Il Califfo

Serna marciò con passo deciso verso gli appartamenti del Califfo con l’Amuleto bene in vista alla cintura. Quello che era sempre sembrato una fibbia elaborata e un po’ pacchiana adesso emetteva un flebile alone giallo appena percettibile nella luce del sole del deserto.
Il Geco, dopo un primo istante di sorpresa, la stava seguendo tenendosi solo mezzo passo dietro di lei.

Incrociarono l’altro giannizzero poco fuori dagli appartamenti reali. Stava discutendo con un Hashashin di guardia che non pareva intenzionato a lasciarlo passare, nonostante le insistenze, per andare a conferire con Duliana.
La guardia rimase interdetta quando Serna gli passò davanti senza degnarlo di uno sguardo e il giannizzero ne approfittò per accodarsi ai due.
Un breve incantesimo mormorato a mezza voce e l’Hashashin dimenticò di averli visti passare.

Il Califfo stava giocando a scacchi con Duliana su un piccolo tavolino ricavato proprio sotto il davanzale di una delle grandi finestre del suo studio.
Erano entrambi molto concentrati. Il Califfo aveva oramai capito che Duliana giocava bene almeno quanto lui e se le prime volte lo aveva lasciato vincere facilmente si era trattato proprio di quello: lo aveva lasciato vincere. Il suo rispetto per lei era cresciuto, quando lo aveva capito. Per questo fatto, anche il rispetto che Serna e Duliana nutrivano per lui era cresciuto parimenti.

I due giocatori alzarono gli occhi dalla scacchiera sentendo entrare altre persone.
“Come mai questa sorpresa?” Chiese il Califfo vedendo chi entrava, ma il sorriso gli si gelò sulle labbra vedendo il piglio deciso di Serna e rendendosi conto che la situazione era anomala. Per prima cosa non avrebbero certo dovuto essere lì e, se ci fosse stato un motivo legittimo, avrebbero dovuto essere accompagnati da almeno un paio dei suoi Hashashin.

Si alzò in fretta dalla panca imbottita e si portò in una posizione meno angusta che consentisse almeno un po’ di movimento.
“Chi sei tu?” Chiese come se la vedesse per la prima volta.
“Serna di Tigu”, rispose lei con un inchino ed un sorriso che sciolse, almeno per un istante, la tensione.
“Sono venuta in pace e per capire. Finalmente ci sono riuscita.”

“Capire cosa? Parli di pace, ma siete qui come congiurati.”
Scoccò un’occhiata verso Duliana che non si era mossa ed era rimasta seduta sulla sua panca imbottita con le mani bene in vista sul tavolino che tremavano leggermente; era molto pallida.

Serna scrollò le spalle come per far scivolare via l’implicita accusa: “Non siamo, ovviamente, dei semplici saltimbanchi. Ma siamo qui in pace e non vogliamo fare alcun male, se possibile.”

Il Califfo percepì nettamente la minaccia contenuta nelle ultime due parole: “Non credere che io sia indifeso solo perché voi siete quattro ed io sono solo”, disse tirando fuori il ruhmal da una tasca.

“Se avessimo voluto farti del male avremmo già avuto infinite occasioni, e lo sai benissimo”, disse lei scrollando di nuovo le spalle, “come ti ho già detto siamo qui per capire e, se possibile, consigliare.”
“Ma capire cosa? Io ho già i miei consiglieri.”

Il Califfo impallidì visibilmente: “Come sai di Shaitan? Solo mio padre e mio nonno ne conoscevano l’esistenza. Io non ne ho mai parlato con nessuno.”

“Che vuoi dire? Continui a parlare per indovinelli.”
“Sono indovinelli che avranno soluzione tra poco. Sospetto che tra non molto ti verranno a chiamare i tuoi “consiglieri” e allora capirai perché il mio tempo è finito. Starà poi a te decidere se vorrai ascoltarmi o no.” La parola “consiglieri” era stata pronunciata con una carica di disprezzo che non sfuggì al Califfo. Stava per replicare, ma si cominciò a sentire un vociare concitato provenire dal corridoio.
“Vai”, disse Serna, “noi non ci muoveremo di qui fino a che tu non avrai deciso cosa fare.”