Le trattative commerciali procedevano spedite, secondo gli standard fenarabi, ma a passo di lumaca a giudizio dell’impaziente Fermo.
Serna a volte lo accompagnava, ma spesso rimaneva nelle sue stanze a studiare con Darda.
Venne il giorno del riposo e con esso la visita al Sultano.
Del palazzo era visibile solo un alto muro di cinta che, come una corona, circondava la cima di una collina. Era grossolanamente imbiancato e aveva un ampio, ma anonimo, portone di solido legno come ingresso.
Serna aveva imparato che quella era una delle caratteristiche di tutte le abitazioni fenarabe, rivolte verso l’interno, scevre di ostentazioni verso chi non era ammesso fra le mura.
I giardini erano ancora più sfarzosi di quelli del Visir, ma mancavano di quella raffinatezza. Il Sultano era un capo militare, reduce da una sfortunata campagna per sottomettere un sultanato vicino, e la cosa era evidente.
Anche gli spettacoli durante la cena riflettevano il carattere del padrone di casa: mentre il Visir prediligeva musica e danza il Sultano apprezzava lotta e giocolieri. Il carattere marziale era evidente anche in questi ultimi; per ultimo si esibì un gruppo che, dopo una breve introduzione nella quale si lanciavano un gran numero piccole palle colorate, le sostituì gradualmente con asce, spade, pugnali e altre armi bianche che formavano una girandola tanto veloce da rendere difficile seguirla con gli occhi. Il numero si concluse con tutte le armi infisse in un apposito bersaglio, a dimostrazione che erano affilate e pericolose.
Fermo e Serna si mostrarono debitamente impressionati.
Poco dopo ebbe termine anche la cena e il Sultano, che aveva bevuto parecchio, chiese a Fermo di far ripetere al suo Djinn la magia del vestito di Duliana.
“Mente!” Ruggì una voce possente. Il Sultano stava accarezzando distrattamente una lampada a olio dalla quale usciva un filo di fumo. In un baleno su trasformò in una nuvola turchese che coagulò in un enorme Djinn minaccioso.
“E in che cosa avrei mentito, di grazia, o potente Djinn?” Ribatté Serna senza battere ciglio e senza cambiare tono.
“E, comunque, il gioco del vestito che esplode lo so fare anch’io!”
Serna si sentì avvampare mentre i suoi abiti prendevano fuoco e sparivano in una nuvola di cenere.
Se il Djinn si aspettava di veder la maga arrossire e scappar via come aveva fatto Duliana rimase deluso; Serna si alzò lentamente dall’alto cuscino su cui era seduta completamente vestita da uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque.
Il suo Amuleto, intanto, aveva reagito automaticamente all’aggressione scatenando un attacco furibondo verso la lampada che brillò un attimo scottando le dita del Sultano, poi emise un ultimo sbuffo di fumo e il Djinn scomparve. Tutto era durato meno di un secondo.
Serna mormorò qualche parola e si ritrovò vestita da un abituccio identico a quello che aveva usato Duliana.
“L’hai distrutto?” Chiese all’Amuleto sottovoce.
“No, solo danneggiato gravemente. Ci metterà dei mesi a guarire abbastanza da far uscire una qualsiasi immagine e parecchie settimane prima di essere in grado di comunicare.”
Serna rivolse la sua attenzione al Sultano, esterrefatto sia per il comportamento del “suo” Djinn, che gli imprevisti risultati: “Debbo dire che non mi aspettavo di dovermi esibire per la gioia del Sultano di ‘Rruth. Chiediamo ci venga graziosamente concesso il permesso di ritirarci.”
“Mi scuso per il comportamento del mio Djinn, ma, come certamente sapete, non lo posso controllare completamente. Che cosa gli è successo?”
Serna riprese un’aria meno truce: “Questo è il problema con i Djinn: non ti puoi mai fidare.”
Poi, improvvisamente si risedette e proseguì, in tono confidenziale sporgendosi verso il Sultano: “Penso, comunque, che faresti bene a liberarti di quel cattivo consigliere. Ti ha fatto fare i peggiori errori della tua vita. Se proprio si deve sbagliare conviene farlo da soli, senza farsi prendere in giro da un principe della menzogna come quello.”
Il Sultano era oramai completamente sobrio e stava riprendendosi dalla sorpresa: “Che intendi dire “giovane donna”?”
Serna si limitò a guardarsi attorno nella sala dove gli altri invitati e decine di servitori sembravano trattenere il fiato per non far rumore.
Il Sultano batté tre volte le mani e, in pochi secondi la stanza si svuotò; rimanevano solo il Sultano, Fermo, Serna, il Visir con il suo giannizzero e quattro soldati di guardia alla porta.
“Allora?”
“Quel Djinn si sta divertendo alle tue spalle. Ti ha raccontato un mucchio di frottole per indurti a fare sbagli colossali.”
“Un Djinn non può mentire al proprietario della sua dimora. Lo sanno tutti!”
“Ci sono tanti modi di mentire”, insistette Serna con un lieve sorriso, “e i due modi “artistici” di mentire sono a disposizione anche di un Djinn che parla al suo “padrone”.”
“E quali sarebbero questi modi “artistici” di mentire?”
Il Sultano, che aveva ascoltato in silenzio, divenne rosso in volto e riuscì a stento ad articolare uno strozzato: “Cosa dici, strega?”
“Maga, se non ti dispiace”, gli rispose Serna tranquilla mentre il Visir lottava per celare la sua agitazione, “sto dicendo solo la verità, oh Sultano.”
“Ma il tesoro?”
“Ma il Djinn ha detto chiaramente che, rimanendo sul grande fiume non sarebbero incorsi nell’ira degli Dei!”
“Quella è la parte vera, che serve a sviare la mente da quello che non viene detto.”
“Cos’è che non ha detto?”
“Circa a metà del tragitto il grande fiume si allarga e ci sono sei secche una dopo l’altra; è bastato che la barca sfiorasse la sabbia del fondo per “toccar terra” nel Continente Proibito. Nessuno è stato risparmiato.”
“Mi porti ben tristi notizie, maga”, disse il Sultano improvvisamente abbattuto.
Poi lo colse un dubbio e chiese, guardando dritto negli occhi Serna: “Saresti disposta a giurare davanti a Isto?”
Lei sorrise con il sorriso più dolce e sincero che riuscì a trovare:
Il Sultano soppesò Serna con un’espressione decisa, ma senza più bellicosità: “Ti credo, maga, ma devo avere l’assoluta certezza di non sbagliare ancora una volta. Ti prego di venire domattina alla colonna di Isto. Sarò lì ad aspettarti.”