Il cielo stava appena cominciando a schiarire a oriente quando Jona si presentò alla porta del Tempio di Asclep.
L’Amuleto brillava giallo in cima al suo bastone spandendo una luce allegra che lasciava completamente in ombra il viso di Jona coperto dal cappuccio del suo mantello.
Il portone di legno chiaro si aprì prima che lui potesse usare la campanella che qui tutti i palazzi avevano.
“Il Sacerdote la attende”, disse un accolito deferente che lo scrutava per capire chi fosse il Mago che si faceva ricevere a quell’ora.
Il Sacerdote di Asclep era un omone gigantesco che aveva più l’aria di un tagliaboschi che di un chierico. Aveva in dosso una tunica verde immacolata stretta alla vita da una cinta di cuoio marrone alla quale era appeso il suo Amuleto.
“Quindi sei tu”, disse guardandolo dall’alto in basso, “che hai provocato tutto quello scompiglio l’altra notte. Un Mago, avrei dovuto immaginarlo.”
“Sono stato Mago, ora sono anche tante altre cose”, gli rispose Jona abbassando il cappuccio e mostrando il viso prima e l’orecchio sinistro tatuato poi.
L’Amuleto intanto aveva cambiato colore ed era di un torvo rosso sangue.
“Sì, l’Amuleto mi ha informato di qualcosa. Vedo che le cose sono anche più complicate di quanto pensassi. Siedi, posso offrire qualcosa?”
“No, grazie. Sono in partenza. Prima di andare volevo informarti sulle attività si Vadym.”
“Lo tengo d’occhio da un po’ di tempo e, debbo dire, le sue attività non mi piacciono proprio. Ivan ha avuto una brutta sorte a passare dal servizio di un galantuomo com’era Petruk a quel mascalzone di Vadym.”
“Questa è una cosa che non capisco bene: perché, se ha capito di che pasta è fatto, continua a rimanere al suo servizio?”
Il Sacerdote inarcò un sopracciglio:
“Capisco”, disse Jona che, in realtà, aveva solo capito che Ivan era legato e che non era il caso di scavare oltre. La natura del legame gli sfuggiva completamente.
“Anche tralasciando Ivan, le azioni di Vadym non porteranno nulla di buono all’intera Minz.”
“Vero, a quanto ho capito sta preparando una specie di esercito per farsi nominare Burgmaister con la forza, visto che già due volte gli è andata male al consiglio cittadino, ma io ho le mani legate.”
“Perché?”
“Perché rappresento Asclep, qui a Minz. Non posso prender parte ad azioni politiche. Una volta che ci ho provato e Asclep è stato molto chiaro. Gli Dei non vogliono entrare direttamente negli affari umani. Sono disponibili, alle loro condizioni, a offrire aiuto, ma non intervengono direttamente per dettare una politica. Danno consigli e oracoli se richiesti, molto raramente si permettono di elargire premonizioni in modo spontaneo. Tutto qui. Quando ho cercato di usare il mio prestigio di Sacerdote per forzare certe decisioni in Consiglio il mio Amuleto ha smesso di funzionare per un anno intero.”
Jona annuì:
“Questo non cambia nulla, anche se Asclep è molto affezionato agli Elfi.”
“Che intendi dire?” Il Sacerdote era proteso in avanti e i suoi occhi erano ridotti a due fessure.
“Intendo dire”, proseguì Jona senza cambiare il suo atteggiamento rilassato, “che Vadym ha ordinato un furto in un qualche tempio di Asclep.”
“Impossibile!”
“Ma vero.”
“Dove?”
“Questo non lo so. Da qualche parte nel regno degli Elfi. Quel che so è ciò che è stato preso: una Pianta dei Semi.”
Il Sacerdote assorbì lentamente la notizia. Era chiaro che non sapeva se essere più indignato per l’enormità del sacrilegio o più divertito per la sua completa inutilità.
Poi prese il suo Amuleto, parlò per qualche istante in una lingua che l’Amuleto di Jona non conosceva o che, comunque, non si curò di tradurre. Anche la risposta fu breve e apparve un modellino del palazzo di Vadym con una luce verde pulsante su un’ampia terrazza.
“Grazie. Adesso posso agire.”
“Sì, sono d’accordo, è meglio così.”