La risposta non si fece attendere troppo.
Un grido lontano, appena udibile nei rumori del fiume: “Sono qui! Arrivo! Attenti ai tronchi!”
Guidata da quella voce Serna lanciò l’Occhio di Lince.
Il Principe era sui rami di un albero e, muovendosi con una cauta scioltezza che denunciava una certa pratica, cercava di spostarsi da un albero all’altro per avvicinarsi alla riva del fiume.
Procedeva con lentezza e determinazione, attento a non scivolare.
“Ecco come ha fatto a non destare l’ira degli Dei!” Esclamò il Geco.
Serna annuì ammirata:
Gli occhi del Giannizzero ridevano: “Non credo che si toglierà mai quel soprannome di dosso. Può darsi che non gli piaccia, ma può andarne fiero. Non sarebbe meglio calare la lancia in acqua, così da andarlo a recuperare?”
La Maga stava per rispondere quando Fermo disse: “Vado io”, con il tono di chi non vuol sentire ragioni.
Serna si morse il labbro e rimase zitta.
La barchetta era stretta e piatta, l’avevano scelta apposta per poter passare nelle acque basse.
Fermo e un marinaio si diressero verso il punto dove stava convergendo Samaldinir: un grande albero dalla larga chioma che si protendeva fin sul fiume.
Serna seguiva l’avvicinamento del Principe e, a un certo punto vide che si sbracciava verso la barca urlando un avvertimento che non riuscì a capire.
“Dì a Fermo di tornare indietro”, disse il Geco con una calma carica di tensione, “Agio, cerca di avvicinarti alla barca più che puoi. In fretta.” Intanto si stava togliendo la giubba e la camicia.
Serna riportò la sua attenzione alla barca e vide che stava viaggiando verso alcuni tronchi galleggianti. No, non erano tronchi. Si muovevano e avevano degli occhi che le sembrarono avere un lampo malvagio: “Che cosa sono?”
“Non lo so”, rispose lui, “ma il Principe dice che sono pericolosi.”
La barca era quasi sotto la chioma dell’albero quando il più vicino di quei “tronchi” aprì una bocca enorme e si avventò sulla piccola lancia facendola ondeggiare pericolosamente.
Il Geco chiese a Serna, con gentilezza, ma con l’urgenza nella voce: “Posso avere il ruhmal?”
Avuta la strana arma disse qualche parola ad Agio che sorrise
e si inerpicò come un gatto su per le sartie e poi, raggiunto l’albero, si inerpicò in precario equilibrio lungo il pennone che sosteneva la parte superiore della vela.
Presto Agio avrebbe dovuto virate per non andare a impigliarsi nella chioma dell’albero, mentre la lancia, stava andando alla deriva con Fermo e il marinaio che stavano usando i loro remi per tenere a bada quei terribili animali che li assediavano.
Agio virò bruscamente sfiorando la chioma dell’albero.
Sindehajad urlò: “Ora!”, e la vela su cui stava appollaiato venne lascata completamente proiettandolo verso l’albero dove riuscì ad afferrarsi ad un ramo che si piegò pericolosamente sotto il suo peso, ma resse.
Un istante dopo stava correndo sui rami orizzontali, come fossero comodi sentieri, fino a trovarsi sopra la barca. Svolse la cintura, che si rivelò essere una solida corda nera e la lanciò verso Fermo che se l’arrotolò attorno al polso proprio mentre uno di quei mostri riusciva a strappare con un morso un pezzo della fiancata della lancia, che prese ad affondare rapidamente.
Con uno sforzo erculeo il Geco riuscì a sollevare Fermo dall’acqua.
Il marinaio intanto cercava di raggiungere la nave a nuoto. Non riuscì a fare che poche bracciate, ma attirò tutti quei mostri lontano da Fermo che intanto stava tentando di risalire quella fune, troppo sottile per una comoda presa.
L’arrivo del Principe risolse la situazione e Fermo fu issato a forza di braccia come una balla di fieno.
“Che facciamo, ora?” Chiese Fermo quando tutti e tre ebbero ripreso fiato.
“Ci diamo al giardinaggio”, rispose il giannizzero con aria misteriosa.
Gli altri due si guardarono senza capire.
“Dobbiamo potare un po’ quest’albero cosi che Agio possa avvicinarsi di più.”
“E come pensi di tagliare questi rami? Ci vorranno giorni.”
“No. Non abbiamo tutto questo tempo, datemi una mano, ma fate attenzione”, disse tirando fuori il ruhmal.
Usando il filo come un’affilata sega cominciarono a tagliare la maggior parte dei rami che andavano verso il fiume, lasciando solo il più grosso e pochi altri, poi sfrondarono anche quelli fino a che non rimase una passerella che si protendeva sul fiume.
Al Giannizzero non sfuggì che il Principe lo stava guardando con una montante ostilità: “Trattieni la tua ira, o Signore”, gli disse senz’ombra d’ironia, “Quest’utile strumento non è mio e, anche se temo che sia stato usato contro di te, non sono stato io a farlo e non intendo farlo ora. Attendi che siamo in salvo sulla nave e poi avrai tutte le spiegazioni.”
Samaldinir si rilassò solo un poco, i suoi occhi dicevano: “Fa che le spiegazioni siano complete ed esaurienti o dovrai fare i conti con me!”
Agio attese che la corrente portasse via i detriti più grossi e poi si riavvicinò.
Tre volte fece virare la nave sotto il ramo, e tutti e tre vennero tratti a bordo. Prima il Principe, poi Fermo e infine Sindehajad, che riuscì anche a recuperare la sua corda, riavvolgendola in vita con un nodo complicato.