saltimbanchi, relegata ad un’estremità del lungo tavolo a mezzaluna, nel punto più distante possibile dal Califfo.
Il funzionario faceva del suo meglio per tenere occupato il sovrano e fargli dimenticare la presenza degli artisti.
Erano oramai al termine quando Duliana, approfittando di un ampio vassoio di confetti colorati, ne prese una manciata e li lanciò verso il Geco che, quasi senza guardare, li prese al volo e li reindirizzò verso Serna.
In pochi istanti una catena di dolcetti dai colori sgargianti passava rapidamente dalle mani all’aria e viceversa.
“INSOMMA!” gridò il funzionario e i quattro si immobilizzarono mentre attorno a loro una piccola cascata di confetti rimbalzava sul pavimento.
Duliana sembrava incapace di sollevare gli occhi dal pavimento: “Chiedo scusa”, farfugliò,
Il funzionario, gonfio come un gallinaccio e rosso come un tacchino, sembrava sul punto di esplodere, ma il Califfo si mise a ridere: “Questi pasti sono troppo seri. Lasciali fare, Zebadiah. Parleremo dei ribelli più tardi.”
Il funzionario si inchinò e si ritirò alle spalle del Califfo, non senza aver prima lanciato un’occhiata che non prometteva nulla di buono.