Il canto del gallo lo svegliò all’alba.
Era su un mucchio di fieno in una stalla dove facevano bella mostra di sé diversi grandi cavalli dai larghi zoccoli. Jona notò che non erano ferrati.
Stava per uscire quando entrò la donna che aveva intravisto la sera prima.
“Vedo che sei sveglio. Come ti senti oggi, Barcaiolo senza barca?”
“Meglio, molto meglio, grazie. Il mio nome è Jona.”
“Come vuoi, Barcaiolo Jona. Io sono la Dana di questo villaggio.”
“”La” Dana?”
“Sì, la Dana. Sono stata accettata al servizio della Dea da sette lustri oramai.”
Lei rise: “Sono più un capo-villaggio che una sacerdotessa. Come dovresti sapere Dana non ama essere venerata, ama ancora meno venir importunata e va su tutte le furie se si contravviene a uno dei suoi decreti.”
Jona non aveva troppa dimestichezza con Dana. Nella sua Ligu, schiacciata tra monti e mare, tra pesca e pastorizia c’era poco spazio per la caccia. Dana si occupava anche della fauna in generale ed era per problemi degli allevatori che l’aveva, a volte, frequentata. Qui le cose sembravano essere ben diverse.
“Stavo per disturbarla. Poi ho visto la firma degli Elfi”, la mano di Jona corse all’orecchio.
“Sai leggere l’Elfico?”
La Dana annuì.
“Vieni, avrai bisogno di mangiare e di lavarti.”
Uscito dalla stalla vide il cielo.
Ieri sera non lo aveva notato, ma tutta l’area circondata dalla palizzata era sgombra da alberi, fatta eccezione per un singolo albero che torreggiava al centro.
Jona capì subito che si trattava di un prodotto degli Dei. Era imponente, con un tronco di quasi un metro di diametro e una serie ininterrotta di grossi rami che partivano in orizzontale per poi curvarsi verso l’alto. I rami erano disposti a spirale attorno al tronco e formavano una specie di scala a chiocciola che partiva larga da terra e continuava poi in alto fino alla cima, dove era chiaramente troppo stretta per essere percorsa.
La Dana fece un rapido gesto di saluto in direzione dell’albero, poi vedendo l’interesse con cui Jona lo fissava spiegò:
Jona si guardò attorno e si accorse che gli alberi intorno alla palizzata non erano gli onnipresenti pini: “Castagni?”
“Qui attorno, per la maggior parte, ma abbiamo anche noci, più oltre ci sono le querce”.
Entrarono in una casa costruita interamente con tronchi di pino incastrati fra loro. La materia prima non mancava di sicuro, lì intorno.
Il focolare era di pietra e sosteneva una padella dove stavano friggendo delle uova. Lo stomaco di Jona ebbe un sobbalzo. Il brodo della sera prima era stato digerito da tempo.
“Questa è Umma, una delle mie figlie”, disse la Dana indicando la ragazza che era all’altra estremità della padella; già, la padella. Mentre lo stomaco e il naso di Jona erano rimasti affascinati dal contenuto gli occhi erano rimasti attaccati alla padella.
Per un po’ Jona non riuscì a capire perché la trovasse tanto strana. Era una vecchia e pesante padella di ferro. Già, ma era lucida come non ne aveva mai viste. Era evidente che il nero della fuliggine si era depositato solo da quando la padella era stata messa sul fuoco quella mattina stessa. Intorno al bordo, poi, aveva una serie di iscrizioni incise con cura.
La Dana seguì il suo sguardo e, mentre la padella arrivava a tavola per depositare il suo contenuto sui piatti, disse: “Umma è una brava ragazza. Tra non molto avrà il permesso di mettere la sua firma sulla padella.”
Jona non fece commenti, ma Umma arrossì fino alla radice dei capelli e lanciò alla madre un’occhiata raggiante.
Le uova erano cotte al punto giusto e Jona fece onore intingendo fette di pane nel tuorlo ancora soffice. Il pane era scuro e aveva un sapore decisamente strano: “Farina di castagne?” chiese; la Dana annuì: “Non abbiamo cereali qui. La farina la facciamo con castagne e ceci.”
Continuarono a parlare per un po’ e Jona venne a sapere molte cose dell’organizzazione della vita in quel piccolo villaggio che viveva in simbiosi con la foresta. L’Albero di Dana teneva lontani i pini che soffocavano ogni altra vegetazione; attorno a quel cerchio c’era un anello di querce che, con le loro ghiande, sfamavano i maiali, dentro quello c’era un altro anello di alberi più utili, come i castagni e qualche albero da frutta; all’interno della palizzata cerano i piccoli campi coltivati.
“Ma perché non tagliate più alberi per poter coltivare qualcos’altro?” chiese Jona pensando di conoscere già la risposta.
“I Troll amano gli spazi aperti.” rispose invece la Dana “Abbiamo tagliato tutto quello che osavamo. Di più sarebbe come invitarli a farci visita e questo non sarebbe per niente furbo.”
Jona stava per chiedere spiegazioni, ma lei si alzò con fare deciso dicendo: “Io devo andare a curare l’Albero, tu sei libero di rimanere qui o ripartire, come pensi meglio”
“Preferirei rimanere qui un altro giorno. Poi devo ripartire, mi sento molto meglio, ma un giorno di riposo mi farebbe comodo. Chi mi può indicare la strada per il prossimo villaggio?”
