Il giannizzero li guidò in un dedalo di viuzze affollate sulle quali si aprivano le porte di botteghe che vendevano merci di tutti i tipi. La figura paludata di nero fendeva la folla senza toccarla, tutti si ritraevano al suo passaggio, Serna e Fermo lo seguivano dappresso, un po’ per sfruttare il varco e un po’ per paura di perderlo di vista nella calca.
La colonna sorgeva in una piazzetta circolare lastricata di marmo bianco. Usciva da un foro ed era composta da tamburi di pietra beige scanalati. Sembrava vecchissima, anche a confronto con il resto della piazza che, come da tradizione fenaraba, non era particolarmente nuova o ben tenuta.
Il Sultano era già lì, con due soldati in divisa blu.
La piazzetta era quasi deserta, a differenza dei vicoli che vi giungevano.
Appena arrivarono il Sultano si volse verso la colonna e cominciò l’invocazione: “Oh potente Djinn, intercedi presso il grande Isto per noi. Abbiamo bisogno della sua saggezza!”
Da uno dei fori che butteravano la superficie della colonna uscì una nuvola azzurra che si coagulò nella forma di un vecchio Djinn che torreggiò su di loro; Serna si ritrovò a pensare che, nonostante l’età, la lunga barba bianca e il bastone a cui si appoggiava sembrava più un vecchio guerriero che un sacerdote di Isto.
“A volte l’apparenza inganna”, le disse il Djinn come le avesse letto nel pensiero, poi si rivolse al Sultano: “So perché sei qui, Sultano e posso dirti che questa maga ha detto essenzialmente il vero. Non c’è bisogno di scomodare Isto.”
Le spalle del Sultano crollarono sotto il peso di quella rivelazione.
Un campanellino prese a trillare insistentemente nella testa di Serna che, quasi prima di rendersi conto di quello che stava facendo si avvicinò al Djinn tenendo ben stretto il suo Amuleto: “Dove ho sbagliato Djinn di Isto? Chi è sopravvissuto?”
Il Djinn sorrise e si fece da parte dicendo: “Spero che tu non abbia a pentirti del tuo coraggio, figliola.”
Al suo posto apparve la figura del Dio ammantata di viola:
Si rivolse quindi direttamente al Sultano:
“Dov’è? Come posso raggiungerlo?” Chiese il Sultano rosso in volto.
Il Sultano stava per dire che avrebbe guidato personalmente un esercito, pur di ritrovare il suo primogenito, ma incrociò lo sguardo freddo del Dio e si rese conto che sarebbe stato un altro grosso errore.
“Volete fare questa ricerca per me? Qualunque cosa vogliate è a vostra disposizione”, chiese direttamente a Serna con la voce più umile che riuscì a trovare.
La Maga sorrise:
Si rivolse quindi ad Isto, che fece un cenno di approvazione: “Puoi darmi qualche altra indicazione?”
Detto questo, Isto scomparve e il Djinn riprese il suo posto a fianco della colonna.
“Dove dobbiamo andare?” gli chiese Serna.
Il Djinn la guardò fisso inclinando la testa di lato: “Davvero non lo sai?”
Il Djinn sorrise: “Io sono incatenato a questa colonna, ma sulla sua cima potrai trovare qualcosa che penso ti sarà utile.”
Serna valutò la colonna, poi fece un cenno al giannizzero che spostò la scimitarra sul dorso perché non lo intralciasse e si inerpicò sulla superficie butterata senza sforzo apparente, esitò un attimo sotto il largo capitello e quindi si issò a forza di braccia sulla sommità.
Raccolse qualcosa e se la infilò sotto la giubba.
Si calò cautamente dal capitello fino a che non rimase appeso per una mano, usò l’altra per avvicinarsi al fusto, dopo di che fu a terra in pochi secondi.
L’oggetto che aveva trovato era una piccola riproduzione della colonna stessa, alta un palmo in tutto.
Serna la tenne in mano, facendo attenzione a non capovolgerla.
“Grazie”, disse al Djinn.
“O forse dovrei dire: grazie!” proseguì poi rivolta alla colonnina.
Una minuscola immagine del Djinn uscì dalla colonna in miniatura.
Non c’era altro da dire, per il momento, e il tempo stringeva. Serna promise al Sultano di informarlo sui preparativi e la piccola riunione si sciolse, si girarono per salutare il Djinn, ma quello era già scomparso.
Usciti dal dedalo di viuzze del mercato trovarono il solito carro ad aspettarli.
“Ora so perché i tuoi uomini ti chiamano “il geco””, disse Serna al giannizzero, “ma non conosco il tuo nome, o devo chiamarti “Geco” anch’io?”
Gli occhi del Geco ebbero un guizzo divertito “Hai buone orecchie, maga. Il mio nome è Sindehajad, ma puoi tranquillamente chiamarmi “Geco” anche tu, come tutti gli altri.”
“Ti piacerebbe venire con noi alla ricerca del principe?”
“Andrò ovunque il mio Signore, il Visir, mi chiederà di andare.”
“Questo lo so. La domanda era se ti piacerebbe venire con noi. Abbiamo bisogno di qualcuno che conosca bene questi posti e, dopo quello che ci hanno detto Isto e il suo Djinn, non oso chiedere aiuto al Sultano.”
Il giannizzero soppesò la domanda per qualche secondo.
“Conoscevo bene il Principe, era una brava persona. Potendo, non sarebbe andato in quella missione blasfema. Sì, penso mi piacerebbe dare una mano a riportarlo indietro.”
Serna lo guardò fisso con gli occhi che parevano due spilli:
Dopo un primo momento di sconcerto gli occhi del giannizzero presero un’espressione genuinamente divertita: “Posso conoscere tuo padre, maga?”
Ora era il turno di Serna a sentirsi sconcertata:
“Volevo chiedergli la tua mano, maga”, rispose lui con la massima serietà.
Serna mise una mano sul braccio di Fermo che si era irrigidito e aveva portato la mano al pugnale, poi rispose con molta dolcezza: “I nostri costumi sono molto diversi, Sindehajad. Sono solo io che decido a chi deve andare il mio cuore, e il mio cuore è già impegnato. Mio padre non si sognerebbe mai di impormi una scelta diversa.”