Il Monastero di Festo

Jona si svegliò presto, come d’abitudine, e cercò a tastoni il piccolo interruttore incastrato nel muro vicino al letto.
La luce elettrica si accese obbediente, ma lui, pur debitamente impressionato, si ritrovò a pensare che i funghi luminosi degli Elfi erano meno complicati e più comodi. Meglio tenere certi pensieri ben nascosti. Di certo Festo non avrebbe gradito, permaloso com’era.

Mentre Fra Jaques andava a ispezionare il Torchio che dovevano riportare indietro Jona chiese a Fra Johannes se fosse possibile visitare almeno parte del Monastero.
“Vedo cosa è possibile organizzare”, disse lui, e uscì dal laboratorio lasciandolo libero di esaminare alcune delle meraviglie presenti. Cominciò dal Torchio, che era, in realtà, costituito da due macchine: una “Linotype” e dal Torchio vero e proprio.

La prima era un apparato che serviva per comporre la matrice, accostando fra loro le lettere in una linea per volta fino a ottenere l’intera pagina. Era una macchina meravigliosa e complicata che, alla pressione di un singolo tasto faceva scendere dall’alto la matrice di una lettera e la allineava alle altre, incastrandola. Jona seguiva il percorso di quei blocchetti bianchi mentre un frate mostrava il funzionamento.

La pagina fu pronta prima che Fra Johannes tornasse e venne trasferita al Torchio. Il frate assistente spiegò che lo chiamavano così solo per ragioni di tradizione, oramai non c’era nulla del vecchio torchio da stampa.

Quando il frate lo mise in funzione cominciando a girare una manovella collegata a un grosso volano dapprima lentamente, poi sempre accelerando, Jona rimase impietrito dallo stupore.
Una serie di ventose prelevava un foglio di carta da una pila ordinata e lo depositava sulla matrice, che era stata appena inchiostrata da un rullo imbevuto.
Al posto del torchio piano che Jona conosceva, era un pesante rullo di metallo che pressava la pagina sulla matrice, poi, mentre la fila di ventose, collegata a un braccio meccanico andava a prendere un altro foglio un’altra sollevava quello appena stampato e lo girava, dando il tempo all’inchiostro di asciugare prima di sovrapporlo agli altri.
Tutto con il semplice girare di una manovella. Beh, tanto semplice non doveva essere, visto che il frate assistente stava sbuffando per la fatica di tenere in movimento quella macchina complicata composta da centinaia di ingranaggi e camme, ma era un miracolo di Festo che ci riuscisse

Rientrò Fra Johannes che, con un largo sorriso disse: “il Sacerdote non ti può ricevere perché deve partire a minuti, ma mi ha permesso di farti da guida per tutta la giornata, se vuoi.”
“Certo che voglio, e lo sai bene. Il problema è che il Monastero mi sembra enorme e anche correndo non credo riuscirei a vedere tutto. Domani dobbiamo ripartire e il tempo è poco: che cosa mi consigli di visitare?”
“Qui al Monastero abbiamo quattro lavorazioni di base: vetro, ceramica, metalli e resine.”
“Beh, vetro e ceramica li conosco abbastanza, forse è meglio concentrarci su metalli e resine.”
Fra Johannes fece una faccia strana, si avvicinò a un ordinato banco da lavoro facendo a Jona cenno di seguirlo.
Senza dire una parola prese un grosso tronchese e lo usò per tagliare una catena d’acciaio, poi afferrò un martello e calò un colpo poderoso sul tronchese, finalmente consegnò tronchese e martello allo stupefatto Jona dicendo: “Il martello è di vetro e il tronchese di ceramica.”

Il martello era pesante e la testa semitrasparente abbastanza riconoscibilmente di vetro; il manico, molto leggero, probabilmente di una schiuma come quella dei sostegni delle serre.
Il tronchese, invece era sensibilmente più leggero di quello che avrebbe dovuto essere se fosse stato di buon acciaio, di un materiale grigio e privo di lucentezza che Jona non avrebbe saputo identificare.

“Come non detto: questo vetro e questa ceramica non li ho mai visti. Mi affido alle tue scelte”.

Fra Johannes annuì mentre riprendeva i due attrezzi e li riponeva al loro posto: “Andiamo, allora, perché hai perfettamente ragione: il Monastero è molto grande, vieni.”

Quando si ritirò, a notte fonda, nella cella che gli era stata assegnata in foresteria, a Jona dolevano le estremità: i piedi per le lunghe camminate e la testa per la massa d’informazioni nuove che aveva cercato di stiparci.