Baal

Jona si svegliò di soprassalto.
Il sole era molto alto.

Aveva temuto di non riuscire ad addormentarsi, data la tensione e la stanchezza, ma non era stato così.
Rotolò fuori dal letto, ripiegando il mantello che gli era servito da coperta.
“Buon giorno!” Lo salutò l’Amuleto.
“Buon giorno anche a te. Ti sei annoiato?”
“Non troppo. Ho controllato lo stato delle rapide. Tu dormivi come un bambino.”
“Infatti mi sento ben riposato”, disse stiracchiandosi e cominciando gli esercizi per sciogliere le articolazioni irrigidite dal sonno. “Siamo ancora a tempo per partire oggi? Non mi pare sia ancora mezzogiorno”
“Se ti sbrighi sì, anzi, penso sarebbe meglio, visto che tra non molto ci saranno altri che devono usare questo rifugio.”
Jona non fece commenti. Si stava abituando a quel vezzo irritante di dare consigli circostanziati senza spiegazioni. Sapeva per esperienza che insistere era inutile. L’Amuleto avrebbe spiegato se e quando gli fosse parso opportuno.

Finì rapidamente i suoi esercizi e si preparò in fretta, fece colazione con gallette e miele ed era pronto a partire.
La zattera era dove l’aveva lasciata. Un rapido giro d’ispezione mentre sistemava la sua roba a bordo gli confermò che tutto era in ordine.
Mentre si allontanava dalla riva, spingendosi con il suo lungo palo per guadagnare il filo della corrente un gruppo di elfi entrò nella radura reggendo sulle spalle qualcosa.
“Quello è l’”appuntamento” di Thano”, spiegò laconico l’Amuleto, “vengono per liberare la sua anima.”
Jona fece a tempo a notare l’asse che portavano e su cui era scritto un nome in caratteri rossi: “Audagor”, ma sembrava sostenere solamente un vecchio mantello; decisamente Thano non aveva lasciato molto, pensò con un brivido, poi l’ansa del fiume li nascose alla vista.

La corrente era vigorosa, ma regolare e la zattera procedeva senza troppe scosse.
“Siamo partiti senza preparazione. Che mi dici di queste famose rapide?”
“Niente che ti debba impensierire troppo, basta che tu segua la rotta”.
Una striscia gialla apparve al centro del fiume, poco lontano dalla zattera.
“Non discuto”, disse Jona mordendosi la lingua e manovrando per avvicinarsi a quella striscia, “ma preferirei ugualmente sapere che cosa mi aspetta.”
“Va bene.” Apparve l’Occhio dal Cielo che mostrava il fiume che faceva meandri in un’ampia pianura boscosa per poi incunearsi in un passaggio fra un’alta montagna e un collinotto roccioso che chiudeva la valle. L’occhio calò in picchiata sulla strettoia con una velocità tale da costringere Jona a stringere il remo per evitare di cadere per le vertigini mentre lo stomaco gli arrivava in gola.
L’Amuleto aveva tracciato una rotta che evitava accuratamente i gorghi e i buchi che costellavano le rapide.
Si poteva fare, ma di spazio per errori non ce n’era molto.

Jona si sedette al centro della zattera e posò il remo. Stancarsi per cercare di tenere la rotta migliore ora, era del tutto inutile.
Studiò accuratamente le immagini e discusse con l’Amuleto le ragioni di certe scelte, più per passare il tempo che per vera necessità.

Il sole era ben alto nel cielo del primo pomeriggio estivo quando Jona cominciò a sentire da lontano il rombo delle rapide; bevve un sorso d’acqua dal suo otre e si preparò.
Riguadagnò la striscia gialla e cominciò a seguirla vogando lentamente per mantenere il controllo della zattera che già cominciava a dar segni di nervosismo e smaniava per mettersi a girare su sé stessa.
Le rive del fiume si alzarono ai suoi lati e non ebbe più il tempo di pensare. Concentrato sulla striscia gialla davanti a lui aveva un solo scopo nella vita: non lasciarsela scappare, anche se si contorceva e cercava di nascondersi fra gli spruzzi.

Il sole stava accarezzando i dolci pendii dei monti a ovest quando si permise di alzare lo sguardo dalle onde.
La valle era larga alla sua sinistra.
Le rapide erano alle sue spalle.
Di fronte a lui, poco lontano, c’era un piccolo agglomerato di case. Strane, ma indubitabilmente umane.
Jona si diresse da quella parte.

