La foresta

Jona grugnì qualcosa d’incomprensibile e continuò ad avanzare caparbiamente appoggiandosi pesantemente al suo bastone.
“Il villaggio è ad appena un chilometro di distanza, proprio davanti a te. Se non ci fosse tutta questa nebbia lo vedresti anche tu.”
Altro grugnito.

Jona sapeva che doveva sbrigarsi. Era questione di vita o di morte. L’Amuleto era stato molto chiaro, anche senza dirlo esplicitamente. Non aveva detto perché e Jona non aveva fiato da sprecare a chiederglielo.
Era da un po’ che stava insistendo perché affrettasse il passo. Dall’ultima fermata che aveva fatto, un paio di ore addietro.
Aveva le gambe che sembravano di legno. Anzi no: il legno non fa male.
La penombra si stava facendo più fitta. Doveva arrivare al villaggio
La risposta gli arrivò all’improvviso, bucando la nebbia che lo circondava e quella nel suo cervello. Un lupo stava ululando il suo richiamo non troppo lontano.
La scarica di adrenalina gli schiarì le idee e lui raddrizzò la schiena.
Un vago chiarore più avanti gli diede nuova speranza.

D’improvviso, mentre i richiami di caccia dei lupi si facevano più insistenti e più vicini, si trovò davanti ad una solida palizzata alta almeno quattro metri e realizzata con grossi tronchi di pino infissi nel terreno.
“A destra!” sibilò l’Amuleto.
Jona non chiese e corse da quella parte.
La porta era stretta. In pratica tre tronchi affiancati.
“Aprite!” gridò l’Amuleto mentre Jona cercava di riprendere fiato, “Aprite per l’amor di Dana!”

Gli ululati si erano spenti, ma i lupi erano evidentemente vicini, se ne sentivano oramai i passi in corsa. Non si preoccupavano di procedere in silenzio.
Da dietro la pesante porta si sentivano rumori di assi smosse.
“Chi chiede di entrare?” chiese una voce, ma la porta si stava già aprendo e Jona si buttò dentro mentre i suoi salvatori si affettavano a richiudere.
Il pesante paletto era appena stato rimesso al suo posto quando un coro di ringhi certificò la delusione dei lupi là fuori.

Jona si tirò dritto, appoggiandosi al suo bastone e disse: “Grazie.”
“Chi sei, Straniero?”
Aveva davanti una dozzina di persone, tutte vestite con pelli di animali. Davanti gli uomini, piccoli di statura, ma molto muscolosi, dietro, sulle soglie delle case di legno, stavano le donne anche loro minute, ma robuste. Tutti lo guardavano con sospetto, anche i bambini che facevano capolino dietro le donne.
“Stavo discendendo il fiume con la mia barca, ma si è rovesciata. Fortunatamente ero vicino a riva e sono riuscito a salvare qualcosa.”
“Come ci hai trovati?”
“Non lo so”, mentì Jona, “è da questa mattina che vago nella foresta. Non pensavo di riuscire a vedere altri giorni”.
“Scusate, ma non ce la faccio più.” disse mentre le gambe gli si piegavano e lui crollava sotto il peso dello sforzo, dello zaino e dell’età.
Sentì delle mani forti che lo sorreggevano e lo trasportavano al coperto in uno stato di semi-incoscienza.

Molto più tardi si riprese abbastanza da guardarsi attorno.
Una donna, di un’età indefinibile, con i lineamenti di una donna matura e gli occhi da bambina, gli stava porgendo una ciotola di legno con dentro un liquido scuro e odoroso di erbe mentre, con l’altra mano, lo sorreggeva e lo aiutava a mettersi seduto.
“Bevi, ti farà bene, Straniero.”
Era un brodo di carne, pieno di aromi che ne modificavano il sapore e l’odore fino a renderlo quasi irriconoscibile. Jona bevve fino all’ultima goccia, mentre la donna lo sosteneva, poi ripiombò nel sonno.