Jona rimase ospite di Berlinda e Turon non solo fino alla mattina successiva, come aveva sperato, ma per molto più tempo, quasi una settimana.
Non rimase mai da solo, tranne che nelle ore di sonno, e nessuno dei suoi “ospiti” si allontanò mai dal piccolo appartamento.
La comunità dei Nani di Nayokka era stata fondata circa cinquecento anni prima, a quanto pareva direttamente da Festo stesso che aveva costruito personalmente la montagna, la piazza, i ponti, il parco e un piccolo nucleo di case che si affacciavano sulla Larga: la strada, lunga più di sei chilometri, che dalle porte conduceva direttamente al Parco.
Quasi tutte le diramazioni laterali erano state, invece, scavate dai Nani, mano a mano che ne cresceva il numero e le necessità.
Come Jona aveva sospettato la roccia era costituita da una schiuma di vetro leggera, ma molto resistente, che i Nani scavavano agevolmente e poi rendevano liscia fondendo la superficie e vetrificandola a fuoco.
La roccia era attraversata da vene di una sostanza chimica che immagazzinava la luce e rimandava quella fosforescenza verde. Queste vene erano molto più frequenti lì, vicino alle porte, che nelle parti interne, per questo i Nani avevano dovuto sviluppare i globi luminosi arancioni.
Jona sapeva già che i Nani erano dei meccanici eccellenti, quello che imparò in quella settimana di convivenza forzata fu il loro amore viscerale per i congegni complicati. Qualunque cosa, compresi i fermagli che tenevano uniti i vestiti erano complicati e ognuno un pezzo unico, differente da tutti gli altri. Imparare ad aprire il rubinetto dell’acqua fu quasi come imparare a scassinare una serratura.
Finalmente, quando già cominciava a chiedersi se il suo isolamento sarebbe durato fino a primavera, gli venne comunicato che il Martello l’avrebbe ricevuto dopo pranzo.
Scesero tutti e tre con l’ascensore. Jona cercò di capire come funzionava, ma Turon fece in modo da frapporsi fra l’ospite e le leve che azionava. Poi salirono su uno strano carro che camminava su rotaie, trascinato da un complesso sistema di cavi metallici.
Le pareti della Larga sfrecciavano ai lati come se fosse stato su un cavallo lanciato ad un galoppo sfrenato, ma il carro procedeva quasi senza scosse e con un sonoro ronzio,
“Attento alla luce; proteggiti gli occhi”, disse Turon mentre si riparava la vista con una mano sugli occhi.
Jona l’imitò prontamente e le sue palpebre chiuse vennero colpite da una luminosità bianchissima.
Quando si fu riabituato, dopo giorni di penombra, pensò di essere all’aperto sotto un sole cocente, poi, mano a mano che riusciva a mettere meglio a fuoco, si rese conto di essere ancora nelle viscere della montagna, in una specie di enorme serra, larga circa un chilometro e molto più lunga, con le pareti di roccia vetrosa e un tetto trasparente con archi a sesto acuto che si perdevano nel cielo.
“Questa è opera di Festo”, gli comunicò Berlinda dopo avergli lasciato il tempo di capire quel che aveva davanti agli occhi.
Il carro continuò a correre lungo una parete che sembrava un’enorme falesia che racchiudeva una valle fertile.
Turon azionò dei comandi e il carro cominciò a rallentare lasciando il binario principale per arrivare poi a fermarsi dietro ad altri carri uguali.
Scesero e Jona si trovò davanti ad uno strano palazzo di pietra e mattoni completamente incastonato nella roccia.
Era in perfette condizioni, ma sembrava molto più vecchio della falesia che lo inglobava. Non fece a tempo a fare altre osservazioni, perché le sue guide entrarono e lui fu costretto a seguirle.
Salirono uno scalone di marmo e, dopo una brevissima attesa, furono introdotti alla presenza del Martello.
Come tutti i Nani anche il Martello era di poche parole e andava dritto alla questione:
“Che dobbiamo fare di te, Jona di Tigu? I nostri Maghi non sono riusciti a disfare il tuo incantesimo. Burlock e alcuni dei suoi compagni sono stati cambiati per sempre, o almeno così pare.”
Jona si guardò intorno e vide facce severe. Troppe.