Di fronte a quel gruppo di case ben tenute, in uno specchio di acqua calma, c’era un piccolo porto fluviale con un solido molo di legno al quale fissò la sua zattera, prima di prendere la sua roba e dirigersi verso quella che sembrava una locanda.
Le case erano tutte costruite con grosse travi che si intersecavano in modi complicati, gli spazi fra di esse riempiti di materiale intonacato a calce.

Vicino alla porta di ciascuna di esse c’era un’asta che recava un’insegna di ferro battuto. Jona si diresse verso quella che rappresentava un letto con sopra un enorme boccale. Difficile sbagliare.

La stanza aveva il soffitto basso ed era divisa in molte piccole alcove dagli innumerevoli travi e travetti che costituivano l’intelaiatura portante di quella casa. Cerano una decina di avventori divisi su tre tavoli, più un paio seduti su alti sgabelli vicino al bancone dietro il quale un omone con un grembiule di pelle nera stava spillando una birra chiara da una grossa botte.
Jona sentì qualche parola di una lingua dura e assolutamente incomprensibile prima che l’amuleto cominciasse, come al solito, la sua opera di traduzione:
“Benvenuto straniero, cerchi alloggio?”
Jona si trovò davanti un enorme boccale di birra schiumosa prima di avere il tempo di rispondere.
“Solo per stanotte. Ho bisogno di un posto per dormire e di qualcosa da mangiare.”
“Hai denaro?”
Jona fece rotolare sul tavolo alcune monete di rame.
L’oste fece un rapido calcolo, poi spazzò il bancone con una mano che sembrava un badile: “Stufato, patate e un altro boccale come quello. Dovrai dividere la stanza con un altro pellegrino”, disse come se tutto fosse oramai deciso. Jona fece un cenno d’assenso e trasportò il boccale e il suo zaino fino a un tavolo nell’angolo più lontano dalla porta dove si sedette in silenzio a osservare sala e avventori.

La birra era buona, meno amara di quella a cui era abituato e sembrava anche più leggera, ma non per questo mancava di sapore, anzi.
L’atmosfera era strana, per una locanda. Jona ci mise un po’ a capire che cosa lo disturbava: la quiete. Tutti parlavano a bassa voce, tanto che Jona riusciva a sentire lo sciabordare del fiume sopra il sommesso brusio.
Non c’era tensione o imbarazzo nell’atmosfera; ripensandoci si rese conto che anche l’oste aveva parlato con un tono di voce molto basso. Ci fosse qualcuno che dormiva? No, non sembrava una cosa studiata; pareva un’abitudine. Jona fece un appunto mentale di cercare di tenere il suo tono basso.
L’oste fece scricchiolare l’assito sotto il suo peso, quando venne a portargli il suo stufato fumante e il secondo boccale, come promesso, ma quello fu quasi l’unico rumore.

Jona mangiò lentamente, cercando di rilassarsi, poi raccolse le sue cose e chiese all’oste: “Dove?”
Quello gli indicò la scala e, mentre Jona cominciava a salire, girò attorno al bancone per seguirlo.
La stanzetta era angusta e spoglia. Due pagliericci ne occupavano la maggior parte.

“Ti conviene prenderti il letto sotto la finestra, così quando Wolfo verrà a dormire non ti disturberà troppo. Potrebbe essere un po’ brillo. Gli capita spesso, da qualche tempo”, aggiunse con un evidente imbarazzo, “non ti avrei messo con lui, ma ho tutte le camere piene.”
Jona lo guardò dritto negli occhi: “Devo stare attento a qualcosa in particolare?”

Quando l’oste uscì richiudendosi la porta alle spalle sistemò lo zaino come cuscino, con l’apertura verso la parete, pur sapendo che la migliore difesa contro i furti la portava appesa al collo.
Il cielo era ancora chiaro quando si stese.
Il letto era comodo e lui stanco: si addormentò come un sasso.

Lo risvegliò un boato spaventoso.
Wolfo era entrato nella stanza reggendo un fungo luminoso elfico che ondeggiava parecchio assieme alla sua mano che cercava un appiglio.
Trovò uno dei travetti che dividevano in due lo stanzino e si trascinò ondeggiando verso il pagliericcio più vicino. Decisamente Wolfo aveva bevuto parecchio. Sentiva il suo fiato alcoolico senza bisogno di avvicinarsi. Jona aprì la finestra un po’ di più, sperando in un ricambio d’aria.
Altro boato. Questa volta Jona capì di che si trattava: un rutto colossale.
Wolfo si lasciò cadere sul letto senza nemmeno togliersi i grossi zoccoli che aveva ai piedi. In pochi istanti cominciò a russare sonoramente.
No, decisamente non c’era nulla da temere, almeno da quella parte.
“Amuleto: incantesimo del silenzio!”