Epilogo III

Serna era stanca, gli occhi arrossati seguivano a fatica le parole che si inseguivano veloci sulla superficie di quel magico quaderno.
Accarezzò distrattamente il suo pancione quando sentì che suo figlio si agitava dentro di lei.
Si raddrizzò stiracchiandosi. Anche la gravidanza contribuiva ad un dolore sordo alla schiena. Stava seduta troppo tempo davanti alle sue carte.
Era oramai vicina al termine, forse anche questo acuiva il senso di disperata urgenza che sentiva.
Scrollò la testa; inutile illudersi: l’urgenza c’era, era reale e veniva da un altro dei suoi figli. La primogenita aveva da poco compiuto i tredici anni e, oramai, ogni giorno poteva essere quello buono.
Ancora non erano riusciti a trovare una soluzione accettabile al problema che gli Dei avevano proposto tanti anni prima.

Lasciò vagare lo sguardo verso nord, verso le distese del Continente proibito.
Si erano stabiliti su una delle tante isole che costellavano il nord di un enorme lago. Quelle terre erano di una bellezza incredibile, sembrava fossero fatte apposta per ospitare i suoi figli e nipoti.
Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre la disperazione tornava ad afferrarla.
Aveva visto, attraverso gli occhi degli Dei, che cosa avevano fatto gli esseri umani a quelle terre, trasformate in deserti aridi e sterili dove esseri scheletrici a due o quattro gambe si aggiravano alla disperata ricerca di cibo e acqua.
Quel continente, che era stata la culla del genere umano ne aveva subito in pieno l’impatto devastante ben prima degli altri. Era stato il primo a soccombere quando la natura si era ribellata ed aveva presentato il conto di millenni di sfruttamento indiscriminato e di devastazione ambientale.

Tornò a concentrarsi sul suo lavoro.
Forse, pensò per la milionesima volta, si poteva trovare un equilibrio, ma no, ancora una volta le simulazioni che gli Dei le mostravano non lasciavano dubbi: l’equilibrio era instabile.
O le difficoltà erano troppo forti e il gruppo, più o meno lentamente, si estingueva oppure, nel tempo, diventava abbastanza forte da travolgere tutti gli ostacoli e crescere indiscriminatamente fino a distruggere tutto con il peso del proprio numero.

Cominciò a piangere sommessamente e, probabilmente si assopì anche, visto che non si accorse nemmeno che Sindehajad le si avvicinava finché lui non le passò una mano fra i capelli mormorando:
Lei si lasciò aiutare ad alzarsi, poi lo afferrò per un braccio con una stretta che sembrava troppo forte per venire da una donna così minuta, lo guardò con occhi vuoti e disse con una voce che veniva da lontano:
Lui la guardò allarmato senza capire e lei proseguì con voce sempre più forte: “L’intelligenza! L’intelligenza è una trappola! Una volta che si è imboccata quella strada non c’è ritorno. Siamo perduti. Thano ha fatto scattare un’altra delle sue trappole perfette!”

Sindehajad cercò di calmarla mentre, con un movimento degli occhi indicava ad uno dei bambini, attirato dal tono alieno della voce di sua madre, di correre a chiamare qualcuno.

Lei lo interruppe annuendo: “Appunto. Nessuno rinuncerebbe all’intelligenza, una volta avuta: sarebbe come rinunciare a ciò che si è. Questa è la bellezza di questa trappola!” Ora lo guardava con occhi spiritati che non erano completamente a fuoco su di lui.
“L’intelligenza rompe l’equilibrio”, proseguì lei in fretta,
Jona apparve sulla soglia e si bloccò, facendo cenno al Geco di continuare a farla parlare, cosa della quale non c’era nessun bisogno perché Serna era oramai un torrente in piena: “Non passa molto tempo e noi ci ritroviamo ad essere inadatti al mondo che noi stessi abbiamo creato!”

“Adesso non c’è più tempo per cambiare i nostri istinti, stiamo già cambiando il mondo. Non c’è più tempo. Una fottutissima trappola!”
Si piegò improvvisamente in avanti appoggiandosi al marito, poi si raddrizzò e disse con voce perfettamente calma: “Temo di aver affrettato i tempi. Si devono essere rotte le acque”, poi si accasciò fra le sue braccia.

