Ipno

Il Califfo ritornò nella stanza rosso in volto e furente.
Era attorniato dai suoi Hashashin e al suo fianco aveva uno di quelli che avevano partecipato al tentativo di rapimento del Geco, probabilmente il capo.

Trovò le due donne che stavano giocando a scacchi con i due giannizzeri che guardavano interessati commentando a bassa voce.
In realtà Duliana stava giocando da sola, riproducendo una partita che lei conosceva a memoria e che era sicura che il Califfo non conoscesse; una partita che finiva con una patta. Intanto Serna stava usando l’Amuleto per controllare i particolari. Era certa della sua intuizione, ma voleva conferme e aiuto. Ora l’Amuleto, dopo aver passato tutti i colori dell’iride, era tornato ad un giallo cromo appena percettibile.
La scacchiera con la partita che Duliana stava giocando con Hassijad era in bella mostra lì accanto, come se attendesse i giocatori.

“Sono loro”, disse il capo dei rapitori.
“Così tu sei l’amante del Visir di ‘Rruth! Mandata per sedurmi! E io ci sono caduto come un ragazzino ai primi fuochi.”
“Lo dicevo io che era una puttana mandata per abbindolarti”, disse Zebadiah all’orecchio del Califfo, ma con voce abbastanza alta da essere sentita da tutti.
Serna tossicchiò riportando l’attenzione su di sé: “Allora, hai deciso se vuoi ascoltarmi?”
“Oh, certo che ti ascolterò e tu parlerai eccome! Prendeteli!”
Gli Hashashin estrassero le loro armi, tutte basate sul filo del ragno. Tutte armi assolutamente letali.
Serna si alzò per fronteggiarli: “Qualcuno, poco fa ha detto: “Non credere che io sia indifeso solo perché voi siete quattro ed io sono solo”. Quella di prima era una dimostrazione di coraggio, apprezzabile, ma nulla più. Ora è la pura verità.” Uno dopo l’altro i ruhmal sparirono, o meglio, sparì il filo, dopo essere diventato per un istante luminoso.
“No, questa è una partita che non puoi vincere con la forza”, disse mentre le guardie si accasciavano addormentate come birilli attorno a lui. Solo il Califfo, Zebadiah e il capo dei rapitori rimasero in piedi.

Hassijad si scagliò su di lei brandendo una corta lama di buon acciaio, ma si trovò davanti il muro formato dai due giannizzeri che emanavano un’aura di competenza marziale talmente forte che anche il Califfo capì immediatamente che era inutile sfidarla. Sembrava un topo in trappola, aveva dimenticato di avere centinaia di Hashashin a portata di voce, o forse credeva veramente che la Maga potesse affrontarli tutti assieme.

Zebadiah stava per dire qualcosa, ma Serna lo prevenne: “Taci tu, traditore!” Un gesto e la sua bocca scomparve, assieme ai baffetti a punta lasciando una superficie liscia dalla quale non poteva uscire alcun suono.

Hassijad si rizzò in tutta la sua non formidabile altezza e la guardò con occhi spiritati: “Credi di aver vinto, strega, ma non puoi fermare la Vendetta!”
Cadde sulle ginocchia e schiacciò l’intero volto sul pavimento lucido tenendo le mani serrate dietro la schiena.
Prima che potesse pronunciare l’invocazione a Thano, Duliana gli si precipitò accanto, in ginocchio e con le mani rivolte al cielo: “Ipno, non permettere si distrugga con le sue stesse mani! Lo chiedo nel nome del perdono che io ho già accordato.”

Alzati, non è questo il modo di stare davanti a degli ospiti. Tsk, tsk, potrai chiedere aiuto a Thano più tardi, se proprio ci tieni.

Si rivolse quindi a Serna: “E tu? Lo hai perdonato?
“Finalmente ho capito”, fu la risposta, “non è lui il responsabile della situazione.”

Giusto, se non c’è dolo non c’è necessità di perdono.

