Il porto di Door

Jona fece parecchia fatica a rimettersi in sesto.
Era rimasto a “guardare dal buco della serratura”, come aveva detto l’Amuleto, per parecchie ore e la sera stava lentamente calando in quei lunghi crepuscoli ai quali si stava oramai abituando.
Oltre ad essere tutto anchilosato, il guardare il mondo senza la cornice rotonda dell’Amuleto gli dava una leggera nausea.

Intorno a lui era un andirivieni frenetico.
Fu l’ultimo a scendere dal barcone.
Il molo era in pietra.
Si stava formando una fila per uscire; Jona si accodò guardandosi attorno senza fretta.

Prima di riuscire ad annoiarsi si ritrovò davanti ad uno scriba seduto ad un banchetto; dietro di lui sostavano alcuni soldati dall’aria annoiata, ma efficiente.

Quae adventi causa est? (Qual è la ragione della visita?)”
Peregrinus sum. Thanus me misit. (Sono un Pellegrino, mi manda Thano.)”, rispose il Mago allungando la lettera di presentazione che la sacerdotessa di Palla gli aveva fornito.

Lo scriba esaminò il sigillo senza romperlo, poi si girò verso una delle guardie che, nel frattempo, si erano fatte attente: “Gaii, hunc virum ad Consulem comita (Caio, accompagna questo signore dal Console)”, disse consegnando la lettera a quello che sembrava il capo.

Advehis me, barbarus! (Seguimi, straniero!)”

Jona afferrò le briglie del suo cavallo e seguì il miliziano che lo precedeva con passo marziale.

“Perché ti sei messo a tradurre nella tua lingua, invece che nella mia? Capisco che devo fare esercizio, ma non ti pare di esagerare?”
La voce dell’Amuleto vibrava con un accenno di canzonatura, quando rispose: “Guarda che, stavolta, non ho proprio aperto bocca.”

Jona aprì la sua di bocca, poi la richiuse.