Dittatori

“Quello che non capisco è perché siano diventate rosse quando ho detto che ero stata mandata per sedurlo.”

Duliana era ancora turbata e non sembrava lo fosse per lo scampato pericolo.
“Che cosa ti disturba, Duliana?”
La danzatrice scosse il capo facendo ondeggiare la massa dei suoi capelli neri:

Serna sorrise annuendo: “No. Lo ho osservato anch’io. Non è quel mostro che appare da fuori.”
“Mi sono fatta un’idea”, proseguì, senza dire che quell’idea veniva da molto lontano; ne aveva discusso a lungo con il padre e ancora non riusciva a capire bene da dove lui avesse preso certe informazioni. Le stava ancora nascondendo qualcosa, a quanto pareva.

“E quale sarebbe, quest’idea?”
Serna si accorse di essersi persa nei suoi pensieri e ci riscosse:
“Come quell’orribile Zebadiah!”
“Beh, Zebadiah, nel nostro caso, ha ragione. Non siamo qui per dare un aiuto al Califfo e al suo staff, dopotutto.”
“Quello che non capisco è perché ti sei opposta così fermamente all’idea di toglierlo semplicemente di mezzo. Anche prima di conoscerlo, intendo dire.”
“Avresti preferito Zebadiah al suo posto?”
Duliana rabbrividì al pensiero: “No, certo, ma tu non potevi conoscere nemmeno lui!”
Serna fece sentire la sua risata argentina: “No, non lo conoscevo di sicuro, ma attorno ai grandi dittatori ci sono sempre stuoli di Zebadiah che gli girano attorno come mosche attorno al miele. Talmente tanti che il miele non si vede più. Si vede solo un cumulo di insetti ronzanti.”
Si fece seria: “No. Niente scorciatoie. Non faremmo che peggiorare le cose.”

Rimase ancora qualche istante in silenzio mentre i servitori cominciavano ad accendere le lampade vicino alle porte che davano accesso al giardino per allontanare le ombre che si facevano sempre più estese.
“Vieni, è meglio che rientriamo”, disse con il tono di chi ha appena preso una decisione,
Esitò abbastanza a lungo, mentre si avvicinavano alla porta, da indurre Duliana a chiedere con urgenza: “E la seconda?”