Selle era una grande città che sorgeva su delle basse colline. Su una di queste sorgeva il grande edificio squadrato che conteneva il Monastero di Palla in Selle.
La struttura era strana e Jona ci mise un po’ a capire cosa lo disturbasse. Le quattro porte erano collocate in corrispondenza dei grandi torrioni che occupavano gli angoli, lasciando le mura lisce e bianche fino a quasi cinque metri da terra, dove si aprivano una serie di piccole finestre a intervalli regolari, finestre che diventavano sempre più ampie nei piani superiori.
L’edificio, circondato da bassi boschetti, era visibile da tutta la regione.
Jona, guidato dall’Amuleto, si diresse verso il torrione sud.
Scese da cavallo e si avvicinò al portone aperto.
Non c’era molta gente, notò, gli altri ingressi gli erano sembrati molto più affollati. Dietro la porta c’era un ampio corridoio che portava direttamente al cortile interno dopo aver attraversato tutto il torrione. Vicino alla fine del corridoio, in una nicchia nel muro, stava una scrivania con dietro un uomo dall’aria annoiata.
“Chi siete? Motivo della visita?” Chiese alzando gli occhi dal libro che stava leggendo.
“Jona di Tigu, cerco saggezza.”
L’uomo si fece attento e cominciò a frugare fra le carte sulla scrivania mentre rispondeva meccanicamente:
Afferrò un campanellino di ottone e lo agitò vigorosamente: “Ti aspettavamo, Jona il Cercatore.”
Da una porticina apparve un giovane dall’aria efficiente con un completo pantaloni e casacca grigia stretta da una cintura di tela candida.
I due parlottarono brevemente, poi l’uomo alla scrivania firmò un foglio, lo diede al giovane e riprese la lettura interrotta.
“Mi segua, prego.” Il cortile, che aveva un centinaio di metri di lato, era completamente coperto da un’intelaiatura a vetri simile a quella delle serre.
Delle numerose porte una delle prime era quella delle stalle dove Jona affidò il suo cavallo a uno stalliere anziano e sorridente.
“Ho istruzioni di condurla nell’aula delle udienze appena si sarà rinfrescato. Abbiamo una cella pronta per lei in foresteria.”
La cella assomigliava abbastanza a quella del monastero di Dionne, anche se il bagno era molto meno lussuoso. Era al primo piano e corrispondeva a una di quelle piccole finestre che aveva notato arrivando.
Jona si diede una rapida lavata e si mise la divisa del tempio: pantaloni e casacca grigi, ma con la cintura rossa. Il suo accompagnatore, intanto, lo aspettava nel corridoio. Jona pensò bene di non farlo attendere troppo.
“La Sacerdotessa è nella Sala delle Udienze, oggi ci sono parecchie cause, ma credo abbia quasi finito. Venga.”
Lo guidò per un dedalo di corridoi fino a una piccola porta che aprì e si fece da parte per lasciarlo passare. Il Mago si stupì di una porta così piccola per una cosa che veniva pomposamente chiamata “Sala delle Udienze”.
Lo stupore durò il tempo di passare la soglia e scostare la tenda che la nascondeva. Si trovò su un palco sulla parete destra della Sala, quasi alla stessa altezza dell’alto scranno della Sacerdotessa.
La Sala era più piccola del Refettorio del tempio di Dionne, ma molto più imponente. Sulla parete di fondo, il lato minore del rettangolo, proprio di fronte al palco dove si trovava Jona, c’era una specie di scalinata a gradoni composta da una serie di scrivanie dove sedevano funzionari dall’aria arcigna e che culminava con lo scranno dove sedeva la Sacerdotessa con il suo completo bianco come la neve. Era una donna anziana e severa — doveva avere più o meno la stessa età del Mago — i cui capelli completamente candidi si confondevano con la veste.
“Che tu abbia rubato per amore non è una scusante, lo sai, vero?” Stava dicendo.
Davanti a lei, in una specie di piccolo recinto formato da una bassa balaustra di legno lucido, stava un giovanotto a capo chino: “Lo so perfettamente. Non cercavo di giustificarmi. Solo di spiegare. Non so che mi ha preso: volevo farla felice e ora ho rovinato tutto”, lo sguardo corse verso una ragazza in lacrime fra le braccia di quella che doveva essere sua madre.
“Conosci la condanna per il furto?”
“Il Marchio Nero.”
“E sai anche che cosa significa?”
“Che Palla controllerà ogni mia azione, notte e giorno.”
La Sacerdotessa si concesse un sorriso che addolcì improvvisamente quella faccia arcigna:
Il ragazzo annuì in silenzio.
La Sacerdotessa diede qualcosa al funzionario alla sua destra che la prese, si alzò con fare solenne e si diresse verso il ragazzo.
“Che succede adesso?” chiese Jona alla sua guida che si era seduta in silenzio accanto a lui.