Mormorò poche parole all’Amuleto, poi si rivolse direttamente al Martello: “Posso cercare di disfare io stesso l’incantesimo, se Burlock vuole.”
Turon si era fatto attentissimo e stava comunicando con il suo Amuleto: “Sei sicuro di riuscirci?” Chiese.
“No, ma posso provare. Potete controllare quello che farò e sono disponibile a spiegarvi in anticipo quel che intendo fare. Non avevo mai usato questo tipo di incantesimo prima”, rispose Jona mentre Turon scambiava rapide frasi sia con il Martello che con l’Incudine.
Turon si ritirò ed il Martello guardò l’Incudine che diede un cenno di assenso quasi impercettibile.
Il Martello calò con forza il pesante martello che aveva in mano sull’incudine che aveva a fianco; ne uscì una nota metallica che risuonò a lungo nel salone: “Sia fatto.”
“Saremo nella saletta superiore”, disse Turon all’Incudine mentre usciva con Jona, Berlinda e altri due Maghi.
Salirono un’altra rampa di scale e si trovarono in un grande salotto con tre alte finestre che si affacciavano sul parco.
Presero posto attorno al largo tavolo ovale e attesero tranquillamente.
Poco dopo arrivò Burlock, salutò i presenti e prese posto vicino a Jona.
Pochi minuti dopo arrivarono anche il Martello e l’Incudine che si sedettero ai due capi del tavolo, fecero girare lo sguardo intorno per assicurarsi che tutti fossero presenti, si scambiarono il solito cenno d’intesa e quindi il Martello chiese guardando Jona dritto negli occhi: “Spero che tu abbia un buon motivo per aver chiesto questa riunione privata. Si tratta di una procedura inconsueta.”
Inutile tergiversare; speriamo che questi Nani siano davvero pragmatici come sembrano; dopotutto hanno acconsentito ad una riunione ristretta, pensò Jona mentre cercava di rilassarsi sulla poltroncina troppo bassa per lui.
Strano, gli venne in mente, la stanza e le finestre sembrano troppo grandi per i Nani, forse troppo grandi anche per gli Umani, la mobilia era, invece, evidentemente a taglia di Nano.
“Non credo di poter far ritornare “normale” Burlock; non senza distruggere una parte della sua mente. Non vorrei essere costretto a provare”, disse con voce ferma.
Diversi dei presenti aprirono la bocca per parlare, ma Jona li bloccò alzando la mano: “Lasciatemi finire, per favore.”
“Come ho detto anche a loro, ho scoperto che l’avversione dei Nani per il mare è legata essenzialmente al movimento che genera in voi uno spiacevole senso di disorientamento. Il senso di disorientamento non posso cambiarlo, quello che ho fatto è cercare di renderlo piacevole associandolo alle cure materne. Questo può essere disfatto con un incantesimo di cancellazione della memoria molto mirato. Posso far vedere a Turon o a qualcun altro come fare o farlo io personalmente.”
Jona fece una breve pausa.
C’era dell’altro; lo sapevano benissimo tutti e attesero cortesemente che lui proseguisse: “Ci sono due problemi: Burlock e qualcuno dei suoi compagni hanno approfittato di questa condizione per fare delle esperienze di navigazione e hanno imparato molte cose. Oramai trovano piacevole la navigazione. Cancellare tutto quello che hanno imparato non è più possibile. Rendergliela spiacevole sarebbe, a mio avviso, una vera cattiveria.”
“E il secondo problema?” chiese il Martello quando Jona si interruppe guardandolo fisso.
“Il secondo problema, non è un vero problema, almeno non per me.”
“Penso che tutta Nayokka avrebbe un vantaggio ad avere almeno alcuni Nani in grado di viaggiare per mare. Andare al Gran Mercato, per esempio, sarebbe molto più agevole e sicuro.”
“Capiamo”, disse il Martello alzandosi all’unisono con l’Incudine, “Apprezzo la tua discrezione, Jona di Tigu. Dobbiamo riflettere. Vogliamo che i nostri Maghi siano in grado di fare e disfare quell’incantesimo.”
Jona chinò il capo e disse due parole all’Amuleto che brillò per un attimo: “Il mio Amuleto ha trasmesso a quello di Turon tutti i particolari.”
“Bene. Sei il benvenuto a Nayokka. Speriamo che ti trovi bene con noi e che tu ci avverta prima di ripartire.”