I pescatori del fiordo

Ne passarono tre, di settimane, prima che Jona arrivasse nei pressi del villaggio che costituiva, per ora, la sua meta.
Dopo essersi inerpicato per un ripido crinale di quella terra che sembrava graffiata da titaniche zampate che l’avevano ridotta a striscioline grossomodo parallele, vide sotto di sé il villaggio: un insieme di case con i tetti di paglia poste intorno alla riva del mare, che lì sembrava più un largo fiume o uno stretto lago.
Gli ultimi giorni di viaggio erano stati molto duri. Il continuo sali-scendi fra le alture e la difficoltà di trovare un passaggio praticabile l’avevano sfinito.
Anche i boschi, prima rigogliosi si erano fatti sempre più radi fino a cessare del tutto, lasciando solo qualche macchia di piccole betulle a presidiare un territorio dominato dall’erba alta e dalle rocce nude.

“Occhio di Lince!” Mentre il villaggio gli balzava incontro e gli riportava le immagini familiari dei pescatori intenti a rammendare le reti e riporre le barche si sentì stringere il cuore in una fitta di nostalgia per il suo mare lontano.

Poi le differenze divennero evidenti. Quello non era il suo mare, nonostante gli scogli e l’azzurro intenso che già stava prendendo i colori dorati della sera. Quello era un mare freddo; piatto come una tavola, tanto da sembrare un lago, costretto com’era in quell’intrico di fiordi, ma serio, quasi minaccioso, non giocoso e allegro come quello che conosceva. D’altra parte: chi si sarebbe mai sognato di andare in spiaggia vestito di pelle e a volte di pelliccia in piena estate?

Anche gli abitanti erano differenti: avevano lineamenti grossolani, facce rotonde e piatte con occhi piccoli e un gran naso schiacciato.
“Sono i figli di qualche altro Dio?” Chiese all’Amuleto.
“No. A quanto ne so sono una popolazione naturale, non modificata dagli dei. Vengono da lontano, molto lontano.”
“Ho come la sensazione che mi toccherà vederla la terra da cui provengono. Vieni, preferisco presentarmi domattina, con tutta la giornata davanti. Torniamo ad accamparci dietro quella macchia di betulle che abbiamo passato poco fa.”