Campo Base

La mattina dopo evocò Asclep per avere tutti i dettagli sulla fisiologia a quelle quote elevate. In precedenza non aveva mai passato i tremila metri mentre ora era abbondantemente sopra i quattromila e la sua destinazione, sulla cima di quella montagna, era oltre i seimila. Decisamente non era una cosa da affrontare impreparati. Darda aveva ragione: inutile rendere troppo facile il lavoro a Thano.

Passò diverse ore a pianificare le proprie mosse, prima di concedersi il lusso di esplorare completamente quel rifugio sperduto a migliaia di chilometri da ogni essere umano.
Era del tutto evidente che era stato usato da una lunga schiera di Cercatori, prima di lui e, ne era convinto, sarebbe servito a chi fosse venuto dopo.

Non c’erano messaggi scritti, solo oggetti, per lo più riposti ordinatamente come se il proprietario li avesse lasciati per poi tornare a prenderli più tardi.

Da diversi indizi arrivò a capire che quella grotta, probabilmente artificiale, veniva usata diverse volte all’anno. Un piccolo, ma continuo, flusso di persone — Cercatori come lui — tentava la salita verso la torre.

Rimase una settimana intera per cercare di acclimatarsi all’altitudine, poi quasi un’altra perché il tempo volse improvvisamente al brutto e una densa coltre di nuvole prese possesso della cima, mentre venti impetuosi spazzavano l’altopiano. Non piovve molto, ma non era certo il momento di mettersi in cammino.

Quando il sereno tornò a rallegrare l’altopiano, Jona dovette frenare ancora l’impazienza per ricostruire le provviste che aveva consumato nella settimana nella quale era rimasto tappato nella spelonca.

Due giorni dopo, dopo un’ultima preghiera a Zeo che gli garantisse almeno due giorni di bel tempo, decise che era pronto, o, meglio, si corresse mentalmente, non sarebbe mai riuscito ad essere più pronto di così.