Zeo

Mentre passavano fra i draghi che circondavano il bosco l’Elfo tentò di divincolarsi, ma Jona, che si aspettava una mossa simile, non si lasciò sfuggire la mano che teneva, pur cercando di non rompere quelle ossa sottili.

Arrivarono fino all’edificio centrale senza altre sorprese.
Sulla porta una doppia fila di assistenti con il simbolo azzurro di Zeo lo stava aspettando.

Giunto sulla soglia, vedendo l’interno azzurro del Tempio, Jona lasciò la mano dell’Elfo dicendogli gentilmente: “Grazie, da qui credo di poter proseguire da solo”, dopo di che si girò e, senza guardarsi indietro, entrò con Mentore al suo fianco.

Si diresse con passo sicuro verso la camera interna da cui proveniva la luminosità azzurra che rischiarava tutta la sala.

“Cosa cerchi, straniero?” Chiese il Sacerdote — un assistente, che, pur essendo assolutamente identico a tutti gli altri, dava l’impressione di essere molto vecchio e saggio.
“Chiedo di librarmi alto nel cielo”, rispose Jona con il saluto formale, ricevendo la risposta canonica: “E allora liberati dal peso che ti tiene schiacciato sulla terra!”

“Il mio cuore è leggero, ma sento che un peso grava su questa valle. Posso essere di un qualche aiuto?”
Il Sacerdote scosse il capo: “Non credo tu possa far nulla.”

“Gli Dei, almeno alcuni degli Dei, mi hanno inviato qui in cerca di saggezza. Molte cose ho capito, almeno credo, ma molte domande ancora attendono risposta. Puoi aiutarmi?”

Una mia collega direbbe che: “devi cercare la saggezza in fondo al tuo cuore”
Tutti gli assistenti, incluso il Sacerdote e Mentore, erano immobili come statue. Anche i simboli sulla loro spalla sinistra erano scomparsi.
Mentore era tornato ad occupare l’Amuleto che ora brillava di luce rossa.
Zeo lo guardava dall’alto con quel suo naso adunco e quegli occhi grifagni che lo facevano somigliare ad un’aquila.
Jona tacque e il Dio proseguì: “Dici di aver capito molte cose; dimmi che cosa hai capito e, se sarò soddisfatto, ti farò altre domande.

Jona pensò: “Anche lui!”, ma rimase impassibile e cominciò a elencare:
“Questi piccoli Elfi, che io avevo pensato fossero bambini, sono un popolo che Tu hai creato, probabilmente con l’aiuto di Dana.”
“Gli animali che chiamerò “draghi”, in mancanza di un nome migliore, sono un’altra delle Tue creature.”
“Tra i draghi e gli elfi c’è un legame, credo un legame molto stretto e permanente.”
“I draghi, da soli, sono solo degli animali, hanno un buon carattere e sono socievoli, pur essendo dei cacciatori di prim’ordine. Immagino che abbiano molto dei gatti, non ostante le apparenze.”
“Gli Elfi possono prendere il controllo completo dei draghi, o, più probabilmente, del loro drago, quando vogliono, ma perdono il controllo del proprio corpo quando lo fanno. Qualcosa di simile a quel che fanno gli Sciamani.”
Jona si fece più insicuro e titubante, ma proseguì:
“Il legame, però, sembra più esclusivo e potente. Gli Elfi passano più tempo come draghi che come Elfi!”
“C’è qualcosa di sbagliato, ma non so cosa di preciso. L’unica cosa che mi viene in mente sono le storie degli sciamani che non sono riusciti a troncare il rapporto con il loro animale ed hanno finito per morirne!”

Jona tacque e Zeo rispose con la voce venata di ammirazione: “Hai veramente capito molte cose Mago. Ti dice nulla l’espressione “I Cavalieri dei Draghi”?

I Cavalieri dei Draghi? Quei Cavalieri dei Draghi? Possibile che gli Dei si divertissero a realizzare tutte le fantasie degli antichi? Certo, c’erano delle differenze, ma
Sì.

Jona raccolse le idee, scacciò la tentazione di affrontare immediatamente Mentore e ricominciò ad elencare contando sulle dita: “Le implicazioni della Tua domanda sono tante e non sono sicuro di non perdermi per i rami; Ti imploro di fermarmi se prendo delle strade errate.”
Zeo si limitò a guardarlo con i suoi occhi penetranti.

“I Piccoli Elfi, secondo le Tue intenzioni, dovevano essere dei Cavalieri dei Draghi.”
“Questo spiega la loro piccola statura e il fatto che siano così leggeri. Probabilmente hanno le ossa cave come gli uccelli.”
“Anche quella strana gibbosità che che hanno i draghi alla base del collo si spiega: è una specie di sella naturale.”
“C’è anche un legame a distanza fra Cavaliere e Drago — anche questo è frequente nei racconti di cui si parlava — che si forma molto presto nella vita del Cavaliere e non si spezza fino alla morte.”

Vedendo che Zeo continuava a tacere proseguì cauto:
“I draghi devono avere, nel loro cervello, un organo molto simile a quello che hanno quegli animali che gli Sciamani riescono a controllare.”
“Non ho visto, presso i Piccoli Elfi, strumenti simili al bastone di Airone Infelice che facciano da tramite; devo presumere che anche gli Elfi abbiano un organo specializzato nel loro cervello.”
“Questo, però”, Jona stava oramai parlando a ruota libera, stupito egli stesso di dove lo stava portando il suo ragionamento ad alta voce, “ha, in qualche modo, reso il legame ancora più forte.”
“Probabilmente, nelle intenzioni, doveva essere più debole, sufficiente a guidare i draghi, ma non a provocare una completa identificazione.”
“Una volta “diventato” il Drago l’Elfo non ha più bisogno di portarsi appresso il peso morto del suo corpo.”
Vide un lampo negli occhi del Dio. Non era così semplice.
“Il processo di identificazione, probabilmente, richiede tempo. Da giovani gli Elfi cavalcano veramente i Draghi. Il legame doveva essere più debole, altrimenti il Cavaliere non sarebbe riuscito a rimanere in sella!”
“Il giovane Drago fa molta fatica a portare l’Elfo, ma la fa volentieri perché ha un indole socievole.”
“Gli Elfi sono invece molto irascibili e territoriali. Forse perché sono più simili ai rapaci. Avrebbe anche senso: se devono essere in grado di guidare i Draghi nel cielo devono avere anche molti degli istinti dei volatori. Ho osservato i Draghi, volano come grandi rapaci.”

Zeo aveva uno sguardo velato, triste, mentre rispondeva:

Jona rimase inebetito mentre contemplava le implicazioni di quello che il Dio aveva appena detto.
Lo riscosse un lampo verde: Asclep era apparso a fianco di Zeo; vederli così, uno accanto all’altro sembravano due fratelli.

Capisci ora quello che ti volevo dire?
Quel che voleva dire? Quando? A cosa si riferiva Asclep?
Il Dio sorrise con quel sorriso infinitamente più dolce di quello di Zeo, congiunse le mani una sull’altra e poi le allontanò in verticale. Nello spazio fra di esse si formò una piccola immagine nella quale si vedevano Jona ed Asclep.

Erano in una stanzetta del Tempio di Asclep ad Innerwald e Jona stava dicendo:“Adesso capisco perché Gornor è così cauto: Solo gli Dei possono prevedere davvero i risultati di manipolazioni genetiche.”
Asclep gli rispondeva: “Non è del tutto corretto, ma va abbastanza bene.

Asclep richiuse le mani e l’immagine scomparve.

Jona era basito e riuscì solo a balbettare: