Carbone!

La mattina dopo Jona e Stephan se ne andarono a cercare un posto adatto, mentre Michele smerciava le sue belle accette affilate e le grandi seghe a quattro mani.
Trovarono uno spiazzo piano nel bel mezzo di una zona che era già stata diradata dal taglio dei grandi tronchi.
“Lo spiazzo va benone. Ora dovete pulirlo per bene e lasciare solo la terra. Niente foglie. Niente aghi di pino”, diceva Geppo nell’orecchio del Mago, “La legna, invece, lascia parecchio a desiderare. Il pino ha troppa resina, ci vorrebbe faggio o quercia, ma lì intorno non ne vedo. Eh, dovrete accontentarvi.” Jona riferiva come fosse farina del suo sacco.
Preparare il terreno fu una faccenda lunga, anche con l’aiuto di Michele che li raggiunse in tarda mattinata.
A sera, quando tornarono al campo, avevano piazzato il palo per il camino e cominciato a tagliare la legna.
Stephan era una macchina: usava la roncola con una precisione micidiale e aveva sfornato una quantità di rami dritti e tagliati tutti della stessa lunghezza che Jona e Michele stavano ammonticchiando in file ordinate intono al palo, seguendo le istruzioni di Geppo.
Questi aveva preso gusto al suo ruolo di consigliere e parlava in continuazione, dando consigli sulla disposizione di ogni singolo pezzo di legna. Jona faceva del suo meglio per filtrare quella cascata di parole e capire cosa ci fosse di effettivamente importante.
La sera del secondo giorno avevano finito di ricoprire di foglie e terriccio fresco l’intera struttura.
“Più piccolo di così non si può fare, altrimenti, come apri il camino, va tutto in fumo”, diceva Geppo, “è molto meglio farne di più grandi: si controllano meglio e, alla fine, rendono di più, ma poi devi lasciarli cuocere più di una settimana. Questo, invece, in un paio di giorni dovrebbe essere a posto”.
La mattina dopo accesero il fuoco, tolsero il palo dal camino e cominciarono ad alimentare la carbonaia con braci ardenti.
Il lavoro, ora, era essenzialmente controllare e aspettare. Anche Geppo rallentò il ritmo martellante dei suoi commenti.
“Amuleto, togli la voce”, mormorò Jona.
“Non vuoi sentire più Geppo?”, chiese l’Amuleto. Se l’immaginava o l’Amuleto aveva un tono canzonatorio?
“No. Voglio che Geppo non senta noi.”
“Va bene. Fatto.”
“Stephan, Che mi sai dire degli Elfi?”, chiese Jona con tono discorsivo.
Stephan si rabbuiò. “Quei demoni! Credono di avere il diritto di dirci quello che possiamo o non possiamo fare! Si considerano i figli di Asclep e, pertanto, padroni e signori di tutte le piante del mondo.”
“Beh, un erborista come me dovrebbe avere parecchio da imparare, no?”

Il fumo che usciva dagli sfiatatoi a metà altezza della carbonaia stava diventando azzurrino. Jona si alzò per andarli a coprire e aprire, con un bastone appuntito, un’altra fila di sfiati, un palmo più in basso, lieto per la diversione. Lo sfogo di Stephan, di solito calmo e misurato, lo aveva scosso. Che aveva in serbo per lui, Thano?
“Bravo”, gli disse Geppo nell’orecchio, “stavo aspettando per vedere se te ne saresti accorto da solo. Puoi diventare un buon carbonaio, Mago”.
La sera del secondo giorno di “cottura” gli sfiatatoi erano arrivati alla base della carbonaia ed emettevano fumo azzurrino. Seguendo le indicazioni di Geppo coprirono accuratamente tutte le prese d’aria in modo da soffocare il fuoco residuo e lasciarono a raffreddare.
La mattina successiva scoprirono con cautela la carbonaia, pronti a spegnere le fiamme se il fuoco fosse divampato.
“La fortuna del principiante”, sentenziò Geppo, “meglio di così non vi poteva andare. Vi scongiuro state attenti le prossime volte: non sempre le cose vanno così lisce.”
Michele raccolse una manciata di carbone e andò ad accendere un piccolo fornello che si era portato appresso. Tornò mezz’ora dopo con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Non ebbe bisogno di dire nulla.
Prima di mezzogiorno stava riscendendo la valle verso Linda con il carro carico di carbone.