“Da che parte devi andare?”
“Nord”
“Da quella parte c’è il villaggio da cui viene la moglie di Thib. Chiedi a loro.”
Un istante dopo era fuori della porta con due grossi secchi pieni d’acqua.
Jona si rivolse a Umma che, nel frattempo aveva cominciato a ripulire le stoviglie e, soprattutto, la padella. Era una ragazza giovane, appena fuori della pubertà, con i capelli tanto chiari da sembrare quasi bianchi e due occhi celeste simili a quelli della Dana. Quando la padella fu lucida e splendente, senza la minima traccia di unto o fuliggine Jona si azzardò a chiedere: “Che cosa significa che potrai mettere la tua firma sulla padella?”
Umma lo guardò con gli occhi sgranati, poi dovette ricordarsi che lui veniva da lontano, da molto lontano, e si decise a spiegare con l’aria di chi parla ad un bambino un po’ duro di comprendonio:
“Un raduno di padelle?” chiese Jona che cominciava a sospettare quale fosse il finale.
Umma lo guardò con aria offesa e Jona temette seriamente che volesse usare la padella per ammorbidirgli la testa. Poi decise che non era il caso di rischiare di rovinarla per un soggetto tanto ritardato.
“No il raduno della Scelta! Un cacciatore forte come un Troll mi sceglierà e mi porterà al suo villaggio!”
“Quindi te ne andrai.”
Un’ombra la passò rapida sul viso: “Sì e ho un po’ paura, ma, d’altra parte, finché resto qui non sono altro che una bambina.”
Ripose con cura la padella in uno stipo.
“Se vuoi ti faccio vedere dove abita Thib con sua moglie, prima che vadano nella foresta”
Jona non si fece pregare.
Lo trovarono che stava provando il suo lungo arco da caccia, dietro la sua casa che sembrava una copia esatta di quella della Dana.
“Ciao Thib”, esordì Umma, “Jona vuole andare al villaggio di Lenna. La Dana ha detto che forse lo puoi aiutare.”
“Che ci vuoi fare al villaggio di Lenna?” chiese con un cipiglio che non celava affatto il sospetto e la sfiducia.
“Nulla,” sospirò Jona mentre Umma si dileguava, “devo andare verso nord e la Dana mi dice che quello è il villaggio più vicino. Da lì proseguirò verso il successivo.”
Thib sembrò rilassarsi un po’.
“Io non la conosco. Sono un uomo del fiume. Ho visto che può essere pericolosa, ma non posso rimanere qui. Puoi aiutarmi?”
Thib prese l’Arco, incoccò distrattamente una freccia, si girò lentamente e la fece partire verso l’alto. Jona non aveva visto nulla, ma un animale simile a un grosso scoiattolo con una lunga coda spelacchiata cadde trafitto quasi ai loro piedi.
“Se non li teniamo a bada questi ci distruggono i raccolti, e poi sono buoni da mangiare.”
“Che cos’è?” chiese Jona che non aveva mai visto un animale simile. Sembrava un incrocio tra uno scoiattolo e un topo, ma grosso più di un gatto.
“Un opossum, non li conosci?”
“No, mai visto.”
“Beh, qui ce ne sono anche troppi”, tagliò corto Thib cominciando a scuoiarlo con mano esperta, “non sono certo questi che ti daranno problemi durante il viaggio.”
“Da che cosa, invece, mi dovrò guardare?”
“Non c’è modo di tenerli a bada?”
“Solo con il fuoco.”
“Fuoco? Nella foresta? Con quel tappeto di aghi per terra?”
“Appunto. Non ci pensare nemmeno. Vedo che sei sveglio, per un barcaiolo. Finiresti arrosto prima di accorgertene.”
“Non c’è altro modo?”
“Quanto dista il villaggio più a nord?”
“Quindici leghe”
Jona fece un rapido calcolo. Era un po’ di più della distanza che aveva percorso dal fiume fin lì
Continuò a parlare con Thib fino a che questi non raccolse le sue cose e si preparò a uscire; dopo di che si ritirò nella stalla dove aveva dormito, chiuse accuratamente la porta, si assicurò non ci fosse nessuno e poi tirò fuori l’Amuleto da sotto la giubba.
“Puoi farmi vedere i villaggi?”
“Pronto!” Comparve una mappa della foresta con sovraimposta una rete di cui i villaggi erano i nodi.
“Colpa mia”, rispose l’Amuleto con un’ombra d’imbarazzo nella voce, “loro, in realtà, usano la parola “casa”, che io ho tradotto in villaggio. Non hanno nomi, esattamente come casa tua è “casa tua”, e non “Jonapoli” o qualunque altra cosa.”
“Questo la dice lunga sugli interscambi fra “case””
“Puoi dirlo forte! In pratica gli unici contatti sono durante i raduni.”
L’attenzione di Jona tornò alla mappa. I villaggi erano disposti con una certa regolarità su un’ampia striscia che andava dal fiume alle montagne, con una propaggine che arrivava quasi alla pianura a nord. Chiaramente quella era la strada che doveva fare. Fece un rapido conto: quattordici villaggi prima di arrivare in un villaggio abbastanza vicino al limitare nord della foresta da poter arrischiare una corsa per uscirne.
“Non ce la farò mai!” imprecò ad alta voce. Un cavallo si agitò disturbato.