La mattina era tersa e luminosa. Della tempesta rimanevano solo le lunghe onde che continuavano a frangersi contro i moli del porto.
Serna ebbe solo pochi secondi, dopo il risveglio, per riconoscere l’ambiente non familiare, poi entrarono due ragazze di servizio che l’aiutarono a prepararsi.
Prima di rendersi veramente conto di quel che stava succedendo Serna si ritrovò lavata, vestita, spazzolata e profumata; pronta per affrontare il mondo esterno.
Quando le due ragazze uscirono, sotto lo sguardo severo della fantesca che la sera prima s’era presa cura di lei questa le chiese gentilmente: “Il Duchino Fermo la aspetta per la colazione, se non le dispiace.”
Serna sorrise compunta e rispose: “Non sarebbe gentile farlo attendere troppo. Andiamo.”
Fermo doveva aver atteso parecchio.
La tavola ducale era imbandita per l’intera famiglia, ma era evidente che la colazione era terminata da un pezzo. L’Amuleto la informò che erano le dieci e mezza.
Erano rimasti solo il Duchino e Nenco, che aveva l’aria di aver dormito molto poco. Serna gli rivolse un’occhiata interrogativa.
“Quindi abbiamo solo quello che siamo riusciti a cavargli ieri notte. Non è molto.”
Serna rimase sorpresa dal tono deciso di Fermo e dalla sua aria tesa e preoccupata, ma non fece domande quando lui proseguì, con un sorriso un po’ forzato: “Ma ora non roviniamoci l’appetito!”
La colazione fu, in realtà, abbastanza frugale, come nelle abitudini della famiglia ducale che non vedeva di buon occhio chi indulgeva nei piaceri della gola o, comunque, si impigriva.
Fermo aveva il fisico asciutto e muscoloso di un militare e sicuramente si allenava quanto e forse più dei suoi soldati.
A Serna non dispiaceva guardarlo e non poté fare a meno di notare che il Duchino era particolarmente silenzioso stamattina e, a volte, le lanciava occhiate preoccupate, cercando di non farsi scorgere.
“Che cosa ti preoccupa, Fermo?” Sbottò finalmente quando la colazione fu terminata, “Hai una faccia scura che non ti ho mai visto da che ti conosco.”
Lui fece un sorriso tirato: “Non lo sai? Non lo vedi nella mia testa?”
Serna rimase di stucco e non fece nulla per nasconderlo, poi si riprese, tirò un gran respiro e, con la voce più seria e pacata che riuscì a trovare rispose:
Fermo era a metà fra il contrito per aver pensato male e il sollevato perché i suoi timori si erano rivelati infondati:
“Non c’è nulla da scusarsi. Sono io che ho agito senza pensare troppo, ieri sera. Non ho pensato che questa capacità del mio Amuleto può essere vista come una minaccia personale. Vi prego di scusarmi.”
I due giovani si guardarono negli occhi e poi scoppiarono in una sonora risata liberatoria.
Un leggero colpo di tosse di Nenco li riportò al presente.
“Mio padre vuole che organizzi una spedizione per andare a vedere che cosa c’è di vero in quello che abbiamo sentito ieri sera. Vuole che salpi alle prime brezze di primavera.”
“Caccia al tesoro?”
“Sì, ma non solo”, le rispose Fermo con una faccia seria seria, “quando gli ho raccontato quello che eravamo riusciti a sapere il Duca ha cominciato a preoccuparsi moltissimo per questa nazione della quale non sappiamo nulla e che sembra volersi appropriare delle nostre rotte commerciali.”
Nenco si intromise: “Ora, con licenza del Granduca, vorrei ritirarmi. Sono molto stanco e il nostro naufrago non è l’unico ad aver bisogno di me, qui a Gena.”
Fermo fece un cenno d’assenso: “Certamente Nenco, scusaci se ti abbiamo trattenuto tanto, ma sembra importante. Avremo sicuramente bisogno dei tuoi consigli, più avanti.”
Serna stava riflettendo, non ci aveva pensato subito, ma il Granduca aveva ragione: a quanto pareva quelle popolazioni nomadi delle terre dell’est stavano costruendo città sul mare e cominciavano a commerciare con le coste meridionali dell’isola di Trina, la stessa con la quale Gena faceva ricchi commerci, sia pure limitati, per ora, alla costa settentrionale.
Non sarebbe passato molto tempo prima che si venisse a contatto, con esiti imprevedibili.
Avere notizie dirette e certe poteva essere di vitale importanza.