“L’Apposizione del Marchio. La stella a cinque punte viene applicata alla fronte del condannato. Rimarrà lì senza che sia possibile rimuoverla fino a quando la Dea non deciderà che la pena è stata sufficiente, dopo di che cadrà da sola.”
Il ragazzo aspettò a testa alta il funzionario che gli applicò il Marchio.
Jona sentì che gli sussurrava: “Fa male quando si attacca, ma passa subito. Coraggio.”
Il ragazzo non diede segno di averlo sentito, ma non contrasse nemmeno un muscolo quando il Marchio gli fu applicato. Stava guardando la ragazza che, a sua volta, guardava la scena senza riuscire a staccare gli occhi.
Il condannato ringraziò, si girò e, con molta dignità, percorse tutta la sala uscendo dalla grande porta in fondo.
La porta si era appena chiusa alle sue spalle che la Sacerdotessa si rivolse direttamente alla ragazza: “Ha bisogno di te. Non deludere la Dea e, soprattutto, non deludere lui. Vai!” Lei si divincolò dall’abbraccio della madre e percorse la sala in un lampo, sparendo dietro la grande porta che si stava aprendo per ammettere il prossimo caso.
La scena cambiò radicalmente. L’imputato si divincolava e inveiva contro tutto e contro tutti, bestemmiando gli Dei e i loro Sacerdoti.
Lo trascinarono di peso nel recinto e lì lo lasciarono. Quello, pur incatenato, tentò di saltare la bassa balaustra che brillò di luce attinica e lui cadde a terra contorcendosi dal dolore.
Jona vide chiaramente che l’uomo aveva già sulla fronte un Marchio rosso, anche se aveva cercato di nasconderlo facendosi crescere i capelli.
“Che significa il Marchio Rosso?”
La Sacerdotessa fece del suo meglio per interrogare l’uomo, ma questi rispose solo con insulti; allora mormorò qualcosa al suo Amuleto dal quale partì un lampo di luce bianca che colpì in pieno il Marchio Rosso.
L’uomo rimase come paralizzato mentre davanti a lui compariva la scena del suo secondo omicidio. Una taverna, gente allegra e rumorosa. Un commento salace. L’ira immediata e assassina.
La Sacerdotessa aveva un volto triste mentre emetteva il suo verdetto: “Non credo ci sia molto da aggiungere”, disse con voce piatta, “la condanna è l’ostracismo per tre anni, ma anche dopo ti rimarrà per tutta la vita il Marchio Giallo. Non potrai più bere nemmeno una goccia di birra. Liberatelo!”
L’uomo era ancora paralizzato e non si mosse mentre le guardie gli toglievano le catene e si allontanavano.
L’effetto della paralisi cessò con la stessa rapidità con cui era arrivata e l’uomo crollò a terra, per poi alzarsi e ricominciare a inveire schiumando di rabbia.
“Ora vai!” disse la Sacerdotessa e il Marchio Rosso diventò viola e cominciò a brillare. L’uomo si portò le mani alla fronte e corse via ululando come un animale ferito. Nessuno cercò di fermarlo.
“Non capisco”, disse Jona al suo vicino.
Jona aveva molte perplessità, ma le tenne per sé.
Stava intanto facendo il suo ingresso quello che, a giudicare dall’aria di disarmo che aleggiava nella Sala, doveva essere l’ultimo caso della giornata.
Entrarono due donne con aria indispettita che si presentarono spontaneamente nel piccolo recinto davanti a quello che oramai Jona aveva capito essere un vero e proprio tribunale.
A specifiche domande del funzionario di più basso livello dichiararono i loro nomi e il motivo della loro disputa: un contenzioso circa i pagamenti di una partita di stoffe ricamate.
La Sacerdotessa non aprì bocca per tutto il tempo. Bastarono infatti poche domande mirate fatte dal funzionario che le aveva accolte per accertare che non c’era stato dolo, ma semplicemente non si erano capite bene all’inizio e poi l’equivoco si era incancrenito fino a diventare una lite.
L’alone verde che avvolgeva la balaustra garantiva non stessero mentendo.
Un altro funzionario, una donna sulla quarantina, che era seduta appena sotto lo scranno della Sacerdotessa, fece alle due una breve, ma severa, ramanzina sulla necessità di essere precise e, soprattutto, non far perdere tempo con questioni che si potevano risolvere senza ricorrere al Monastero; dopo di che comminò a entrambe una multa “per il tempo che avete fatto perdere a tutti noi” che, a giudicare dalla faccia delle due, doveva essere piuttosto salata.
Le due donne uscirono parlando fitto fitto tra di loro. Jona sorrise: era evidente che, nonostante la multa, erano contente di aver scoperto che nessuna delle due aveva, in realtà, cercato d’imbrogliare l’altra.