Il cielo era oramai quasi completamente nero e le stelle si mostravano sempre più numerose nell’aria cristallina dell’alta montagna.
Erano ai bordi del lago, pronti a partire per la loro scorribanda notturna.
“Tieni, è meglio che usi questo”, disse Mentore tirando fuori da un recesso del suo torace metallico un oggetto ripiegato su se stesso. Lo aprì e si rivelò essere un paio di grossi occhiali con una specie di cappuccio che si adattava alla testa.
Come Jona adattò gli occhialoni al suo viso si ritrovò in pieno giorno, con un panorama dai colori inquietanti, ma non aveva nessuna difficoltà a vedere dove mettere i piedi.
“Perfetto. Andiamo.”
Avevano già studiato il percorso e sapevano perfettamente cosa dovevano fare.
Jona procedeva spedito con il suo lungo passo da montagna, mentre Mentore lo seguiva da presso, evitando di mettergli fretta.
La falce di luna rischiarava la valle sotto di loro.
Si trattava di un’ampia conca che aveva l’aspetto di un’immensa orma che aveva sgretolato le pendici dei monti che la circondavano.
Loro erano proprio sul crinale, affacciati al balcone naturale, seminascosti fra ampi massi.
Nessuno badava a loro.
I draghi dormivano. Dormivano in recinti ben tenuti che assomigliavano a stalle fornite di tutti i comfort.
Un grande edificio con alte volte era l’unico centro dove si notava una certa attività. Si vedevano degli elfi che andavano per i loro affari.
C’erano anche alcuni elfi più piccoli, bambini?
Jona chiese l’Occhio di Lince, ma Mentore gli fece vedere come regolare i suoi occhialoni per ottenere lo stesso risultato, se non migliore.
Non erano Elfi, ma Assistenti di Zeo.
I “bambini”, invece, sembravano in carne ed ossa. Molti di loro dormivano assieme ai draghi e anche i pochi che ancora si vedevano aggirarsi sui sentieri illuminati presto si andarono a coricare a fianco di quegli esseri metà serpente e metà uccello.
Solo gli assistenti, che non avevano bisogno di dormire, rimasero in attività.
“Quanti saranno?”
“I draghi? Da qui ne riesco a contare settantasei”, rispose Mentore.
“Veramente pensavo a quei piccoli Elfi — strano che non si vedano adulti — ma è la stessa cosa: pare che siano tanti quanti i draghi. Dormono insieme coma bambini con il loro gattino preferito. Per avere una visione migliore bisognerebbe fare il giro ed andare laggiù”, disse Jona indicando un alto picco dalla parte opposta della grande conca, “ma non credo di farcela ad arrivare fin lì e tornare prima che faccia giorno. Vuoi andare tu? Magari poi mi puoi far vedere le immagini.”
“Posso fare di meglio. Guarda.”
Allungò una mano e regolò qualcosa negli occhialoni di Jona.
L’effetto fu sconvolgente: ora vedeva con gli occhi meccanici di Mentore, ma non solo, aveva realmente l’impressione di essere in quel corpo meccanico e di guardarsi da fuori.
“Questo è il comando per far ritornare tutto normale, dovesse essercene il bisogno. Andiamo.”
Fu una corsa incredibile ed esilarante con Mentore che, in alcuni tratti, procedeva galoppando a quattro zampe con una velocità da mozzafiato.
Nonostante la corsa il tragitto fu lungo e, giunti sul picco che Jona aveva indicato, finirono l’ispezione. Contarono un centinaio di coppie bambino-con-drago in altrettante casette separate con annessa la stalla per il Figlio di Zeo.
Non capiva: chi erano quei piccoli elfi?
Dei servitori dei draghi?
Sembrava strano che degli esseri così irascibili e scontrosi si lasciassero avvicinare con tanta facilità.
D’altra parte i draghi che avevano incontrato dopo si erano mostrati curiosi ed affettuosi, molto diversi.
“Forse è meglio che cominci a scendere senza aspettarmi”, gli disse Mentore all’orecchio, “le stelle stanno già cominciando ad impallidire.”
Jona sollevò gli occhialoni. Il buio era sempre fitto, ora che la luna era tramontata, ma aveva ragione: meglio non farsi sorprendere dal giorno.
Regolò di nuovo gli occhialoni in modo da vedere nella notte e cominciò la discesa.
Arrivarono al boschetto dove si erano accampati quasi contemporaneamente alle prime luci dell’alba.
Apparentemente nessuno si era reso conto della loro incursione.
Jona era stanco, più per la tensione che per la notte passata ad arrampicarsi su per dirupi, ma prima di addormentarsi si tirò su appoggiandosi su un gomito e chiese a Mentore: “Quegli occhialoni, li usavano gli antichi per controllare i loro automi da combattimento, vero?”
Fu sufficiente un infinitesimo cenno d’assenso.