Incursione

Lasciarono il loro rifugio che c’era ancora molta luce, dopo che i draghi si erano già ritirati. Ripercorsero la strada che avevano fatto due giorni prima e poi piegarono un po’ più a sinistra, verso il sentiero che avevano individuato e che li avrebbe portati ad un boschetto di pini rossi che arrivava a poche decine di metri dall’edificio quadrato che era il loro obbiettivo.
La luna non era ancora sorta e nessuno fece caso a due ombre furtive che scendevano nella valle.

Gli alberi non erano enormi a quell’altitudine, ma, una volta entrati nel bosco, si poteva camminare agevolmente tra i tronchi, sullo spesso letto di aghi di pino.

Jona ebbe un’improvvisa sensazione di deja-vu, prima ancora di riconoscere il luogo si guardava attorno cercando i grandi lupi della Foresta Oscura che non potevano essere lontani.
Mentore lo guardava senza capire la ragione di quell’improvviso turbamento.

Il Mago lottava per non lasciarsi sopraffare dalla sensazione, che sapeva perfettamente essere falsa, ma non per questo era meno potente.

La testa del lupo spuntò da dietro uno dei tronchi e Jona fu ad un passo dal cedere e fuggire urlando, ma non si trattava di un lupo, bensì della testa di un drago che, con le pupille enormemente dilatate nella semioscurità, tentava di capire ai fiochi raggi della luna che cosa lo avesse disturbato.

La sensazione sparì senza lasciare traccia e Jona si avvicinò al drago dicendo con voce perfettamente calma: “Sono venuto su richiesta Divina. Devo parlare con il Sacerdote.”
Il drago inclinò il testone di lato per vedere meglio e allungò il collo verso di lui, dardeggiando con la lingua bifida.
Jona si fermò davanti a lui e quello venne ad appoggiare la testa sulla sua mano. Il Mago, senza pensare, gli fece una carezza sulle morbide squame che coprivano il collo e quello chiuse gli occhi e cominciò a fare le fusa.
Cercò di parlare ancora, ma, per tutta risposta, il drago allungò il collo sporgendo la testa proprio come un gattone che ha deciso che ha bisogno di una bella grattata sotto il mento: qui ed ora!

“Che facciamo, ora?” Chiese a Mentore mentre il Figlio di Zeo ronfava sempre più forte.
Mentore si strinse nelle spalle, poi disse: “Non è solo”, indicando poco lontano.
Jona vide uno di quei piccoli elfi che, visto da vicino, non sembrava un bambino, era minuto e sottile, come un uccello senza piume, ma aveva lineamenti adulti, se non anziani.

L’elfo stava dormendo appoggiato al fianco del drago, semicoperto dalla grande ala, ma ora che questo si era mosso, si rigirò nel sonno, si accorse che qualcosa non andava e aprì gli occhi.
“Chi siete voi? Da dove venite?” chiese con voce acuta, poi si alzò rapido e si nascose impaurito dietro il drago. Sembrò sentirsi male perché si accasciò lentamente al suolo rannicchiato in posizione fetale.

“Chi siete voi? Da dove venite?” Ruggì il drago, che ora aveva smesso di fare le fusa e li guardava con occhi cattivi.
“Te lo abbiamo già detto: siamo qui per vedere il Sacerdote.”
“Non vedrete proprio nessuno!” Urlò inarcando il collo possente.
Prima che potesse lanciare il suo getto di fiamma, Jona gli infilò il suo lungo bastone in gola e lo ritrasse intriso di un liquido nero che, a contatto con l’aria, prese immediatamente fuoco.
Il Mago roteò il bastone fiammeggiante tenendo a bada il drago mentre faceva attenzione a non appiccare fuoco all’intera foresta.
“Ne arrivano altri”, lo informò Mentore mentre cercavano di ritirarsi verso il centro del boschetto.

Se ne era accorto anche il drago che emise una buona imitazione di una risata e chiese beffardo: “Quanto pensi di poter resistere? Penso proprio che ci divertiremo.”

Jona, che stava continuando ad roteare il suo bastone infuocato fra se e il Figlio di Zeo, scattò improvvisamente in avanti e colpì la testa di quel mostro con un colpo talmente forte da farlo ondeggiare e da spegnere le fiamme.
Mentre Mentore si spostava per tagliare la strada ai draghi che stavano arrivando agitando le ali per correre più veloci su per il pendio, Jona aggirò il drago momentaneamente intontito e, schivando con un salto la coda che sferzò l’aria sotto di lui nel tentativo di farlo inciampare, si portò vicino all’elfo che era sempre rannicchiato e non dava cenni di vita.

“Che vuoi fare, maledetto?” ruggì il drago che era riuscito a girarsi, pur impacciato dagli alberi.
“Io non voglio fare assolutamente nulla. Ma è meglio che ti calmi o qualcuno potrebbe farsi male”, disse sollevando l’elfo e tenendolo delicatamente davanti a se — era incredibile quanto fosse leggero — “dopotutto non vorrai mica bruciarti da solo, vero?”

Il drago parve sgonfiarsi e rimase immobile. Anche gli altri, che erano oramai arrivati al limitare del bosco, resisi conto della situazione, si fermarono.

“Lascia in pace quel povero animale e ritorna nel tuo corpo. Non ho nessuna intenzione di farti del male, o l’avrei già fatto. Sono qui per parlare con il vostro Sacerdote e lo farò. Preferirei farlo senza che nessuno ne soffra.”
Sentendo che l’elfo si muoveva lo appoggiò delicatamente al suolo e disse, rivolgendosi a lui e non al drago, stavolta: “Mi faresti l’onore di accompagnarmi al Tempio, per favore?”
L’elfo lo studiò, forse chiedendosi se poteva attaccarlo direttamente, ma Mentore si portò come un lampo al suo fianco e l’idea, se veramente c’era stata, svanì.