Il Califfo si stava rialzando. Sembrava completamente svuotato. Gli occhi passavano dal Dio a Duliana e poi a Serna per tornare al punto di partenza.

Ipno lo ignorò e si rivolse invece a Zebadiah: “E tu? Tu hai mai perdonato qualcuno?” Passò una mano davanti al suo viso e la bocca ricomparve: “Tsk, tsk, non so se ti sto facendo un favore a ridarti la parola.

Zebadiah aveva gli occhi fuori dalle orbite. La voce che uscì dalle sue labbra era strozzata e non sembrava nemmeno la sua: “No, non ho mai perdonato nessuno. Tutti quelli che mi hanno attraversato la strada sono stati puniti o lo saranno in futuro.”

Tsk, tsk, come pensavo. Temo di non poter fare nulla per te, allora.

Si rivolse quindi al Califfo: “Quella donna ha ragione, sai? Potrai invocare Thano anche un solo istante dopo che me ne sarò andato, ma ho idea che te ne pentiresti presto.
Tsk, tsk, cara ragazza hai intenzione di far del male al qui presente Hassijad?
La domanda era rivolta a Serna che rispose immediatamente: “No, non ho intenzione di far del male né a lui né a nessuno del suo popolo. Giuro e ti chiamo a testimone, che non alzerò un dito se non per difendermi da un attacco diretto ed evidente.”
Tsk, tsk, è più di quello che ti avevo chiesto. Accetto di fare da Testimone del tuo Giuramento, Serna di Tigu.
Poi si rivolse nuovamente al Califfo: “Non credi che ti converrebbe sentire che cosa ha da dire, prima di scatenare il putiferio?

Il Dio si avvolse nel suo mantello di tenebra e scomparve.

“Allora? Cosa hai da dirmi, Serna di Tigu?” Chiese il Califfo ritrovando parte della sua arroganza.
“No, non la stare a sentire! Sono qui per distruggerti. Per distruggere tutto quello che abbiamo costruito”, sibilò Zebadiah che aveva ritrovato la sua voce.

“Di che hai paura Zebby?” Lo interruppe la Maga ghignando, “Forse di quello che potrebbe raccontare Shaitan?”
“Shaitan se ne è andato!”
“Davvero? E tu come lo sai Zebby caro?” Serna aveva usato per la seconda volta il nomignolo con cui Hassijad chiamava Zebadiah da bambino.
Il Califfo si girò lentamente verso il suo consigliere, guardandolo come se non lo avesse mai visto prima d’ora: “Già, tu che ne sai di Shaitan?”
Zebadiah cominciava a sudare e non certo per il caldo: “Me ne ha parlato tuo padre, mi ha detto che sarebbe scomparso per sempre con la morte di tuo nonno, Ahmanejadil. Non è quello che è successo?”
“Certo, ma escludo nella maniera più assoluta che te ne possa aver parlato. Ricordo bene i giuramenti che sia lui che mio nonno mi fecero fare di non far capire a nessuno, che non fosse di famiglia, che esisteva. Non avrebbero infranto i loro stessi giuramenti.”
“E invece sì! Tu eri troppo piccolo per capire veramente. Io ero già il braccio destro di tuo padre. Non aveva segreti con me”, Zebadiah aveva ritrovato la sua sicurezza ed ora stava usando la sua eloquenza oliata da decenni di pratica.

Serna lo interruppe: “Perché non lo chiediamo a lui?”
“Lui chi?”
“Shaitan, naturalmente”, rispose lei con un sorriso.
“Ma se ti abbiamo appena detto che se ne è andato per sempre!”

Senza dar loro il tempo di rispondere si avviò con passo regale verso la porta. Passando accanto al Califfo lo prese sotto braccio e gli mormorò: “Dubito tu voglia tutta questa gente senta quel che Shaitan avrà da dire.”

Uscirono dallo studio in parata: Serna sorridente a braccetto con il Califfo, seguiti da Zebadiah e Duliana che si guardavano in cagnesco; dietro venivano i due giannizzeri che si comportavano come la guardia d’onore.