“Maledizione, abbiamo lasciato che si stancasse troppo. Come sta?” Chiese il Geco mentre la sollevava delicatamente per portarla dentro casa.
Jona stava manovrando il suo Amuleto e, dopo pochi minuti, trasse un sospiro di sollievo:

Jona scosse il capo: “No. Sicuramente ha lavorato troppo, ma non credo avesse tutti i torti.”

Tsk, tsk. Non aveva nessun torto, vorrai dire!
Ipno era apparso all’improvviso lasciandoli sconcertati, passò una mano sul viso di Serna che si rilassò e parve più tranquilla: “Riposa, cara ragazza, ne hai bisogno.
Si rivolse quindi agli altri:

Tsk, tsk. Jona! Mi deludi!
Jona rimase una attimo immobile: “La presenza di una trappola non implica necessariamente che qualcuno l’abbia preparata scientemente. Capisco.”
Si tratta di una trappola di cui Thano andrebbe fiero. Scattata milioni di anni fa ha continuato ad agire senza che nessuno se ne rendesse conto finché non ha distrutto l’intera l’umanità. Nessuno l’ha vista se non dopo che tutto era già avvenuto. Nessuno degli Antichi ne ha avuto sentore. Una trappola che ancora non è stata disinnescata.
“Non abbiamo nessuna speranza, quindi?” Chiese Jona mentre un freddo sudario scendeva su di lui.
Notò appena Darda che entrava in silenzio e si portava a fianco di sua nipote, vicino a Sindehajad; la sua attenzione era tutta per il Dio che lo guardava con un’espressione indecifrabile.
A quasi chiunque altro sarebbe bastato sapere che gli effetti di questa trappola non matureranno che tra molte generazioni, per avere tutta la speranza di cui hanno bisogno”, fece una breve pausa e Jona stava per replicare, ma Ipno lo fermò con un gesto della mano: “Tsk, tsk. Non dirmi niente, so bene che a te non basta.

“Una trappola, dunque. Posso intravvedere il ragionamento di Serna. Quello che non capisco è, se è vero che volete che si trovi una via d’uscita, ammesso che esista, perché non ci avete avvertiti.”

“Vuoi dire che ci sono altre trappole?”
Tsk, tsk, certo che ci sono altre trappole! Cosa credi? che si possa risolvere tutti i problemi per sempre? La vita è come i ricordi: implica il suo opposto. Per ricordare bisogna saper dimenticare e per vivere bisogna saper morire.

“Quindi prima o poi moriremo tutti.”

Ricordati il Mago di Blanzoon”, concluse con un vago sorriso prima di scomparire.

La stanza riprese animazione.
Darda si affaccendava attorno a Serna che stava lentamente risvegliandosi.
Sindehajad andava a prendere biancheria pulita per il parto imminente e a chiamare i maggiori dei loro figli perché aiutassero.
L’importante, rappresentato dalle parole di Serna e di Ipno, accantonato temporaneamente per far fronte all’urgenza di un parto che sarebbe presto arrivato, fossero pronti o meno.

Jona uscì silenziosamente dalla stanza dopo aver dato istruzioni di avvertirlo in caso di verificasse il benché minimo inconveniente. Precauzione forse inutile, visto che in nessuno dei nove parti precedenti Serna aveva avuto problemi, nemmeno al primo, solitamente più complicato.
Tra poco avrebbe terminato la prova di resistenza a cui Ipno e Opia l’avevano costretta. Poi avrebbe potuto riposarsi.

Rimase fermo come una statua a guardare il sole che scendeva lento, ma inarrestabile, verso l’orizzonte.
Ora poteva riposarsi.
A trentacinque anni.
Quello era l’errore.
Ipno, come sempre, aveva ragione.
Non aveva nessuna intenzione di darsi per vinto.
A Blanzoon il Mago aveva capito che Jona non si sarebbe arreso senza combattere neppure di fronte a Thano.
Ora era il momento di dimostrare a se stesso che non si trattava di una vuota smargiassata.
In realtà, ora che Serna aveva capito qual’era il nocciolo del problema, un’ideuzza stava sgomitando per catturare la sua attenzione.

Quando il sole calò dietro l’orizzonte e la notte piombò su di loro con una rapidità alla quale non era mai riuscito ad abituarsi, girò sui tacchi per andare a sedersi al posto lasciato libero da sua figlia poche ore prima.